Infatti, la Legge 6 agosto 2008, n. 133, occupandosi di Università e Ricerca al Capo V, titola l'art. 16 come
"Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università".
In particolare, il comma 1 recita
"In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La trasformazione opera a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di adozione della delibera."
È questa una possibilità del tutto nuova, che amplia l'autonomia universitaria e consente di intraprendere un cammino in direzione del cosiddetto (ma solo cosidetto) "sistema americano" dove l'assetto istituzionale di organizzazione senza scopo di lucro consente alle università di attuare politiche più efficienti di ricerca, reclutamento dei professori e offerta didattica.
Ciò è particolarmente rilevante se si tiene conto dell'entità dei tagli che il sistema di finanziamento statale sta apportando ai mezzi finanziari iscritti nei capitoli con cui lo Stato (attraverso il MIUR) alloca risorse alle università.
Tale trasformazione non implica alcun pregiudizio patrimoniale alla università che la attua, infatti il comma 2 dice
"Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università. Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie è trasferita, con decreto dell'Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate."
Né la trasformazione è disincentivata da considerazioni di ordine fiscale, ovvero il comma 3 è non-distorsivo
"Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili e tutte le operazioni ad essi connesse sono esenti da imposte e tasse."
Il comma 5 testimonia la rilevanza che il legislatore riconosce al finanziamento delle università da parte dei privati quale sostituto al finanziamento statale. Infatti,
"I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento."
Da un lato le donazioni sono percepite integralmente (poiché esenti da tasse e imposte) dalle fondazioni. Dall'altro, è creato un incentivo a donare alle fondazioni universitarie, incentivo costituito
dalla deducibilità totale delle somme dal reddito imponibile. Ciò riveste duplice importanza in un contesto, quale quello italiano, dove comportamenti atti a ridurre il reddito imponibile sono in qualche misura ampiamente diffusi ma scarsamente orientati al bene pubblico. Ebbene, donare alle fondazioni consente ai privati di ridurre il proprio reddito imponibile senza commettere evasione fiscale :O :D La logica di "incentive compatibility" che fonda la norma è un'eccezione nel panorama legislativo italiano e splende come un'alba a mezzogiorno.
Ma l'apporto di risorse da parte dei privati può avvenire anche nella forma di
"...ingresso nella fondazione universtaria..."
se previsto dallo statuto adottato contestualmente alla delibera di trasformazione (comma 6).
Le buone nuove, però, finiscono qua anche se, con buona pace della loro comprensione dell'italiano, gli 800 e conta di cui si parla più tardi, sembrano non essersene resi conto. Il comma 9, infatti, gioca, in termini di ampliamento delle possibilità di azione e quindi dell'autonomia delle università-fondazione, un ruolo straordinario ma, ahimé, non straordinariamente positivo. Se il comma 5 segnala una qualche comprensione della nozione di incentivo, il 9 indica la non comprensione dell'idea di crowding out. Esso afferma chiaramente che
"Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico; a tal fine, costituisce elemento di valutazione, a fini perequativi, l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione."
Lasciamo stare l'espressione "Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico...", forse che voleva andare in giro a fare i propri bisogni? Riflettiamo invece su cosa il sistema di finanziamento pubblico provochi, restando fermo, agli incentivi per le università di cercarsi donazioni private.
Tale riflessione si può fare con un esempio, improbabile ma suggestivo, delle nuove opportunità che la normativa apre alle università statali. Si immagini che Soros, frustrato per non aver comprato la Roma, voglia comprare il Napoli e non gli vendano nemmeno quello. Allora, non sapendo che fare, decide di donare 100 milioni di euro all'univeristà Federico II, all'uopo trasformata in fondazione. La Federico II potrebbe accettare la donazione SENZA rinunciare al finanziamento pubblico e, a seguito del comma 9, vedere i 100 milioni trasferiti (a fini perequativi) a un'altra fondazione (ossia, università cosicché l'incentivo a trasformarsi è duplice :D) che nulla ha fatto per meritarsi. Detto altrimenti: chi cerca nel privato rischia di perdere nel pubblico! Crowding out, appunto.
