Molti sostengono che le previsioni economiche non hanno validità scientifica. Lo diceva addirittura Michele Boldrin in un commento al post sui FU PIGS. Il passato non è una guida affidabile per il futuro, si dice, anzi spesso è fuorviante. Pertanto i modelli econometrici non possono essere una rappresentazione ragionevolmente accurata della realtà perché essa non è (a grandi linee) stabile nel tempo.
Il paradosso kafkiano
Allora per quale paradosso si continuano a produrre modelli e previsioni economiche usando modelli di un qualche tipo? Come mai alla quasi totalità degli economisti impiegati dal settore privato (al di fuori dell'accademia) viene chiesto di produrre tali previsioni? Visto che spesso mi sono guadagnato da vivere proprio facendo previsioni (ma ad amici e parenti mentivo dicendo che facevo il pianista in un bordello di New Orleans) proverò a chiarire l’arcano.
Il "forecaster" è un po’ come l’avvocato nel Processo di Kafka: non si capisce mai bene cosa faccia in concreto, è incoerente, sussiegoso, ma i clienti lo ritengono indispensabile. Insomma c'è sempre una domanda di previsioni per quanto imperfette perché per molti è naturale chiedersi cosa accadrà domani. Certo si potrebbero fare previsioni non basate su modelli econometrici, ma quantomeno un modello impone un certo grado di coerenza. Le nostre conoscenze sono comunque limitate, per cui conviene rassegnarsi e cercare di essere quanto più onesti possibile nello spiegare in cosa consiste la previsione in concreto.
L'equivoco semantico
Secondo me, alla base della confusione soprattutto tra il pubblico e tra i media c'è un equivoco semantico perché si usa il termine “previsione” quando in realtà si dovrebbe usare più correttamente il termine “scenario”.
In pratica per produrre "previsioni" economiche si parte da alcune ipotesi sul livello futuro (o sul tasso di crescita) di alcune variabili (nel gergo degli econometrici si chiamano variabili esogene) e attraverso una matrice di parametri (normalmente stimati con metodi statistici di varia natura) si calcola l’impatto su tutte le altre variabili (che gli econometrici chiamano endogene). Ad esempio si ipotizza che il tasso di cambio euro dollaro vada a 1,2 nel giro di sei mesi e attraverso delle equazioni che descrivono export ed import in funzione del tasso di cambio (con parametri stimati su dati storici) si calcola il disavanzo di parte corrente di un paese. Si badi bene che nel mio esempio l’ipotesi sul tasso di cambio è puramente ad hoc, vale a dire riflette l’opinione di chi fa la previsione, non un approccio “scientifico” o rigoroso. Può essere considerata completamente campata in aria (per taluni) o assolutamente realistica (per talaltri).
A seconda dei “modelli” (e del committente) si fanno ipotesi ad hoc per esempio sul prezzo del petrolio, sulla politica della Fed, sulla caccia alle balene, sulla deforestazioni in Indonesia, sulle elezioni di mid-term in America e quant’altro. A volte però le ipotesi sulle variabili esogene non sono completamente ad hoc, ma hanno basi un po' più solide. Ad esempio il deficit pubblico è una decisione iscritta nella legge di bilancio con un anno o più di anticipo, i salari vengono stabiliti in contrattazioni collettive (in Italia o in Germania) per due o tre anni. A volte, come in questo periodo, è ragionevole aspettarsi che la Fed e la BCE non cambino i tassi di interesse a breve fino a dopo l’estate e probabilmente fino al 2011, perché così lasciano intendere nei loro comunicati.
Alcune previsioni sono volutamente "sbagliate"
Un altro aspetto curioso riguarda la natura delle previsioni (o per meglio dire degli scenari): essa è molto diversa a seconda dell’uso che se ne intende fare. La rilevanza e l’accuratezza dello scenario dipende in parte da chi è il committente (stavo quasi per scrivere "l'utilizzatore finale", ma mi sono trattenuto in tempo). A volte al committente non interessa affatto che le “previsioni” siano accurate. Anzi chiede di fare previsioni sbagliate, o per essere più precisi chiede di produrre uno scenario anche se sa che non si realizzerà mai.
Un caso famoso è quello della Banca Centrale Europea. Ogni sei mesi vengono pubblicate le previsioni (lo scenario) dello staff (un esercizio lungo e complesso a cui partecipano tutte le banche centrali dell’area euro). Questo esercizio è volutamente irrealistico perché innanzitutto è costruito sull’ipotesi che i tassi di cambio ed il prezzo del petrolio rimangano stabili ai livelli registrati quando si “fa girare il modello” cioè quando si immettono i dati e si tirano fuori le tabelle. Ma in più presume che i tassi di interesse della BCE rimangano invariati per tutto l’orizzonte previsivo.
