Il post sarà dedicato principalmente a discutere l'articolo di Guido Rossi, ma prima di andare alla parte centrale del post voglio discutere l'articolo di Veneziani, dato che mi tornerà utile successivamente.
In breve, Veneziani ha scritto un articolo semplicemente allucinante in cui riesce a battere il record mondiale di cazzate per centimetro quadrato. Riassunto: c'era una volta un paese felice in cui il popolo controllava banche e imprese. Si, va bene, c'era questo cosa del deficit pari al 10% del PIL e del debito che esplodeva, ma queste sono inezie da ragioniere e io sono un grande filosofo. Dicevamo, in questo paese felice tutto stava andando bene. Ma a un certo punto dalla perfida Albione arrivò una barca piena di infidi speculatori che, aiutati dal traditore Drake (un italiano che però era ''inglese dentro''), acquistarono tutto per un boccon di pane, lasciandosi dietro miseria e macerie. E anche un debito più basso, ma come ho detto io non sono un ragioniere e mi occupo di cose più alte. Pochi eroi cercarono di contrastare questo scempio, ma furono sconfitti. Tra essi, il profeta del signoraggio Giacinto Auriti e l'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che sta ora pagando a caro prezzo la sua ammirabile opposizione ai poteri forti. Fine.
Se pensate che questa sia una caricatura esagerata leggete pure l'articolo originario. Si tratta di fascismo rancido da osteria, di complottismo ignorante per ubriachi. Per fortuna l'ottimo Alessandro d'Amato si è già preso la briga su Giornalettismo di sbugiardare una per una le falsità e le idiozie contenute nell'articolo, risparmiandoci il lavoro. Qua aggiungo solo che Veneziani, purtroppo, non è un qualche esponente minoritario e di frangia della cultura di destra. Al contrario, è uno di quegli intellettuali di regime perfettamente intortati con il potere politico, al punto di essere stato nominato dal centrodestra al consiglio di amministrazione Rai. Collabora con la Rai, è editorialista del Giornale e tante altre cose. Quello che dice è quello che pensa la destra in questo disgraziato paese.
Esauriti i preliminari veniamo al pezzo forte, l'intervista a Guido Rossi. Non starò a commentare parola per parola, dato che alcuni pezzi (come quello sulla ''tassa Berlusconi'') sono condivisibili, ancorché abbastanza ovvi. Altri pezzi sono le solite frasi altisonanti di stile tremontiano che non hanno alcun significato, e di cui gli intellettuali italiani, e i giornalisti che li intervistano, sembrano così innamorati. Si veda per esempio, giusto all'inizio, la frase ''la moneta ha conquistato la politica per farle ridisegnare a suo piacere i mercati. Ma siccome ha promesso ma non consegnato il benessere generale la politica si ribella''. Forse esiste, facendo un grosso sforzo, un qualche modo di assegnare a simile chiacchiericcio un senso compiuto, ma è un compito troppo gravoso e che è improbabile fornisca alcun frutto. Eviterò quindi di perder tempo con simili oniriche fregnacce.
Mi concentro invece sugli errori fattuali e sulle spericolate analisi teoriche. Cominiciamo quindi.
Cos'è oggi la disuguaglianza?
«Una differenza insostenibile di redditi e di possibilità di costruirsi il futuro. Gli indignados ci dicono che è esplosa dentro l'Occidente. Ma Branko Milanovic, al recente convegno di Milano, ha documentato come sia ancor più drammatica tra l`Occidente e il resto del mondo. La cittadinanza è oggi la prima rendita di posizione».
Branko Milanovic è un economista della Banca Mondiale che si occupa di disuguaglianza, soprattutto a livello mondiale. Una recensione di un suo libro recente può essere trovata sul New York Times. Il punto che la disuguaglianza interna ai paesi occidentali impallidisce quando guardiamo alla disuguaglianza a livello globale è ovvio e ben noto. Milanovic ha approfondito il tema e ha provato a quantificarlo. Per esempio, la recensione ci racconta:
He also makes interesting international comparisons. The typical person in the top 5 percent of the Indian population, for example, makes the same as or less than the typical person in the bottom 5 percent of the American population. That’s right: America’s poorest are, on average, richer than India’s richest.
