Il capitale si misura nelle unità di misura delle cose in cui è fatto. Le quali possono essere qualsiasi cosa, dipende dal processo produttivo che si consideri. Non ritengo, con questo, di dire qualcosa di originale: quanto segue ripete cose note a tutti ma che, per ragioni quasi misteriose, in certi ambienti economici italiani ancora non sembrano note o vengono date per 'contradittorie'. Non lo sono, sono invece molto ovvie.
Si prenda il modello di equilibrio economico generale con produzione più vecchio di tutti, ossia quello di John von Neumann nel 1937 - sì, lo so: prima ci sarebbero Walras, Cassel ed altri, ma tendono a fare casino per niente: quanto c'è di giusto in loro c'è in JvN, il resto è aria fritta e confusione, tipo Wicksell su cui molti, il mio amico AxeL più di tutti, si fanno inutili pippe.
Come si misura il capitale nel modello di JvN? In chili, direi io, o a spanne. Mi spiego.
Fate conto di essere un ingegnere super intelligente e con a disposizione tutto il computing power che volete. Come lo descrivete un processo produttivo? Beh, approssimativamente così: scegliete un'unità di tempo, tanto per cominciare, che vi permetta di parlare sensatamente di cose che "entrano" (inputs) e cose che "escono" (outputs). Se un processo ha tante fasi intermedie, lo rompete in tanti processi produttivi diversi: si pensi al tipico esempio del pane e si capisce subito come fare. Infatti, pensando all'esempio del pane si capisce anche come il grado d'integrazione verticale del processo corrisponda (quasi, qualche anomalia c'è sempre) monotonicamente al livello di aggregazione. Tanto per capirci: posso far finta che ci sia un processo molto integrato ed aggregato che produce pane cotto come output usando semi di grano, materiali intermedi, macchinari e vari tipi di lavoro come inputs. Oppure posso far finta che ci siano tanti processi: il primo usa terra, semi e lavoro del contadino per produrre un "campo seminato a grano" come output; il secondo usa il campo seminato a grano, il tempo del contadino, l'acqua e magari qualche diserbante o l'erpice per produrre un campo con le spighe di grano mature come output; il terzo usa il campo con le spighe di grano mature eccetera ... credo di essermi spiegato. In ogni caso "si fa finta": sono modelli, mica copie della realtà. Quale "finzione" sia la più appropriata dipende dalla domanda che si fa al modello ... ma sto perdendo tempo in dettagli.
In ogni caso, scelti l'unità di tempo ed il livello di disaggregazione in modo appropriato, fate un elenco degli inputs, misurandoli nelle loro unità: tanti chiodi lunghi 8 cm, tanti assi di legno lunghi 170 cm. e tanti altri lunghi 230 cm, tante corde di canapa di questo spessore, un martello, una sega, 4 ore di lavoro d'un falegname et voilà, ecco la croce a cui potete appendere il vostro povero cristo! Questo è un processo produttivo, o un'attività in teoria economica. Insomma, da JvN in poi, un'attività è una lista di inputs (x) ed una di outputs (y), tanto lunghe e dettagliate quanto ce ne sia bisogno. Fine: il capitale si misura con le misure che servono e non c'è proprio alcun problema. Il post potrebbe finire qui ma - visto che il nostro lettore è solo l'ultimo di una lunga serie che (magari via email) ha chiesto lumi sulla "critica neoricardiana" al "concetto neoclassico del capitale" e/o alla "determinazione" (or lack of it thereof) del tasso di profitto nei modelli di equilibrio economico generale - mi dilungo un po' di più al fine di portare il mio piccolo granello di sabbia ad un dibattito fra sordi che, da 50 anni a questa parte, cerca di far capire la teoria dell'EEG con produzione a della gente che proprio non vuole capirla.
