Non so chi sia il "lei" che menziona Rebus , ma assumo tu ti riferisca a me ...
Io prendevo in giro entrambi, ovviamente: two birds with one stone. Prendere in giro l'uno, il modello, e' condizione necessaria (e sufficiente) per prendere in giro l'altro, il professore. Anche se non lo dice esplicitamente, e' chiaro che lo considera un modello normativo. Che AP lo consideri un modello positivo dell'Italia, o di qualsiasi altro paese europeo che abbia fatto qualche liberalizzazione, spero proprio non sia il caso: sarebbe ancor piu' imbarazzante. Sarebbe imbarazzante perche' lo sa anche mio fratello piu' piccolo che non e' successo cosi' in nessun posto (nota: ho solo tre bellissime sorelle.) Quindi, prendo il modellino come normativo e faccio solo osservare che le sue implicazioni logiche, sotto ipotesi deboli e totalmente realistiche, sono infatti drammatiche. Temo il nostro professore non se ne sia reso conto, ed anche questo non mi sorprende date le capacita' analitiche che, durante gli ultimi 15 anni, ha esibito nei suoi sapienti elzeviri. Vedi, il politologo medio italiano pensa ancora che game theory abbia a che fare con il tresette, e l'idea che, quando si annuncia un assioma, occorre anche chiedersi cosa implichi, gli sembra una pretesa esageratamente anglosassone. Insomma, roba da nerds, non da gente di mondo come loro, che vanno anche a prendere i premi a Lignano Sabbiadoro e fanno i consulenti scientifici alla grande Fondazione Liberal, inventata, diretta e maneggiata da tal Ferdinando Adornato (garantisco, intellettuale finissimo.)
Questo era il punto che volevo evidenziare: come modello normativo fa terrore perche' invita a farsi la guerra di clan nel peggiore stile latino-americano, con le conseguenze del caso. Come modello positivo descrive un mondo che non ho mai visto da nessun lato, certo non nei paesi che hanno liberalizzato con successo (Irlanda, Inghilterra, in parte Olanda, Danimarca e Spagna).
Che il professor AP possa scrivere con tanta saccenza cose cosi' poco ponderate e scientificamente giustificabili, m'ha ispirato altre riflessioni, che nulla hanno a che fare per se ne' con AP ne' con la questione di "modelli di liberalizzazione", e che quindi lascio per le altre fette di questa pizza. Essendo tali fette "alla diavola", ed essendo questa la settimana del "voemose ben" (o "tarallucci e vino" che dir si voglia) per grazia di quel buon'uomo di Matterazzi, rimando le fette piccanti alla settimana prossima, o a quella dopo ...
Ritorniamo alla questione di come avvengono, quando avvengono, le liberalizzazioni. E' chiaro che nelle democrazie parlamentari i differenti gruppi politici rappresentano differenti gruppi di interesse, ovviamente lo fanno, ma e' di una banalita' travolgente modellare il tutto con "tu freghi i miei ed io frego i tuoi." Per una ragione semplice: la composizione dei gruppi sociali e politici muta, la gente cambia lavoro e si sposta da un blocco sociale all'altro, liberalizzare un settore puo' far crescere il numero di persone li' occupate ma puo' anche farlo diminuire, con conseguenze elettorali ovviamente diverse. Inoltre, per ogni tassista che freghi, c'e' un cugino impiegato alla Pirelli che ci guadagna, e per ogni impiegata del privato super-tassata c'e' un avvocato evasore che le fa la corte.
Il che mi porta al punto che invece fa Rabbi , proponendo un modello di signalling come giustificazione delle affermazioni di AP. L'ipotesi di fondo mi sembra ragionevole, anche se preferisco scriverla usando il complemento: nessuno vuole monopoli, fatta eccezione per il proprio. Pero', se cosi' e', diventa abbastanza improbabile pensare che il gruppo X, che e' stato penalizzato dal governo al potere in t-1, sia disposto a sostenere al tempo t un governo che non "riaggiusta le cose". Questo perche', in generale, il grosso della ricchezza (nel senso del valore presente atteso, ecc.) di un individuo e' concentrata in pochi elementi del vettore di endowment aggregato. Quindi ci si guadagna molto di piu' a mantenere il proprio monopolio che star li a liberalizzare tutto il resto, perche' liberalizzare tutto il resto ha costi di transazione altissimi, e richiede anni se si parte da una situazione di forti monopoli. Per essere brutali: prima che i tassisti recuperino attraverso altre liberalizzazioni cio' che perderebbero se si completasse la liberalizzazione del sistema delle licenze occorreranno degli anni, tanti. Quindi, se domani Berlusca&Co tornano al potere, i tassisti non chiederanno di liberalizzare, chesso', le FF.SS. ma, semplicemente, di cancellare la Bersani. E la regola, ovviamente, vale anche a rovescio: l'unica mini-liberalizzazione di Berlusca l'aveva (quasi) fatta la Moratti introducendo i ricercatori a tempo determinato. E, ovviamente, Modica e Mussi hanno cancellato il tutto appena arrivati al ministero. Insomma, essere un liberalizzatore non mi sembra proprio goda di un valore simbolico positivo, certo non nel bel paese.