Traduzione: Egli [Milanovic] fa anche delle interessanti comparazioni internazionali. La tipica persona nel top 5% della popolazione indiana, per esempio, guadagna lo stesso o meno della tipica persona appartenente al 5% inferiore della popolazione americana. Proprio così: gli americani più poveri sono, in media, più ricchi degli indiani più ricchi.
Tutto questo è molto interessante e sembra suggerire che il primo compito di chi vuole combattere la disuguaglianza a livello mondiale è quello di ridurre le barriere all'immigrazione. Francamente, a fronte di differenze globali di questa natura, discutere degli spostamenti di reddito tra poveri e ricchi all'interno dei paesi occidentali sembra abbastanza irrilevante. Cosa invece voglia dire Rossi non si capisce. La questione dell'andamento della disuguaglianza a livello globale è ampiamente dibattuta, dato che esistono problemi di misurazione non piccoli. Per chi è interessato consiglio di guardare qui e qui. Una cosa che credo si possa dire con una certa tranquillità è che esiste consenso sul fatto che l'apertura ai mercati internazionali di Cina e India ha indubbiamente ridotto la disuguaglianza a livello globale. Cosa sia successo alla disuguaglianza nel suo complesso è cosa più complicata da stabilire. Il tema ritorna successivamente.
Contro questa rendita funziona la concorrenza?
«No. Gli Usa approvarono lo Sherman Act nel 1890, altri tempi. L`Italia vara la legge antitrust un secolo dopo, proprio quando. la concorrenza per la prima volta estesa su scala planetaria comincia a minare i diritti di cittadinanza, come ben descrive Robert Reich nel suo Supercapitalism. E la globalizzazione porta la disuguaglianza media mondiale a livelli mai visti».
La tesi secondo cui ''la globalizzazione porta la disuguaglianza media mondiale a livelli mai visti'' andrebbe argomentata, magari evitando di citare Reich che ha più prestigio nei media che nell'accademia (leggete qui cosa ne pensava Krugman di questo signore). Come osservato prima, la questione di cosa sia successo alla disuguaglianza globale resta abbastanza controversa. Ma anche assumendo che la disuguaglianza sia aumentata, è abbastanza ovvio che i paesi che sono rimasti indietro sono principalmente quelli che non sono riusciti a inserirsi nel circuito del commercio internazionale. Chi lo ha fatto, come Cina e India, ha chiaramente contribuito alla riduzione della disuguaglianza globale. L'apertura dei mercati al commercio internazionale è solitamente la forma più importante in cui la concorrenza si dispiega; la legislazione antitrust, pur importante in diversi settori, viene senz'altro dopo. Per cui, da dove arriva il reciso ''no'' che apre la risposta? Non ci è dato sapere.
II Brasile ora protegge la sua industria dell'auto.
«Senza che Fiat e Volkswagen, colà producenti, se ne lamentino. Lula, un sindacalista, ha fatto crescere il Paese e ha ridotto le disuguaglianze con vasto consenso, anche borghese. La globalizzazione non cancella l`interesse nazionale come dicono i teorici del free trade fermi a quando l`industria stava a Manchester e il cotone in India».
Veramente una domanda strana, visto che arriva completamente all'improvviso; fino a quel momento nessuno aveva parlato di protezionismo o di Brasile. Tant'è. La domanda inizia molto male, lasciando intendere che i recenti provvedimenti protezionistici siano una novità. In realtà il Brasile ha una storia abbastanza lunga di protezione dell'industria dell'auto, che non è diversa da quella di tanti altri paesi: imprese forti e politicamente influenti riescono spesso a ottenere protezione dal governo. Anche le conseguenze sono quelle solite e documentate mille volte. Prezzi più alti per i consumatori e minore innovazione. L'ultimo pacchetto protezionista sembra segnalare una nuova tendenza più protezionista del governo brasiliano, e i suoi effetti si vedranno tra un po'. Nel frattempo, la domanda è: nel processo di espansione del reddito che si è verificato in Brasile, che ruolo ha giocato il commercio internazionale? E qui la risposta è molto facile: l'indice di apertura (import più export diviso PIL) è più che raddoppiato dal 1980, ed è particolarmente accelerato da metà anni 90; si veda questo rapporto dell'OCSE, in particolare pagina 10. Niente di nuovo o sorprendente a dir la verità. La crescita, in Brasile e altrove, è andata di pari passo con l'espansione del commercio internazionale. Come al solito, il protezionismo è un retaggio del passato e un pericolo per il futuro.