Il buon JvN, per derivare un risultato concreto, fece l'ipotesi che la relazione fra inputs ed outputs fosse lineare. Disse: ci sono M industrie che producono N beni, nell'unità di tempo scelta. Ogni industria è definita da una coppia (a,b) di vettori di dimensione N: il primo è la lista degli inputs, la seconda la lista degli outputs. Se quei vettori li mettete uno accanto all'altro (in riga gli uni, in colonna gli altri) avrete due matrici rettangolari (MxN ed NxM) che chiameremo A (input matrix) e B (output matrix). Date A e B, un equilibrio consiste nel determinare i livelli di "attività" (chiamateli λ, dove λ è un vettore di dimensione M di numeri reali non negativi) di ognuna delle industrie. Notate che la maggior parte delle "industrie" avrà livello di attività zero: questo corrisponde ad attività obsolete ed inefficienti, che non è conveniente utilizzare, che sono ovviamente tantissime. Se scrivete λA= x, il vettore x così calcolato ha dimensione N ed elenca, per ogni tipo di bene in essere, la quantità aggregata del medesimo che è necessario avere per far funzionare le M industrie del sistema a livello λ. Se scrivete Bλ=y, il vettore y così calcolato ha dimensione N ed elenca, per ogni tipo di bene in
essere, la quantità aggregata del medesimo che si ottiene quando si fanno funzionare le M industrie del sistema a livello λ. In altre parole, la coppia (x,y) così definita è una sintesi della tecnologia usata, che indica gli inputs e gli outputs aggregati, quando il sistema viaggia a livello λ. Poiché, se ci pensate un attimo, un sentiero di crescita di una qualsiasi economia descritta da questo modello corrisponde ad una sequenza di λt, con t=0, 1, 2, ..., e ovvio che data la sequenza di λt , uno si può calcolare le sequenze (xt,yt+1) di inputs ed outputs aggregati. Insomma, si può descrivere la storia di questo sistema economico attraverso le due matrici A e B, la sequenza di λt ed una condizione iniziale. La teoria neoclassica della crescita studia le proprietà delle sequenze λt in funzione del tipo di matrici A e B considerate e di altri parametri che definiscono le preferenze degli agenti lavoratori/consumatori.
L'equilibrio in ogni periodo è determinato dal fatto che vi sono profitti uguali a zero e che gli inputs, utilizzati nell'insieme dell'economia, sommati al consumo, aggregato, devono in ogni periodo essere uguali all'output, aggregato, ottenuto all'inizio del periodo medesimo, ossia che deve valere l'uguaglianza xt + ct = yt. La condizione che i profitti siano zero richiede un po' di algebra, del tutto simile. Dal lato dei prezzi; definiamo quindi il vettore pt, di dimensione N, che elenca i prezzi al tempo t di ognuno degli N beni. Allora, il vettore dei costi di produzione unitari al tempo t, industria per industria, si scrive Apt=et ('e' sta per expenses), doveet è un vettore di dimensione M; i ricavi, sempre industria per industria, sono pt+1B=rt+1 ('r' sta per revenues); la condizione di profitti zero (indotta da free entry o concorrenza perfetta) ovviamente è che et = rt+1. L'equilibrio (domanda=offerta, prezzi=costi) si trova facendo un po' di algebra lineare ed un po' di dualità, entrambe chiarissime sin dall'originale articolo di JvN. In questo caso speciale, data una condizione iniziale ed una terminale, l'equilibrio è persino unico; se non vi piace la condizione terminale metteteci qualche criterio di scelta per il vettore di consumo.
Questi fatti matematici, in particolare la relazione di dualità e la soluzione del sistema via algebra lineare, sembrano avere impressionato molto il professor LL Pasinetti, che infatti ci ha scritto sopra quattro o cinque libri nell'arco di trent'anni; libri in cui ripete queste scoperte in tutte le salse possibili ed immaginabili. Un'intera vita accademica passata a rallegrarsi di aver capito il teorema di Perron-Frobenius ... de gustibus ...
Lionel, che invece scrive poco, sull'argomento ci ha scritto un teorema nelle sue lecture notes, ora pubblicate da MIT Press, ed un paio di papers tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60. Infatti, LMcK è andato un po' più avanti dicendosi - assieme ad altri, ossia Radner, McFadden, Morishima, Gale (David, not
Douglas), Malinvaud, Samuelson, Nikaido, Cass, Brock, Solow e svariati
ancora ... - che forse non serve che la relazione fra inputs ed outputs sia lineare. Non solo, si può assumere che, all'inizio di ogni periodo, ci siano degli esseri umani (chiamiamoli "famiglie") che possiedono gli inputs e che li vendono al miglior offerente e che, periodo per periodo, decidono cosa consumare e cosa produrre ... Ma qui le cose si fanno complicate ed arrivano sino a Truman Bewley (1982), avvicinandoci troppo pericolosamente ai giorni nostri, quindi lasciamo stare.