Il motivo è abbastanza semplice: il Consiglio Direttivo della BCE vuole capire dove andrebbe l’economia europea nei due anni successivi (con maggiore enfasi sui successivi due o tre trimestri) se la politica monetaria (e tutto il resto) rimanesse invariata. Se la traiettoria che lo scenario disegna mostra che l’inflazione tende ad aumentare allora i membri del CD saranno propensi ad aumentare i tassi, o quantomeno discuteranno seriamente l'eventualità (poi magari decidono altrimenti, ma lo "scenario" aiuta a circoscrivere il dibattito su un terreno comune).
Ma se un risparmiatore o un fondo decidesse di vendere o comprare titoli a reddito fisso perché le “previsioni” pubblicate sul Bollettino Mensile della Banca Centrale Europea indicano il tasso di inflazione in salita o in discesa sarebbe un imbecille. Per prendere decisioni di questo tipo dovrebbe utilizzare un modello che contempli la risposta di politica monetaria alle pressioni inflazionistiche.
Un altro caso (di cui però non tutti conoscono i dettagli) sono le previsioni semestrali del FMI. Esse sono formulate sull’ipotesi che tutti i circa duecento paesi membri ritornino durante l’orizzonte previsivo al livello di crescita potenziale del Pil (questo è un altro concetto estremamente ambiguo, ma magari se ne parlerà in un post futuro se c'è abbastanza interesse).
Quindi per esempio le “previsioni” della BCE, del FMI e di Morgan Stanley non sono confrontabili e tantomeno aggregabili. Sono semplicemente scenari fatti per motivi diversi e basati su ipotesi assolutamente non comparabili. Però moltissimi cosiddetti "professionisti di mercato" (per non parlare dei giornalisti) guardano a Consensus Forecast, una pubblicazione che aggrega previsioni diverse ed estrae una media che è fuorviante.
Le previsioni come misura di interpretazione della realtà
E coloro che formulano delle previsioni per investire? Sono tutti degli idioti che non si rendono conto che il passato non è una guida per il futuro? Non tutti. Alcuni capiscono cosa stanno maneggiando, ma devo dire che ho conosciuto gestori di grandi fondi che lasciavano di stucco per la loro dabbenaggine.
Comunque sia, quelli che hanno cognizione di causa usano gli scenari come una metrica. In altri termini guardano le "previsioni" (lo scenario) e le considerano una sorta di livello “normale” (in gergo si dice baseline scenario). Quando, man mano che il tempo passa, la realtà si discosta dai numeri dello scenario cercano di capire se la causa è lo scostamento dalle ipotesi sottostanti o c’è qualche anomalia rispetto al passato che indica rischi o opportunità. Insomma lo scenario diventa un punto di riferimento per interpretare la realtà (i dati sul Pil, sull’occupazione, sul credito, sull’inflazione, sui profitti etc. etc) non per scommetterci ciecamente dei soldi. Lo stesso dicasi per chi deve prendere decisioni di politica economica. Il bilancio dello Stato e' formulato utilizzando alcune ipotesi. Se in corso di esecuzione le ipotesi non si realizzano lo scostamento segnala un campanello di allarme (quantomeno per quelli che hanno la mia stessa forma mentis).
C'è poi un altro aspetto di cui si parla poco (per quel che ne so) ma chi si guadagna la pagnotta (ed occasionalmente un po' di companatico) maneggiando dati macro capirà al volo cosa intendo. Per produrre uno scenario ragionevolmente utile la parte più importante del modello non sono le equazioni con parametri stimati (o a volte calibrati), ma le identità, che per usare un termine meno tecnico io chiamo il "quadro contabile di un’economia", vale a dire l’aggregazione delle componenti e subcomponenti del Pil, della forza lavoro, la composizione dei salari e soprattutto il dettaglio delle variabili fiscali inclusa la struttura del debito pubblico. Compilarlo bene è un lavoro improbo, ma essenziale. Purtroppo pochi hanno le risorse ed il tempo per farlo in modo accurato. Ma ho visto modelli con tre o quattro equazioni e una quarantina di identità che davano un’idea molto più precisa delle realtà rispetto a modelli monstre che necessitano di una workstation dedicata per produrre una simulazione.
