Il Parlamento italiano ha deciso di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale in relazione alla vicenda di EluanaEnglaro, o meglio in relazione alla decisione della Corte di Appello di Milano che, sulla base di una sentenza della Cassazione ha autorizzato il padre di Eluana ed i sanitari, a sospendere l'alimentazione forzata che tiene in vita la ragazza. Il testo della sentenza lo trovate qui.
Sostiene, in pratica, il Parlamento che non può essere una decisione dei giudici a stabilire se e quando una persona ha diritto di far interrompere i trattamenti terapeutici su di sè, ma occorre una legge emanata, per l'appunto, dal Parlamento.
La vicenda è complessa e non è questo il luogo per fare una analisi del caso Englaro, su cui del resto, c'è abbondanza di materiale su tutti i giornali. Ciò che si rileva dal dibattito in corso e che qui su nFA - invece - vale la pena di evidenziare è l'assoluta confusione nei commenti ed il disinvolto miscuglio di "pere e mele" a cui si dedicano politici e commentatori. Confusione in base alla quale vengono messi in un unico calderone l'eutanasia, il divieto di accanimento terapeutico, il testamento biologico, il consenso informato, il caso Welby e così via. Si tratta infatti di questioni e vicende tra loro totalmente differenti e che vanno trattate e considerate in maniera diversa. Un po' di chiarezza, dunque, non fa certo male.
Tutto il calderone ribolle intorno ad un'unica questione: sino a che punto un trattamento medico è legittimo e con quali modalità può essere rifiutato? La risposta, in realtà la si trova già nei principi costituzionali e c'è già una adeguata riflessione giurisprudenziale, tale che l'eventuale intervento legislativo in materia non dovrebbe fare altro che sancire quanto già più volte deciso nei tribunali.
Partiamo dalla Costituzione. L'articolo 32 così dispone:
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana
Quindi:
- la salute è un diritto;
- eventuali trattamenti sanitari obbligatori possono essere imposti solo per legge (per esempio le vaccinazioni);
- la legge non può comunque violare il rispetto della persona umana.
A nessuno, quindi, può essere imposto un trattamento sanitario contro la sua volontà ed in ogni caso il consenso alla cura deve essere il frutto di una informazione adeguata ed approfondita, che i sanitari devono aver preventivamente dato, in relazione a tutte le conseguenze che quel determinato trattamento medico avrà sulla vita del paziente.
Corollario di questi principi - del tutto pacifici e oramai consolidati in giurisprudenza - è che ciascuno di noi può rifiutare una cura o un intervento chirurgico, anche quando questi sarebbero indispensabili per il mantenimento in vita.
Periodicamente, i giornali riportano il caso di un testimone di Geova che, in obbedienza alla propria fede, ha rifiutato una trasfusione che pure gli avrebbe salvato la vita ed è tutt'altro che infrequente il caso di un malato terminale di cancro che rifiuta di sottoporsi all'ennesimo ciclo di chemioterapia o ad una operazione invalidante, scegliendo di accorciare, sia pure di pochi mesi, la sua aspettativa di vita.
Se prese con scienza e coscienza, sono scelte tutte legittime e nessuno si sogna di imporre - obbligatoriamente - la terapia contro la volontà del paziente. Il caso Welby, che pure è stato richiamato per la vicenda Englaro, è tutto qui.
Una persona assolutamente lucida che ha scelto di sospendere la respirazione artificiale che lo teneva in vita, conscio delle conseguenze del proprio gesto. Non a caso non è stata riscontrata nessuna responsabilità penale per i sanitari che lo hanno aiutato a porre in pratica quest'ultima decisione: Welby ha semplicemente chiesto ed ottenuto che la smettessero di manipolare il suo corpo.
Quindi, se quando il paziente è cosciente non c'è dubbio che possa rifiutare la cura, che accade quando il paziente non è cosciente?
In questi casi i medici intervengono dando corso a tutte le cure necessarie a tenere in vita il corpo della persona, anche quando il loro operato porta a risultati invalidanti, come per esempio l'amputazione di un arto o anche quando l'unico esito delle cure è di mantenere la persona in stato di perenne incoscienza - come nel caso di LuanaEnglaro.
Del resto, così come accade per la legittima difesa, lo stato di necessità, eccetera, l'attività medica è una delle scriminanti penali; circostanze, cioè, che rendono lecito un comportamento altrimenti illecito: un medico che amputa un braccio, se ciò è necessario dal punto di vista terapeutico, non risponderà del reato di lesioni gravissime, perchè il suo comportamento è giustificato dal superiore interesse generale alla salute del paziente.
Che succede, però, se la persona incosciente aveva manifestato la volontà di non essere rianimata o, per esempio, di non essere tenuta in vita collegata ad una macchina? In realtà, in base ai principi generali che abbiamo visto applicati al caso Welby, anche in questo caso i medici dovrebbero astenersi dall'intervenire, oppure sospendere i trattamenti in corso.
Il punto non è SE la volontà del paziente incosciente debba o meno essere tenuta in conto, ma, più banalmente, COME accertare tale volontà, dato che egli è, per l'appunto incosciente e nulla può dire al riguardo. Insomma, un problema di prova e null'altro.
Nel caso di EluanaEnglaro la Cassazione ha ritenuto valide prove le testimonianze di tre amiche che hanno ricordato come Eluana, di fronte ad un loro amico che a seguito di un incidente era tenuto in vita artificialmente, avesse manifestato la volontà di non ridursi in tale stato.
