Mimmo Càndito, accreditato giornalista della Stampa, è stato vittima di un gravissimo atto della Farnesina - parole sue – che lo voleva lasciare a terra a Tripoli a causa di una domanda scomoda rivolta al ministro Frattini nel corso di una conferenza stampa. Qui il suo racconto.
Ma andiamo per ordine. Il giornalista si trovava a Tripoli e, visto che era lì, il suo giornale lo incarica di seguire la visita del ministro Frattini. Poco prima aveva ricevuto una telefonata della consorte
“ho saputo del volo speciale e ho pensato che magari ti avrebbero trovato un posto; io sono stata appena operata (aveva avuto un brutto incidente stradale, ndr.) sto molto male, a questo punto ho chiesto al giornale di aiutarmi a farti rientrare subito senza dover fare quel viaggio di 3 giorni lungo la frontiera con la Tunisia. La Farnesina ha accolto la richiesta del giornale, ne ha compreso le ragioni, e ti farà viaggiare sull'aereo dei giornalisti partiti da Roma".
Alla conferenza stampa il giornalista chiede come mai il governo italiano ci abbia messo così tanto tempo prima di appoggiare gli insorti libici. Domanda alla quale si é già dato una risposta poiché osserva
A me sembra di ricordare che non sia affatto vero che l'Italia abbia appoggiato la Rivoluzione fin dal primo momento, e anzi con la mia poca memoria mi pare di ricordare che, alle pressioni internazionali per un intervento di Berlusconi su Gheddafi in appoggio alle rivendicazioni della rivoluzione, Berlusconi avesse invece risposto che lui "non voleva disturbare Gheddafi". E' da pensare, se questo è vero, che la mia memoria non sbaglia, chè allora sono le ragioni di una lunga ambiguità del governo italiano che spiegano perché questa visita ufficiale dell'Italia si sia svolta in assoluta sordina.
Il rappresentante libico, dice si, è vero, c’è stata qualche incertezza iniziale, ma adesso si va d’amore e d’accordo. Frattini risponde che non è vero niente, in quel particolare frangente la scelta italiana si era deliberatamente ispirata a principi di sobrietà che sono notoriamente il tratto distintivo di un governo che “non vuole piegarsi a protagonismi e ad abbagliamenti mediatici".
Terminata la conferenza stampa alcuni colleghi lo informano che con la sua domanda si è giocato il passaggio aereo sul volo di ritorno. Il giornalista non ci vuole credere, salvo poi scoprire, dalla viva voce degli aiutanti del ministro, che non c’è più posto.
Fortunatamente ciò che era scomparso miracolosamente ricompare
Una collega che ha rapporti professionali più frequenti con la Farnesina, alla fine prendeva l'iniziativa. "Ci vado io, glielo spiego io che si prendono una tegolata che nemmeno un anno gliela farà passare". Tornava dopo un quarto d'ora. "Non è stato facile, ma ci sono riuscita: partirai come ti era stato promesso". La ringraziavo, per la Farnesina più che per me stesso, e però le dicevo che non era sufficiente: "Il ministro mi ha sbattuto fuori, il ministro deve dirmi che si rimangia la mia espulsione". Dopo alcuni minuti, il ministro mi chiamava al telefonino della collega: "Lei potrà partire con l'aereo dei giornalisti". Lo ringraziavo, e ora scrivevo con più calma.
Il giornalista conclude con alcune riflessioni generali sui media e sul loro ruolo in una democrazia, e di come molto giornalismo italiano rinunci alla dignità del proprio ruolo nell'esercizio del rapporto con il potere politico. Si segnala, in particolare, questo impegnativo passaggio
"Se il sistema dei media dovrà avere un ruolo decisivo nella ricostruzione di una cultura civica che tenga sotto pressione critica l'esercizio del potere, allora gran parte di coloro che hanno fatto i media in questo periodo dovranno essere accompagnati a un corso molto duro di ripetizione. Gli si faranno riempire quadernetti di frasi tipo "Il giornalismo non è la pubblicazione di veline. Il giornalismo dev'essere il cane da guardia della società".
Tre considerazioni su questo illuminante resoconto.
Primo. A me, quella del giornalista, sembra più che una domanda, una constatazione che si può fare anche stando seduto comodamente in poltrona a casa propria, senza bisogno di prendersi l'incomodo di andare per terre straniere.
Secondo. C'é un volo di giornalisti al seguito del ministro. Io qui una domanda la avrei. Si pagano il viaggio da soli o viaggiano a spese del ministero? Se fosse vera la seconda, non voglia il cielo, sarebbe poco carino, ma spiegherebbe parecchie cose e perchè é improbabile che qualcuno di loro possa vincere, che so, il Pulitzer.
Terzo. Il giornalista si inalbera per il meschino tentativo di negargli un volo comodo e diretto (e questo vale anche se aveva delle eccellenti ragioni personali per tornare a casa il più presto possibile), riservandogli invece un viaggio di ritorno lungo e faticoso; però com'é come non é, il posto alla fine lo trova, e chiude il suo pezzo invocando le regole auree della deontologia professionale. Avrei un suggerimento sulla prima regola del “corso molto duro di ripetizione”. Non chiedete alcun favore ai potenti e comunque, quando viaggiate, fatelo a spese del giornale: solo così sarete liberi di scrivere e di informare il pubblico. Un cane da guardia non va a spasso con la faina. Se lo fa le galline non le vedo messe niente bene perchè, presto o tardi, il cane da guardia si trasformerà, che lo voglia o meno, in cagnolino da salotto.
Io se fossi Dio, maledirei davvero i giornalisti; e specialmente tutti, che certamente non son brave persone e dove cogli, cogli sempre bene.
Lo so, questa frase viene sempre abusata, ma è sempre più vera, anche quando sono brave persone.