Concludo con un aneddoto. Tanti anni fa un team di economisti in una banca della City produsse un modello che prevedeva con sorprendente accuratezza le decisioni della Banca di Inghilterra sui tassi. Ovviamente vennero licenziati. Quando un modello ci azzecca sempre (come direbbe Di Pietro), gli economisti diventano inutili.
Vero. Un modello è, appunto e innanzitutto, un modello.
Nessuno si aspetta che il modellino in scala 1:50 di un edificio possa servire ad altro che apprezzarne i rapporti volumetrici, però dai modelli matematici ci si aspettano miracoli e, soprattutto, completezza (il fatto che ci siano teoremi che affermino l'impossibilità di questa cosa è irrilevante). Non si riesce a capire il fatto che un modello é una rappresentazione incompleta e che quindi lo scopo per cui è stato sviluppato ha un'importanza fondamentale nel capirlo.
Più che un equivoco semantico è più un equivoco culturale: non si ha chiaro cosa sia un modello, non se ne conoscono gli strumenti e non si ha un'idea delle dinamiche che devono essere rappresentate.
Questo è complicato, in questo caso, dall'elevata complessità dell'oggetto del modello.
Una sola critica: non è vero che se il modello ci azzecca sempre gli economisti sono inutili, semplicemente perché un modello NON può azzeccarci sempre: potrà essere particolarmente potente, ma:
PS: In tutto questo cosa succede? Che, se il contesto di sviluppo e di utilizzo del modello non è controllato, è facile per persone poco serie improvvisare modelli. Tanto, se non si sa leggere quel modello e lo si giudica solo dall'esatezza dell'output finale...
Concordo con Fabio e con Marco, ma aggiungo un'osservazione. Marco paragona i modelli economici ed econometrici a modellini 1:50 di edifici. Giusto (magari un po' ingeneroso, o magari sono ingeneroso io a spingere il suo esempio a livello di paragone assoluto!), e questo e' alla base del problema: i modelli economci ed econometrici non sono modelli scientifici, quanto meno perche' manca uno dei tasselli fondamentali del metodo scientifico: la sperimentazione. Quanti sono i casi in cui un modello economico e' stato oggetto di sperimentazione?
Il problema, a occhio, sta nel fatto che, come nella meccanica quantistica, ma in misura ben maggiore, l'impatto di un esperimento sul sistema in questione e' qualcosa di non trascurabile. Oso avanzare l'ipotesi che il sistema in questione, nello specifico, e' composto molto piu' da esperimenti (non scientifici) che da un sistema autonomo. Mi spiego meglio: l'intervento umano e', in fisica come in economia, l'esperimento. Lo chiamo scientifico solo se c'e' una teoria alle spalle. In fisica il sistema esiste anche senza gli esseri umani, in economia no. Eventi esterni (un vulcano islandese puo' avere un impatto sull'economia) esistono ma sono rari. Gli interventi umani in una certa misura sono il sistema. Gli interventi umani con una teoria economica alle spalle, sono piu' rari.
Caso particolare, i mercati finanziari. I modelli (matematici, di cui mi occupo, e non matematici) sono sperimentati quando si investe. Molto di rado c'e' una consapevolezza che il vero esperimento e' ottenibile solo mediante l'investimento (tanti colleghi continuano a credere in buona fede che una simulazione MC sia un esperimento...). E molto di rado c'e' una ricerca sull'impatto che l'esperimento puo' avere sul mercato. Tanto per fare un esempio ovvio, la crisi finanziaria che va da agosto '07 a oggi (e chissa' per quanto durera' ancora), la si puo' semplificare come un generalizzato eccessivo uso del credito. Vale a dire un esperimento (sul mercato si sono fatti billions di investimenti) non scientifico (nessuno si e' curato di misurare che il credito fosse troppo) le cui possibili conseguenze sono state ignorate fino al momento in cui si e' iniziato (tutti) a ricevere legnate sui denti...
@ Marco E' vero, un modello non puo' azzeccarci sempre e per sempre, ma intendevo dire (con una punta di ironia), che se (per assurdo) si trovasse il Modello Perfetto (in analogia al Grande Avvocato evocato ne "Il Processo") gli economisti che lo avessero elaborato diventerebbero ipso facto inutili.
Comunque ho trovato il commento estremamente ben argomentato e credo che fornisca una ulteriore serie di spiegazioni molto utili per far capire l'utilizzo corretto dei metodi quantititativi nella pratica di tutti i giorni.