Il lavoro (Francesco Lissoni, Jacques Mairesse, Fabio Montobbio e Michele Pezzoni ‘Scientific productivity and academic promotion: a study on French and Italian physicists’ Industrial and corporate change 20 [2011] pp. 253-294) utilizza un data-base dei docenti universitari di fisica in servizio in Italia (circa 1700) e Francia nel 2004-2005 (1900), che comprende informazioni sulle caratteristiche personali (età, sesso etc.), sulla carriera (anno di reclutamento in ruolo) e sulla produzione scientifica, e li utilizzano per porsi due domande
a) quali fattori determinano la carriera accademica?
b) quali fattori determinano la produttività scientifica dei fisici?
La risposta alla prima domanda si basa sui risultati di una regressione probit [ La regressione probit è una variante in cui la variabile dipendente è binaria (zero/uno); nel caso specifico è uno se il docente è stato promosso nell’anno di riferimento, zero se non lo è stato. Più informazione, in inglese, qui], che esprimono l’effetto marginale di ciascuna caratteristica (p.es. l’età) sulla probabilità di essere promosso, a parità di tutti gli altri fattori.
Per diventare professore ordinario in Italia, il fattore più importante è l’età anagrafica. Avere fra 50 e 60 anni aumenta del 68% la probabilità di diventare ordinario rispetto alle probabilità di una persona con gli stessi titoli, ma fra 30 e 40 anni. Anche essere oltre 60 anni aiuta parecchio (un aumento del 56%) ed anche gli studiosi di mezza età (fra 40 e 50 anni) non se la passano male (un aumento del 50%). Al secondo posto, è essere in pista al momento giusto – in particolare nel 1980, quando il numero di docenti fu improvvisamente aumentato per far fronte all’aumento delle immatricolazioni (la grande ondata della 382/80). E’ servito anche essere un fisico teorico (una probabilità addizionale del 13% rispetto ai poveri fisici sperimentali). Invece essere donna ha penalizzato – riducendo le chances di promozione del 15%. Infine, anche il numero di promozioni nello stesso anno è positivamente correlato con le probabilità di promozione, un risultato ovvio dato il sistema dei concorsi. Stranamente, gli autori non considerano la posizione accademica al momento della promozione (se cioè gli ordinari al momento della promozione fossero già associati). Sospetto perché l’effetto sarebbe stato così forte da oscurare l’impatto di tutte le altre variabili. Per la promozione da ricercatore ad associato il quadro è simile, ma i coefficienti sono più bassi. Anche per la Francia, contano età, sesso (le donne sono penalizzate poco meno che in Italia) e ondate generazionali (in questo caso, l’anno giusto è il 1985).
Manca qualcosa? Magari un indice della produzione scientifica? In fondo, questo dovrebbe essere l’unico criterio per assunzioni e promozioni all’università. In effetti gli autori usano due variabili separate per la quantità e la qualità delle pubblicazioni (anche se correlate fra loro). La prima è semplicemente il numero di articoli pubblicati dal docente in riviste di fisica presenti nel data-base internazionale ISI (un totale di 363 riviste) nei tre anni precedenti. Gli autori descrivono in dettaglio la procedura di raccolta di questi dati ma non spiegano le ragioni del limite dei tre anni, che in altri settori apparirebbe forse troppo restrittivo. L’effetto della quantità di pubblicazioni è marginalmente positivo: per gli ordinari un aumento dell’1% del numero di articoli aumenta le probabilità dello 0.5%. In altre parole, un “giovane” di 39 anni deve pubblicare il 15% in più per compensare la sua inesperienza rispetto ad un maturo cinquantunenne. La qualità delle pubblicazioni è misurata indirettamente, sulla base dell’impact factor delle riviste, calcolato dallo stesso data-base. La qualità non conta per la promozione ad ordinario mentre la variabile è addirittura negativa per la promozione ad associato. Da questo punto di vista la Francia è diversa: la quantità di pubblicazioni è irrilevante, mentre la qualità aumenta le chances di promozione. Ma forse i francesi sbagliano e l’impact factor non è una buona misura della qualità dei lavori scientifici.
L’analisi dei fattori che determinano la qualità e la quantità delle pubblicazioni è abbastanza complessa e sarebbe troppo lungo riportare tutti i risultati. Mi limiterò a citare le osservazioni degli autori per l’Italia:
- “come previsto l’età dei docenti ha un effetto negativo sia sulla quantità sia sulla qualità degli articoli pubblicati”.
- “per quanto riguarda la qualità, i professori ordinari italiani sembrano i più colpiti dall’età, con gli ultra-sessantenni che mostrano una perdita di impact factor medio per anno pari a 1.99”
- “il genere (gender) conta di più all’inizio della carriera” perché “solo le migliori e più motivate ricercatrici tentano di accedere ai livelli più elevati” [pubblicando di più]
- “il coefficiente della variabile Wave 1980 è negativo e significativo nella equazione per la quantità, mentre è ancora negativo, ma non significativo, in quella della qualità”.
Gli autori stimano che, in totale, i docenti entrati nel 1980 (il 10% degli ordinari, il 26% degli associati ed il 26% dei ricercatori in servizio nel 2005) abbiano pubblicato in totale 1740 articoli in meno dei loro colleghi (analoghi per età, sesso etc.) entrati in altri, meno favorevoli, momenti. Inoltre:
- “avere co-autori produttivi ha un impatto positivo sulla produttività”
- “la partecipazione in grandi progetti di ricerca nazionali o internazionali influenza molto la proddutività annuale degli scienziati”
In conclusione, gli autori sottolineano con forza che le ondate di reclutamento massiccio del 1980 in Italia e del 1985 in Francia “hanno avuto duraturi effetti negativi sulla produttività scientifica media nei due paesi, e specialmente in Italia”.
Due osservazioni finali. Il lavoro considera solo i docenti universitari che hanno vinto almeno un concorso. Il data-base esclude studiosi che hanno partecipato ai concorsi senza vincerli (compresi i fisici del CNR e del CNRS) e non tiene conto della possibilità che essi fossero migliori dei vincitori. In questo senso è un test parziale dell’efficienza del reclutamento. Si differenzia quindi dal Bollettino dei concorsi (ad economia) di Roberto Perotti, che confronta le pubblicazioni di tutti i concorrenti a ciascun concorso (senza però una analisi econometrica). In secondo luogo, va ricordato che fisici (e matematici) ritengono i loro concorsi i più immuni dalle pastette tipiche dell’accademia italiana, e che tale opinione è universalmente condivisa. Sarebbe quindi auspicabile che questo interessante esercizio venisse ripetuto per altri settori disciplinari.
Lo stesso studio, almeno cosi' mi pare perche' l'unica cosa che cambia e' 2010 al posto di 2011 (Lissoni F., Mairesse J., Montobbio F., Pezzoni M. (2010), "Scientific Productivity and AcademicPromotion: A Study on French and Italian Physicists", NBER Working Paper No. 16341) e' stato presentato l'anno scorso su http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001943, usando un titolo piu' spiritoso, UN'ONDA ANOMALA MINACCIA L'UNIVERSITÀ, e con alcuni grafici.