Innanzitutto, è chiaro che Zopa non operava nel rispetto delle norme bancarie. Zopa, nonostante le raccomandazioni preventive comunicate in fase di accettazione dell'iscrizione nel registro degli intermediari, raccoglieva di fatto depositi su un proprio conto pur non essendo autorizzata a farlo. Zopa avrebbe dovuto essere un intermediario (un puro broker) che effettuava esclusivamente servizi di pagamento attraverso una piattaforma per mettere in contatto lenders e borrowers. Non ci sarebbe dovuta essere alcuna intermediazione: questo era il progetto e questo era quanto autorizzato. La autorizzazione preventiva sembra essere stato un atto (forse incauto) di buona volontà da parte del regolatore.
Per Zopa era decisamente meno costoso (in termini di costi per bonifici, spese amministrative del conto; ecc.) operare con un singolo conto che mettesse assieme i fondi dei prestatori piuttosto che mantenere singoli conti intestati ai prestatori, garantendo la separatezza dei patrimoni, come invece prospettato in una delle soluzioni proposte. Che questo sia completamente fattibile è ovvio a chiunque abbia un conto con un broker USA (esempio, Fidelity) che infatti mantiene presso una banca conti completamente separati per ognuno dei suoi clienti. La motivazione per far questo è ovvia e non mi ci dilungo.
Zopa, invece, acquisiva di fatto la titolarità dei fondi dei propri clienti e li metteva tutti in un'unica pentola: in media e in modo stabile, Zopa manteneva nel conto un saldo rilevante formalmente da essa detenuto. Questa è la raccolta abusiva. Il fatto che il contro fosse infruttifero, anche se garantisce la buona fede di Zopa, è irrilevante. Siccome Zopa fin dall’inizio non ha purtroppo garantito la segregazione del patrimonio dei lenders, quando si è trattato di realizzarla effettivamente vi è stato un problema di tempi. Ci voleva tempo, oltre quello previsto dalla legge (la legge 241 sui procedimenti amministrativi) per prendere una decisione da parte di Bankitalia, che è stata costretta ad intervenire. A Zopa rimane comunque la possibilità di mettersi in regola e chiedere la reiscrizione.
Nei commenti sono state poi sollevate, anche dal sottoscritto, critiche di ambiguità nel comportamento di Bankitalia. Abbiamo accertato che il ritardo temporale fra iscrizione e ispezione è dovuto al fatto che l’iscrizione venne effettuata quando responsabile del controllo sugli intermediari ex art. 106 era l’Ufficio Italiano dei Cambi (presieduto dal Governatore, ma con un’amministrazione del tutto separata e autonoma rispetto alla Banca d’Italia). Solo dall’inizio del 2008 l’UIC è confluito in BI, ed è passato del tempo prima che BI potesse dotarsi di una adeguata struttura per vigilare questi intermediari, che son più di mille ed hanno pratiche, modi di operare (e possibilità di truffa) completamente diversi.
In sostanza, rimane forse inalterato il giudizio iniziale riguardo alla difficoltà ad innovare ed entrare nel mercato dell'intermediazione bancaria, ma questo sembra essere dovuto più a carenze legislative e ad una "povertà tecnica" di ciò che offre il sistema Italia che ad arbitrarietà o cattiva volontà nell'azione del regolatore bancario.
La valutazione del caso specifico da parte di Andrea Moro si è meglio qualificata sulla base di precise informazioni.
Devo dire che sono generalmente condizionato da un pregiudizio a favore di Banca d'Italia e a sfavore del blog di Zopa. E' vero che questo pregiudizio ha vacillato nel passato, ma insomma io vedo adesso ampie ragioni per confermarlo. Quindi, lo confesso, parto ad esaminare i casi specifici sulla base di un pregiudizio che cade davanti a esplicite prove a sfavore, ma che non chiede preliminari prove confermative.
Più in generale e prescindendo totalmente dal caso specifico, non concordo sulla valutazione complessiva di Andrea Moro. Lo schema di intermediazione diretta risparmiatore-impresa non regge. E' uno schema pericoloso e di debole difesa del risparmiatore, anche in assenza di qualsiasi irregolarità. Non posso fermarmi nell'impresa davanti a cui passo andando in auto in ufficio per chidere se posso investirci i miei risparmi. L'impresa che si rivolge direttamente ai risparmiatori deve rispettare diverse regole di cautela (del tipo prospetto di emissione, regole di governance, regole di trasparenza, ...). E per quale ragione posso invece fermarmici su un canale di comunicazione telematico ?