Se la domanda è mal posta, la risposta è incommentabile. Che Fiat e Volkswagen, che hanno stabilimenti in Brasile, non si oppongano ai dazi protezionisti sulle auto è il minimo che ci si possa attendere, dato che ne beneficiano direttamente. A Rossi, per qualche strana ragione, questo pare un fatto degno di nota. Poi comincia una serie di non sequitur. È vero che la disuguaglianza in Brasile è calata, e a dir la verità ha iniziato a calare anche prima di Lula. Le cause sono dibattute (sempre nel rapporto OCSE prima citato si veda il Box 7 a pagina 35) ma il messaggio è esattamente l'opposto a quello che Mucchetti e Rossi cercano di far passare in modo subliminale: è perfettamente possibile attuare politiche di riduzione della povertà e della disuguaglianza in un'economia che si apre sempre di più al commercio estero. Lasciamo perdere, per carità di patria, la boiata sui ''teorici del free trade'' fermi al cotone in India. Chissà dove le pescano certe idiozie.
II primo diritto di cittadinanza eroso dalla globalizzazione?
«È la possibilità diffusa di avere una vita migliore. Occupy Wall Street nasce dalla percezione che questo diritto, base del sogno americano, è evaporato».
Bene, questo Rossi può andarlo a raccontare ai milioni di cinesi e indiani che grazie alla globalizzazione sono usciti dalla miseria. Poi ne riparliamo. Intanto mi compiaccio con lui che ha già capito tutto del movimento Occupy Wall Street.
Negli Usa gli studenti si fanno prestare soldi dalle banche.
«E le banche hanno mille miliardi di dollari di crediti inesigibili perché i neolaureati, grazie alla concorrenza globale voluta dal sistema finanziario, non trovano lavoro abbastanza pagato da poter rimborsare il debito».
Qui il commentatore Marco Divice mi ha preceduto. I mille miliardi sono il totale dei prestiti, non i ''crediti inesigibili''. Ovviamente la crisi ha aggravato i problemi di solvibilità, in questo e in altri settori, ma dire che il 100% degli student loans sono inesigibili è semplicemente una colossale asinata.
Ma veniamo finalmente alla parte più succosa dell'intervista, il manifesto ideologico per così dire.
In verità, Reagan e la Thatcher vinsero libere elezioni: la Golden Age aveva portato inflazione.
«L`inflazione derivò principalmente dalle guerre del Vietnam e del Medio Oriente. Reagan e la Thatcher vinsero perché i ceti medi, ancora forti delle storiche protezioni, credettero di poter tornare al sogno americano della frontiera. Poi, smantellato il welfare, fermati i salari, hanno scoperto la realtà dei debiti. Come ha ben ricordato Lars Osberg, è stata la disuguaglianza crescente dei redditi a generare gli eccessi di debito privato e pubblico.
Ma la disuguaglianza l`ha prodotta la politica che, obbedendo alla finanza, ha creato il mostro che la divora».
Sentite, facciamo così. Io mi sono veramente rotto di essere costretto a cercare dati per ribattere a tutte le affermazioni stravaganti che vengono fatte. Quindi rovescio l'onere della prova. Rossi, o i suoi seguaci che si sono entusiasmati per il pezzo, vadano a cercare i dati sulla spesa per pensioni negli USA dal 1980 a oggi. Poi cerchino anche i dati sulla spesa per Medicare, il programma pubblico di assistenza sanitaria agli anziani (qualche dato sulla spesa pubblica per la sanità lo potete trovare in questo post di Andrea Moro). Li presentino e poi discutiamo, e vediamo se c'è stato o meno lo ''smantellamento del welfare''. Sui, salari, chi li avrebbe ''fermati''? I salari più bassi sono cresciuti molto poco (e questo è un problema, beninteso), quelli medio alti sono cresciuti di più e la dispersione salariale è aumentata. Anche qui, un po' di dati please, e poi ne parliamo.