Nel caso generale e non lineare, comunque, basta dire che la coppia (x,y) di inputs ed outputs aggregati è ammissibile se è tecnologicamente compatibile data l'unità di tempo prescelta, e che esiste un insieme Y (in RN x RN) che raccoglie tutte le coppie aggregate ammissibili. Chiamiamo Y la tecnologia (neoclassica) di un dato sistema economico. Ora, lasciamo stare le ipotesi che si tendono a fare sulla struttura di Y, tale per cui diventa un cono convesso e chiuso, "puntato" all'origine e con sezione compatta. Sono, a mio avviso, ipotesi ovvie e veramente difficili da buttar via, ma non sono rilevanti per il tema in questione. Il quale si risolve semplicemente stabilendo un numerario (patate fritte croccanti del tipo 328) e calcolando i prezzi d'equilibrio. Il capitale cos'è? È il valore, espresso in patate fritte croccanti del tipo 328, di tutti i beni che sono in x (l'x che si utilizza in equilibrio) moltiplicati i loro prezzi, e sommati. Ossia p.x, che sarebbe il prodotto interno dei vettori p ed x, ma che il nostro editor mi cancella perché non accetta i due simboli < e > di prodotto interno con la virgola in mezzo ...
Fine, di nuovo. Misurato il capitale di nuovo: in patatine fritte croccanti del tipo 328, per chi ne vuole un valore aggregato, o in chili di questo e di quello per chi è meno impaziente ed è disposto a guardarsi item per item cosa c'è in x ...
Impossible, diranno quelli che a scuola si sono sorbiti dei signori improbabili che continuavano a sermonare (come capitò a me, i nomi li ometto perché sugli anziani non mi sembra il caso d'infierire) del "ritorno dee teniche" e di "indeterminatesa del taso de profito" e insensatezze similari, che hanno avvelenato l'accademia italiana (ed indiana, oltre a quella di Cambridge UK) per 50 anni. Non ci credete che sia tutto così semplice? Credetemi. Per capire quanto tempo (e quanto norte) avessero perso questi gentiluomini, vi spiego il grande teorema del loro santone, il signor Sraffa Pietro, che diede la stura a decenni di insensatezze. Ve lo spiego in una versione semplice, (2x2x2 = 2 beni, 2 fattori, 2 periodi) ma vi giuro su Rocco che vale in generale (se non ci credete, la prova sta qua, anche se ci sta del tutto per caso) ...
Allora, prendete un mondo dove lavoro e grano oggi producono grano e pane domani. Oppure, per stare più vicini al signor Sraffa, immaginate che lavoro e grano oggi producano lavoro e grano domani, che fa lo stesso e così parliamo di uno stato stazionario (o anche di uno steady state growth al tasso θ). Assumete che la maniera in cui si produce il lavoro sia descritta dal vettore x(L) e quella in cui si produce il grano sia descritta da x(G), questi sono gli inputs che corrispondono ad una unità di output di L e di G, rispettivamente. Gli isoquanti, insomma, in un mondo input-output senza produzione congiunta. Nella notazione di JvN introddotta prima, questo implica che la matrice A è composta dai due vettori x(L) ed x(G), mentre la matrice B è la matrice identità, I, visto che ogni industria produce un solo bene. Siccome la tecnologia è a rendimenti costanti di scala ed a coeffcienti costanti, per produrre si sta sempre sulle "diagonali" degli isoquanti, le quali sono determinate, nello spazio (L,G) (lavoro e grano, intesi come inputs), dai rapporti fra le due componenti dei due vettori x(L) ed x(G). Insomma il rapporto tra ore di lavoro e kili di grano usati nella produzione di lavoro per domani è fissa, idem per lo stesso rapporto nella produzione di grano per domani.
Quanto L e quanto G si produca per domani, come output, si determina usando le quantità disponibili oggi di L e G, chiamiamole Λ e Γ. Queste sono quantità date dal passato, ed offerte in modo inelastico, quindi vengono sempre utilizzate pienamente nella produzione, qualsiasi ne siano i prezzi (ipotesi cruciale, vedi sotto). Poiché assumiamo, con PS e seguaci, che la crescita sia bilanciata questo determina il tasso di crescita θ - che, oltre ad essere raggiungibile, deve essere comune ai due beni (in generale non serve proprio che lo sia, anzi: i nostri santoni, però, non hanno mai studiato un problema del genere, troppo difficile ... ci abbiamo pensato noi neoclassici!). Insomma, quello che si fa è risolvere un semplice problema di autovalore e si calcolano le quantità prodotte e la distribuzione di Λ e Γ in x(L) ed x(G). Questo corrisponde a calcolare il vettore dei livelli di attività λ per questa economia, tale che i due beni crescano ad un tasso comune θ. Perron e Frobenius, un'altra volta ancora. Ripetendo questo giochetto in tutti i periodi si trova la sequenza di quantità prodotte d'ognuno dei due beni: in sostanza, il grande testo sacro[vi invito caldamente a leggere, e correggere, la voce di Wikipedia in questione, la quale costituisce un raro mix di propaganda, confusione e menzogne: vediamo chi ne trova di più!] non è altro che un, confusamente descritto, caso particolare del modello di JvN pubblicato 23 anni prima ...