Come detto, non si tratta di fare le pulci alla sentenza Englaro, ma di ragionare per principi: per la Cassazione la prova della volontà del paziente può essere raggiunta in tutti i modi, sia pure attraverso le testimonianze indirette di tre amiche, quindi qualsiasi elemento che concorra a rendere più certa la volontà non può che essere benvenuto.
In molte nazioni la soluzione è stata trovata attraverso il testamento biologico (o meglio testamento di vita, dall'inglese livingwill) vale a dire una dichiarazione scritta, a secondo dei luoghi resa in maniera più o meno formale, con la quale una persona dà le disposizioni in ordine alle terapie che accetta o meno le vengano praticate in caso di incoscenza.
In Italia, il consiglio Nazionale del Notariato, in accordo con la fondazione di Umberto Veronesi, ha anche predisposto un testo base per tale dichiarazione. Nel mio unico caso, per ora, di redazione di testamento biologico così ha - tra l'altro - disposto una signora settantenne che doveva sottoporsi ad una difficile operazione:
Io sottoscritta.......
Delego
come mio fiduciario il signor...... cui affido il compito di rendere edotti i medici curanti dell’esistenza di questo testamento di vita, con il quale:
in caso di:
- malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante
- malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione,consapevole delle conseguenze fatali di tale decisione, chiedo di non essere sottoposta ad alcun trattamento terapeutico, né a idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente.
In base a quanto deciso dalla Cassazione per LuanaEnglaro, con una dichiarazione resa in questi termini non ci sarebbero dubbi in ordine alla volontà del paziente ed oltretutto, l'atto notarile eliminerebbe ogni dubbio circa la valida provenienza della dichiarazione dalla persona che la ha sottoscritta.
Naturalmente ci sono molti altri modelli di testamenti di vita, alcuni dei quali prevedono (il che mi pare auspicabile) anche il coinvolgimento di un medico che contribuirebbe a dare maggiore consapevolezza alla scelta.
Va detto che una parte del mondo politico ed in particolare una (gran parte) del mondo cattolico si oppone a qualsiasi tipo di testamento di vita, in base alla considerazione che nulla consentirebbe di avere certezza che quella volontà, resa in passato, sarebbe ancora la volontà del paziente nel momento in cui la scelta deve essere effettivamente operata.
La tesi, sia pure suggestiva, non mi pare poi così fondata, dato che in assenza di prova contraria (che potrebbe comunque essere data) bisogna presumere che la volontà manifestata in passato sia comunque ferma a non modificata.
Del resto nessuno si sogna di affermare che un testamento (ordinario questa volta e non "biologico") non sia valido solo perchè, in teoria, al momento della morte il testatore potrebbe aver cambiato idea.
La stessa chiesa, poi, riconosce piena validità ad una volontà manifestata in passato da una persona che non è più in grado di ripetere formalmente quella volontà. Mi riferisco al matrimonio in "articulo mortis", per la validità del quale, in base al diritto canonico, condizione necessaria e sufficiente è che il coniuge morente abbia espresso in vita (ma non è più in grado di farlo al momento del rito) la ferma volontà di unirsi in matrimonio con l'altro contraente. Occorrono almeno due testimoni che confermino la sua volontà ed il matrimonio è perfettamente valido, anche per il nostro diritto, se si è trattato di un matrimonio concordatario.
In conclusione, non mi pare che il forse imminente intervento del legislatore possa in qualche maniera intervenire sui principi, che sono oramai sifficientemente consolidati. Dovrebbe, al massimo, intervenire per dare le migliori garanzie per accertare la volontà dei pazienti, evitando qualsiasi atteggiamento pregiudiziale fondato su dogmi.
Temo che, data la composizione dell'attuale parlamento, ne verrà fuori una legge molto ideologica e di difficile attuazione.
Concordo pienamente... E chi non concorderebbe? Penso che la stragrande maggioranza delle persone che sostengono le tesi proibizioniste in cuor loro sarebbero d'accordo.
Mi ha sempre incuriosito l'aspetto teologico della questione: a mio modesto avviso l'attuale posizione proibizionista della Chiesa non e' affatto scontata; non e', insomma, immediatamente deducibile a partire dai dogmi fondamentali del Cristianesimo. Anzi, secondo me e' deducibile semmai la posizione contraria: l'accanimento terapeutico (allo stato attuale dello sviluppo della medicina, e figuriamoci nel futuro) puzza di eugenetica e di ribellione faustiana contro la nostra sorella morte.
Viceversa, il testo del testamento proposto dal consiglio nazionale del Notariato mi sembra alquanto infelice, come se ci avessero riflettuto non piu' di 5 minuti. Ad esempio, le parole
non implicano la conclusione
Non ho capito questo "alcun": il rifiuto dovrebbe essere ristretto solo alle terapie di cui sopra, non a tutte. Esiste anche la terapia del dolore, che e' altresi' una cosa importante, anche mentre si muore. Perche' mai dovrei rifiutare, ad esempio, un sedativo, mentre sto morendo per arresto polmonare?
Anche la dicitura
mi sembra un po' troppo restrittiva, quindi troppo passibile di interpretazioni contraddittorie. Perche' solo celebrale, ad esempio? Ma hanno veramente consultato Veronesi?