Che cavolo voglia dire che poi si è ''scoperto la realtà dei debiti'' è impossibile capire, è una di quelle frasette demenziali alla Tremonti che non vogliono dire nulla e servono a impressionare i giornalisti con background umanistico. Un po' più chiaro quello che dice dopo: è stata la disuguaglianza crescente dei redditi a generare gli eccessi di debito pubblico e privato. È anche una sonora cazzata. Il debito pubblico negli Stati Uniti ha avuto un andamento altalenante. Il deficit è cresciuto negli anni Ottanta, esattamente perché non ci fu alcun taglio sostanziale al welfare ma ci fu una riduzione della pressione fiscale. Meno tasse senza meno spese generano più debito pubblico, la disuguaglianza non c'entra nulla. In ogni caso, con la sopraggiunta espansione delgli anni Novanta, il bilancio pubblico americano raggiunse un superavit. Ci volle G.W. Bush con i sui rinnovati tagli delle tasse per causare di nuovo il deficit, a cui si è aggiunta l'espansione della spesa per la sanità pubblica, il cosidetto Medicare Part D (yes darling, questo è stato lo smantellamento dello stato sociale), e le guerre in Irak e Afghanistan. Infine, il debito USA è esploso con la crisi, principalmente per cause cicliche. Di nuovo, la disuguaglianza non c'entra nulla.
A meno che, ovviamente, non si voglia raccontare la storiella della ''crisi causata dalla disguaglianza''. Siccome anche qui mi sono rotto di dire sempre le stesse cose, mi limito a qualche link. Qui trovate un blog post di Krugman in cui spiega perché è scettico dell'argomento. Qui trovate uno studio accademico molto dettagliato di Atkinson e Morelli. Qui trovate un blog post con riassunto sulla letteratura. La posizione politica di Krugman è nota. Atkinson è un illustre studioso, coautore insieme a Stiglitz, di un noto manuale di economia pubblica. Gli ignoranti alla Rossi & seguaci che continuano a ripetere che hanno trovato la magica spiegazione di tutto nella disuguaglianza facciano il favore di studiare. Poi ne riparliamo.
OK, fine della grande analisi teorica del nostro. Passiamo quindi alla alle prescrizioni di politica economica.
E dunque?
«Dunque si deve ripartire dal contenimento delle disuguaglianze per ricostruire una crescita sostenibile, altrimenti si resta prigionieri di quella veduta corta criticata da Tommaso Padoa Schioppa».
Di crescita parlano Trichet e Draghi al governo italiano.
«Quella lettera segnala il predominio della moneta sulla politica. Ma quando il punto centrale è il riequilibrio dei flussi della ricchezza, la politica non può essere delegata alla Bce, che ha per scopo istituzionale la stabilità dei prezzi e degli intermediari».
Come direbbero Cochi e Renato, proprio lì volea volare l'uselin de la comare. La storiella della disuguaglianza che causa la crisi deve essere giusta, a dispetto della analisi teorica raffazzonata e dei dati inesistenti, perché conduce alla conclusione giusta: la disuguaglianza va ridotta perché il questo modo si combatte la crisi e si crea ''crescita sostenibile''. Lì è dove vogliono arrivare Rossi e seguaci. Per questo Civati chiama l'ammasso incoerente di sciocchezze, con opportuno condimento di errori fattuali, contenute in questa intervista addirittura una lezione magistrale. Per questo Gilioli titola ''Da dove parte la crisi''.
Questa è la mia domanda a Civati, Gilioli e agli altri entusiasti del pezzo di Rossi.