Mi rendo conto che questo porti ad un cul de sac, ma e' li' infatti che si trova oggi questo governo e chiunque voglia liberalizzare davvero in Italia: come convinci, o forzi, coloro che dalle liberalizzazioni ci perdono ad accettare la riduzione della loro ricchezza attesa? Perche' all'idea che liberalizzare fa bene a tutti io proprio non ci credo: se cosi' fosse, sarebbe successo da un pezzo. Visto che parecchi ci perdono, come si ottiene il supporto attivo di quelli che ci guadagnano? E sono costoro una maggioranza solida e decisa, oltre che consapevole dei benefici a venire? Esistono strumenti per compensare, almeno parzialmente ed almeno nel lungo periodo, quelli che ci perdono? Possono tali compensazioni ridurre l'intensita' dell'opposizione sociale e politica che le minime liberalizzazioni annunciate in questi giorni sembrano scatenare? Personalmente non so rispondere a queste domande, il che non e' tanto grave: io non faccio il ministro. Piu' grave mi sembra che ne' questo governo, ne' i partiti che lo sostengono, ne' i vari gruppi di "tecnici riformisti" che da anni discettano sull'argomento "liberalizzare" si siano posti queste domande, let alone le abbiano risolte.
Perche' il problema vero non e' se e' utile o meno privatizzare le Poste, le FF.SS. e l'Anas: ovvio che lo e'. Il problema vero e' riuscire a farlo nonostante l'opposizione feroce di postini, ferrovieri, e stradini tutti. E qui, temo, cadra' l'asino.
Sono vicino alla spiaggia tutto l'anno, ma bianco come una mozzarella: qui in ufficio il sole non filtra, la finestra da su un altro palazzone... In realta' sto pensando di trasferirmi qui, non pagherei l'affitto e avrei aria condizionata gratis d'estate e d'inverno.
MA veniamo alle cose serie. Tralasciando il caso PAnebianco e la mia personale considerazione su(lla maggioranza de)i politologi nostrani e non, che reputo dei chiacchieroni fuffaioli, con rare eccezioni, tutte estere o quasi. Ma non sono del tutto sicuro che la mia idea fosse chiara, percio' tento di spiegarla. Mettiamola in termini molto semplici: ci sono due gruppi sociali, A e B, e due partiti, C e D. In generale, A vota per C e B vota per D, ma ad ogni elezione valutano per chi votare (bayesianamente?) in base al record di leggi della legislatura precedente. In particolare, assumiamo che tutti quanti valutino positivamente il fatto che un partito sia un liberalizzatore, ma valutino negativamente che un partito liberalizzi un settore nel quale essi lavorano. Una strategia che entrambi i partiti possono seguire e' questa: C liberalizza i settori dove ci sono gli elettori B (che cmq voterebbero, ceteris paribus, per D), e D quelli in cui ci sono gli elettori A. Se (dico SE: ASSUMPTION) il value, per un individuo del gruppo A, di votare un partito liberalizzatore e' maggiore del costo della liberalizzazione nel suo settore, il ragionamento panebianchesco regge. Non c'e' reversal nelle riforme, perche' il partito perderebbe la reputation di essere liberalizzatore. Ogni liberalizzazione sarebbe irreversibile.
Se non ho capito male , il tuo counterfactual e': non si e' mai vista una cosa del genere. Ci ho riflettuto un po', e in effetti hai ragione. Mi viene in mente Reagan, la Thatcher, ma anche la Nuova Zelanda. Quest'ultimo caso e' divertente: i socialisti hanno cominciato a liberalizzare il mercato del lavoro e vari altri settori, poi hanno perso le elezioni e i conservatori hanno continuato a liberalizzare. Ma sempre nella stessa direzione. Forse il nostro problema e' l'orizzonte temporale. In questo davvero siamo keynesiani nel sangue: nel lungo periodo siamo tutti morti. A me e' sempre parsa la piu' grossa stupidaggine detta da un economista. NEl lungo periodo i miei figli sono ancora la', e i miei nipoti dopo di loro, e magari se migliorano un po' le tecniche di clonazione ci saro' pure io (si scherza, dai...). Ecco: vorrei un governo che guardasse al di la' del proprio naso. E soprattutto un governo che spiegasse alla gente vantaggi e svantaggi delle riforme che fa. Un buon politico non e' quello che fa pedissequamente quello che suggeriscono i sondaggi (che normalmente sono una cosa di breve periodo); un buon politico, se ritiene che una riforma vada implementata, la implementa; non c'e' consenso? allora la spiega, cerca di dare le sue motivazioni e di convincere la pubblica opinione della bonta' delle sue idee. Non ottiene consenso neanche cosi'? La fa lo stesso, se la reputa importante. Questa gente non ce l'abbiamo: una Thatcher che resiste ai minatori, un Reagan che licenzia i controllori di volo, non ce li abbiamo. Scusate per la lunghezza, ma la signorina indigena tardava e l'argomento mi aveva preso...