Domanda: ed i prezzi? Ossia, come si determinano il prezzo di G e di L, capitale e lavoro? Dipenderà da domanda ed offerta, direte voi. Esatto. Ma qui l'offerta è inelastica: Λ e Γ sono disponibili e vengono offerti in quantità data indipendentemente dal prezzo. D'altra parte, siccome la tecnologia è input-output, si va sulla diagonale egli isoquanti indipendentemente dal prezzo dei fattori. Quindi, SICCOME SI FANNO LE IPOTESI ESTREME di offerta perfettamente inelastica per tutti i fattori e di coefficienti di produzione assolutamente fissi per tutti i metodi di produzione, QUALSIASI coppia (p(L), p(g)) (salario e prezzo del capitale) è "supporting" della diagonale a QUALSIASI livello di produzione (perché la tecnologia è a rendimenti costanti di scala, quindi identica in tutti gli isoquanti).
AH! Ecco l'indeterminatezza della distribuzione del reddito! Il maledetto mercato capitalista non sa determinare i valori di p(L) e p(G) (salario e prezzo del capitale) simultaneamente! Ne può determinare uno solo, o la loro somma, ma non entrambi: l'altro va fissato esogeneamente, dalla politica o dal fato. Il sistema è indeterminato ed il capitalismo crollerà (l'avevano detto loro prima di GT, visto?) a causa di questa pericolosa indeterminatezza che crea instabilità nel sistema dei prezzi ...
Quindi il salario reale (o il tasso di profitto, ma loro preferivano il salario reale: così i membri della confraternita che non trovavano lavoro all'università andavano a guadagnarsi il pane ciarlando su "Il salario variabile indipendente" nei centri studi sindacali!) si determina fuori dal mercato, nella lotta di classe, o in quello che volete voi. Ecco la sintesi di TUTTA la teoria neo-ricardiana, ecco il fondamento di questa grande pippa che da 50 anni infesta e confonde la testa di generazioni di ragazzi e ragazze italiane. Non c'è assolutamente altro: un caso molto speciale di JvN, capito male e spiegato ancor peggio!
Direte: ma non bastava metterci un'offerta del lavoro, normal y corriente? Tipo: più lavoro più mi rompo; oppure: più gente lavora più occorre raschiare il fondo del barile e meno produttivi se ne trovano? Oppure un'offerta del capitale, inteso come risparmio, tipo: più risparmio più devono offrirmi un rendimento alto, altrimenti non mi conviene? O anche solo una bargaining function fra detentori del grano e detentori del lavoro? Non bastava riflettere su una cosina così semplice, e finiva tutto questo casotto cinquant'anni fa?
Certo, finiva tutto 50 anni fa ... ma se avessero ammesso che era tutta lì la critica alla consistenza logica della teoria dell'equilibrio economico generale, generazioni di strampalati personaggi come (una buona parte di) coloro che fecero finta d'insegnare la teoria economica a me, com'è che sarebbero poi andate in cattedra? Non scordiamoci che questa religione è una cosa tutta italiana, ed in Italia anche i "neo-ricardiani" tengono famiglia ...
Oh my God, Michele! Prepara elmetto, giubbotto anti-proiettile, e forse anche un bunker anti-atomico, perché mi sa che stavolta ti si scatena addosso la tempesta (e tu, birbante, ti ci diverti assai, dì la verità...).
Mah, tempesta in un bicchier d'acqua, credo. Quanti neo-ricardiani ci saranno rimasti anche in Italia?
E poi Michele non ha detto nulla piu' di quanto non abbia gia' detto
uncle Frank (Hahn) - magari in uno stile piu' sguaiato, ma non tanto
piu' caustico.
La cosa che non ho mai capito e' perche PG&friends si siano
incaponiti tanto su questioni marginali (no pun intended) quando i loro
eventuali fini politici potevano essere serviti anche
enfatizzando le limitazioni dei modelli alla Arrow-Debreu-McKenzie
(che, tra l'altro, furono pubblicati ben sei anni prima del libro di
Sraffa). Solo per rivivere la soddisfazione di aver vinto un dibattito
con Samuelson? Ma non gli conveniva, che ne so, parlare di mercati
incompleti e constrained Pareto sub-optimality? O partecipazione
incompleta (tipo OLG), o informazione incompleta o equilibrium
(in)stability/(lack of)convergence?
Btw, ce lo fai tu (o Alberto) un post anche su queste cose? Sono curioso di sapere che ne pensate.