Compagni, ma l'ipotesi di dotarsi di un minimo di coraggio? Si fa così fatica a dire che la disuguaglianza va ridotta e basta, senza cercare scuse stralunate? Guardate, l'argomento è molto semplice, e vi imploro di leggere Krugman. La povertà va combattuta perché è brutta e fa viver male, punto. Le persone povere hanno poche opportunità, non riescono a ottenere una educazione decente, sono più soggette a finire ai margini della società e tante altre cose ovvie che non devo stare a spiegare. Non dovete chiedere scusa a nessuno se volete combattere la povertà (che, dicho sea de paso, non è la stessa cosa della disuguaglianza; ma sto divagando). Ma non ci sono solide ragioni teoriche o empiriche per dire che l'aumento della disuguaglianza ha causato la crisi del 2008-2009. Il vostro dovere, se volete veramente combattere la povertà e non raccontarvi storielle autocompiacenti, è di capire come la povertà può essere ridotta. E, per favore, non fermatevi alle abituali cazzate redistributive da modello superfisso. La povertà si riduce principalmente con lo sviluppo economico, e la cosa difficile è assicurarsi che lo sviluppo non venga strangolato quando si cerca di redistribuire il reddito.
Stiamo per arrivare alla fine, ma c'è un pezzo abbastanza succulento.
Le banche centrali sono una riserva di classe dirigente.
«Vero. Ma di che tipo? Leggo sul New York Times e su Le Monde dei tre anni di Draghi vicepresidente per l`Europa di Goldman Sachs a ridosso dello swap che la banca americana organizzò per nascondere il debito pubblico greco…».
Il presidente della Bce ha chiarito di essere arrivato dopo.
«E io non mi associo certo al New York Tìmes che si chiede se sia stato sincero, ma osservo che Draghi firmava paper sui derivati con Robert Merton, il Nobel che era già famoso per aver cofondato il Long Term Capital Management, l`hedge fund fallito nel 1998. Voglio dire che gira ancora la cultura di prima. Che negava in radice il problema della disuguaglianza».
Questo non lo commento, se non per osservare l'oggettiva affinità intellettuale e culturale del nostro leguleio di sinistra con il fascista rifatto che scrive sul Giornale. A riprova di quale è veramente in Italia il pensiero unico dominante.
Un ultimo commento.
Visto che gli articoli discussi in questo post hanno preso la mossa dal cambio di guardia alla BCE, concludo esprimendo massima solidarietà e massimo rispetto per il compagno Draghi. Il fatto che sia riuscito a diventare governatore, in un posto dove la nazionalità conta e anche tanto, pur provenendo da un paese in cui ci sono così tanti ciarlatani è un imperituro tributo alla sua competenza e al suo carattere.
La frase sulla moneta è abbastanza oscura, ma azzardo un'interpretazione. Probabilmente Rossi si riferisce (in modo alquanto criptico, ma una frase in un'intervista non è un articolo su una rivista accademica) al fatto che il monetarismo, e la conseguente "riforma" delle politiche monetarie delle maggiori banche centrali, si proponeva di risolvere definitivamente il problema delle recessioni da domanda. In realtà gli effetti di questa evoluzione sono stati molteplici, e non tutti positivi:
Naturalmente non è detto che Rossi sarebbe disposto a enunciare quanto scritto qui con la stessa precisione. Ma può avere avuto una "conoscenza tacita" della questione dall'osservazione della situazione attuale e delle dinamiche economiche e politiche.
Per quanto riguarda il problema della disuguaglianza, concordo con la posizione di Krugman e dell'autore. Ma faccio notare che un certo tipo di "disuguaglianza delle opportunità" può avere effetti anche pesanti sui fondamentali dello sviluppo e dell'attività economica, p.es. il livello di educazione, l'accesso al credito, l'iniziativa imprenditoriale ecc. Ovviamente i fondamentali in difficoltà impediscono anche di affrontare le crisi.
Spiegazione molto ben documentata. Ma ne posso proporre una molto più becera?
Becero mode on
La monete=le mazzette hanno convinto i politici a coprire i buchi dei banchieri con le tasse dei soliti fessi, e li hanno convinti che era per il loro bene. Ma la politica che non ne ha avuto una fetta si ribella! Ora se convinciamo i soliti fassi che noi siamo in grado di ridistribuire meglio i soldi, ce li daranno senza protestare. Ovviamente ce bisogno di ricordare che chi divide il malloppo tiene la parte migliore per se?
becero mode off.
Ma come dicevo è solo un'interpretazione personale!