La CGIA di Mestre ha un ottimo servizio studi che sforna spesso
ricerche interessanti, ben fatte e contro corrente. Quasi mai si tratta di grandi scoperte, non credo sia questo il loro obiettivo. Credo vogliano far intendere al pubblico vari aspetti del sistema economico italiano, di quello fiscale e della spesa pubblica soprattutto, che vengono spesso presentati in modo distorto nelle analisi "ufficiali". Così facendo quantificano "idee che girano" o "fatti che si sanno", ma che nessuno mette in ordine in maniera precisa e di cui, soprattutto, governo, centri studi romani, ISTAT, CNEL ed altre simili ed inutili entità non parlano mai.
La notizia di oggi è abbastanza semplice: poiché la pressione fiscale "ufficiale" divide un numero calcolato esattamente (il totale dei proventi fiscali dello stato) per un numero stimato (il Prodotto Interno Lordo, o PIL) la sua validità dipende da come si stima il denominatore. In particolare, quando si confronta la pressione fiscale italiana a quella della Svezia o della Germania occorre tenere in mente che, mentre in tutti e tre i casi il numeratore è calcolato in modo esatto e praticamente nella medesima maniera, lo stesso non vale per il denominatore.
Il denominatore stima il PIL usando svariati indicatori campionari. Esso comprende sia stime del PIL "effettivamente dichiarato" (ossia, quello che oltre ad esistere per l'ISTAT esiste anche per l'Agenzia delle Entrate) sia stime del PIL "sommerso" (ossia, quello che esiste solo per l'ISTAT e che l'Agenzia delle Entrate non tocca.) La pressione fiscale VERA si esercita solo sulla prima parte del PIL, mentre quella riportata include la seconda.
Se due paesi hanno lo stesso numeratore e lo stesso denominatore, essi riportano una pressione ufficiale identica. Ma se il denominatore di un paese è al 99% PIL "effettivamente dichiarato" mentre quello dell'altro lo è solo all'84% (com'è, in media, il caso quando si confronta l'Italia con il Nord Europa) allora la pressione fiscale effettiva sul PIL effettivamente dichiarato nel secondo paese è ben più alta.
Usando dati ufficiali ISTAT, e cercando di essere cauti, i ricercatori della CGIA di Mestre stimano che la pressione effettiva, in Italia, abbia raggiunto e superato il 50%, ossia una percentuale scandinava. Sorprendente? No di certo. Utile da ricordarsi, però, specialmente in tempi come questi dove, invece di tagliare spese e tasse, i nostri governanti aumentano di nuovo la pressione fiscale sui consumatori facendo finta di tassare petrolieri e banche. O la prossima volta che il solito giulivo vi spiega che in Italia la pressione fiscale è "bassa" rispetto al Nord Europa ...
Detto questo, non posso non "polemizzare" (mi spiacerebbe perdere un'occasione) con l'ottimo presidente della CGIA medesima, Giuseppe Bortolussi, il quale, secondo il Corriere, ha dichiarato quanto segue:
«[...] Per questo è assolutamente
improrogabile una seria lotta conto il lavoro nero e l'abusivismo.
Aumentando la platea dei contribuenti potremo così ridurre imposte e
contributi a chi oggi ne paga più del dovuto».
La lotta contro il lavoro nero e l'abusivismo è senz'altro importante. Ma non è proprio il caso di ritenerla un pre-requisito per la riduzione dell'imposizione fiscale. Infatti, come l'evidenza ampiamente dimostra, la riduzione dell'imposizione fiscale è uno degli strumenti attraverso cui si porta avanti una seria lotta al sommerso ed all'evasione fiscale.
Il nuovo mantra nazionale - adottato, sorpresa sorpresa, anche dal commercialista da Sondrio - è "pagare tutti per pagare meno". Va rovesciato, non solo perché è oramai provato che non funziona ma anche perché fa scordare che il problema viene dalla spesa pubblica la quale è sia la causa storica che la giustificazione (im)"morale" della folle tassazione a cui i redditi degli italiani che lavorano vengono sottoposti.
Pagare meno per pagare tutti. Lavorare tutti per spendere meno.
Sara' avversione pregiudiziale, la mia, ma sono preoccupato dall'andazzo che ha preso la destra nello sbraitare contro "la speculazione". Titoli come questo sono degni di una caccia all'ebreo:
http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/080623/ihbg6.tifhttp://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/rassegna.pdf
Non mancano le accuse di connivenza, piu' o meno velate:
http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/080623/ihs6a.tif
La cosa sembra ripetersi oltre Atlantico:
http://krugman.blogs.nytimes.com/2008/06/20/conservatives-and-evil-speculators/
Due commenti:
1) La situazione e' molto seria, da un punto di vista politico. Passino la pubblicita' dal gusto discutibile, il solleticare l'istinto dell'elettorato, la mancata assunzione di responsabilita'. Quello che non possiamo permetterci e' di tirare a caso una diagnosi in una situazione economica cosi' delicata, in un Paese pieno di problemi. Soluzioni arrangiaticce ed intrise di ideologia non portano lontano...
2) Prese sul serio, tutte queste affermazioni sono un duro attacco contro l'economia "accademica". Quali sono le risposte?