[Magrissima consolazione: la Federico II potrebbe, nell'esempio di cui sopra, pagare ai suoi professori il medesimo stipendio che avrebbero percepito senza adottare la trasformazione e senza ricevere i 100 milioni di Soros, evitando però di complicarsi la vita con incentivi legati a risultati di ricerca sottoforma di pubblicazioni fatte senza passare per la questura (che comunque sta li vicino). Se non avete capito cosa intendo qui dire non importa, in un certo senso è solo una cattiveria mentre in un altro è una verità.]
I commi successivi al 9 non fanno nulla per dissipare l'inviluppo di mummificazione necessario a garantire che tutti, comunque, continuino a ricevere lo stesso indipendentemente dai loro sforzi. Apparentemente a questo serve la cosidetta "perequazione", parolina magica che da sola, in un tardo comma 9, riesce a vanificare tutte le speranze che i commi precedenti avevano sollevato. E gli 800, forse non giovani ma certo ben forti, non se ne sono accorti ... L'ha messo involontariamente, la ministra Gelmini, quel comma 9 o l'ha fatto per testare l'acutezza dei suoi contestatori? Dovrò vivere, temo, senza saperlo. Mi chiedo, però, se l'han visto quelli della Lega e che ne dicono: ma come, gli danno il federalismo con una mano e glielo tolgono, imponendogli la perequazione universitaria, con l'altra? Ma che scherzi sono?
A volte, comunque, non ci si sbaglia nemmeno sbagliando. Alcuni professori hanno rivolto un appello contro la trasformazione dell'università in "fondazioni all'americana". È come una predestinazione quella di costoro: essere difensori delle libertà democratiche, nonostante e contro tutto, e nonostante non si sia compreso da che cosa le si difenda. È giusto difendere l'università statale da questa normativa liberista e capitalista, anche se di università-fondazione all'americana, purtroppo, in tale normativa non c'è nulla. La difesa procede speditamente: in pochi giorni i difensori sono diventati più di 300, addirittura 800! Chissà se han letto il testo della legge che contestano ...
Faccio notare anche in commento a questo articolo che non è appropriato parlare di "sistema americano"; se si vuole indicare un "sistema" con riferimento al tema in questione si può casomai indicare quello inglese, ove TUTTE le Università sono Fondazioni. In particolare, tutte tranne UNA sono state fondate da consorzi di benefattori/imprese/enti/altre fondazioni di natura privata, tipicamente raccolti attorno interessi di una certa comunità locale (o natura ecclesiastica per le classicissime). La Open University è l'unica Università sorta per iniziativa dello Stato che, in maniera del tutto ovvia agli occhi degli Inglesi, ha pensato bene di istituirla anch'essa in forma di fondazione. E d'altra parte, per esemplificare, fareste voi una forneria in forma di Pubblica Amministrazione? Lo stesso per gl'Inglesi: l'Università NON E' una Pubblica Amministrazione, "concettualmente".
Purtroppo agli occhi degli 800, che vengono da decenni di disinformazione di regime, non è evidente il fatto che la questione del finanziamento non c'entra, di per se', con quella della natura giuridica. Le Università britanniche sono finanziate dallo Stato ben più di quelle italiane. Naturalmente c'e' anche dell'altro. L'Italiano pensa sempre all'Università come UNA, diciamo come al Sistema Sanitario Nazionale, per questo parla sempre di Sistema Universitario. Invece e' ovvio che se uno pensa alle Università come fondazioni, le pensa necessariamente ab ovo come distinte le une dalle altre. E poi l'accademico italiano pensa ai settori scientifico-disciplinari come agli ordini professionali, a delle gilde che sono titolari della qualità (del reclutamento, in primis) in forma collettiva. Per questo i SSD sono le più potenti briglie di unificazione fra le varie sedi. E infine l'accademico meriodionale pensa, senza avere tutti i torti, che le propriue Università siano peggiori della media e quindi qualsiasi allentamento del Sistema Unitario vedrebbe rapidamente crescere il divario, non necessariamente in termini di finanziamento (si possono immaginare numerosi "modelli", e financo più egualitari in linea di principio), ma di "status", se vogliamo dire così.
Il punto fondamentale per fare una fondazione è la questione dei rapporti di lavoro e della governance. I "nostri" non ne vogliono sapere di non essere più dei travet. Ma poi ci sono tante altre questioni che vengono tirate in ballo, come avevo comiciato a segnalare qui.
RR