Lo schema che meglio difende il risparmio si basa su intermediari che "lavorano" il rischio. La banca difende in modo incisivo il risparmio popolare (sembra incredibile vero ?). Quindi, se fossi io il grande coordinatore della vigilanza sugli intermediari e sui mercati finanziari, darei indicazioni restrittive su Zopa e le sue sorelle.
Non sono d'accordo: purchè il prestatore potenziale sia informato del diverso livello di garanzia non vedo perchè non lasciargli scegliere di fare un' investimento di questo genere.
I prospetti informativi che le imprese devono pubblicare per finanziarsi sul mercato sono utili solo per gli investitori professionisti, per tutti gli altri rappresentano una garanzia puramente formale. Il modello di Zopa e simili è diverso, basato sulla fiducia degli investitori nei gestori della piattaforma.Una volta assicurata la legittimità di questi enti non vedo perchè non lasciare ai singoli la scelta di fidarsi o meno.
In effetti moral hazard e agencyproblems non scompaiono magicamente se si usa Zopa. Tuttavia mi permetto di segnalare alcune considerazioni di W. Easterly in merito alla recensione di un libro di V. Smith:
"The standard “rationality” model that looks at only explicit constraints and logical reasoning (“constructivist”) is way too simplistic for Smith.
An example is the well-known two-player game, the prisoner’s dilemma, when each player gets a higher payoff by cheating if the other doesn’t. The payoff is still very high if neither cheat, and it is the lowest if both cheat. Rational behavior predicts that both players cheat and hence wind up with the lowest payoff. Yet laboratory experiments with real human subjects and real money find that both refrain from cheating surprisingly often". In particolare:
Per quanto mi riguarda aggiungerei soltanto che anche gli importi in gioco possono avere qualche importanza. Off topic mi viene in mente che spesso (in particolare in Italia) ciò che viene punito è il furto in quanto tale e la punizione non cresce proporzionalmente al valore della refurtiva e alla reiterazione.
Tornando al tema in questione: per importi di ammontare limitato i costi indiretti del default per la controparte insolvente possono essere assai superiori ai vantaggi immediati.
Sono parzialmente d'accordo con lei. E' sostanzialmente condivisibile quando dice
Tuttavia io, da liberista convinto, credo che il mercato debba innovarsi di tanto in tanto. In questo senso il social lending altro non è che un'innovazione bella e buona che garantisce ai borrowers minori tassi di interesse passivi rispetto al mercato creditizio tradizionale. Esiste una possibilità di default, ovviamente, ma dove non esiste? Un'altra domanda: come mai nei paesi anglosassoni il SL va bene e non c'è alcuna istituzione o autorità statale che ne impedisca la diffusione (tralasciando la legislazione)?
Infine, definirei il comportamento di Bd'I legittimo (almeno secondo le normative vigenti..), ciò nonostante non posso esimermi dal dire che in questo modo si riduce la concorrenza nel settore creditizio, rafforzando di fatto le posizioni 'privilegiate' dei grandi gruppi bancari italiani.
Concordo con Giulio Tagliavini: anche a me sembra che lo schema più adeguato per difendere il risparmio si fondi su intermediari che 'lavorano il rischio'. Cioè che, a proprio rischio, prestano potere d'acquisto ai richiedenti e che, sempre in proprio, si rendono garanti in contropartita con i depositanti.
Non credo sia migliore lo 'schema diretto' (risparmiatore-richiedente credito) perché nessun risparmiatore ha adeguate capacità di analizzare i rischi di credito. E questo per diversi motivi, non ultimo quello relativo alla qualità dei dati che il richiedente fornisce. La quantità di richiedenti 'opportunisti' (per dirla alla Williamson), o 'imbroglioni' (per decodificare Williamson con le sue stesse parole), sembra essere sempre in agguato. Le banche hanno sicuramente migliori strumenti per difendere e per difendersi e, in Italia, hanno la possibilità di migliorare di molto.
Restano comunque aperti diversi problemi. Ad esempio un problema di competitività e, quindi, di barriere all'entrata nel settore bancario; ma ache un problema di barriere all'uscita. Si dovrebbe affrontare la questione da entrambi i lati: il che mi sembra una posizione platonica... Abbiamo visto, e stiamo osservando oggi con i nostri occhi, come la faccenda delle barriere all'uscita sia estremamente complessa; talmente complessa che è tornato di nuovo quasi tutto nelle mani dello Stato (l'IRI degli anni 30 ha fatto scuola). Con buona pace di chi voleva scindere la stabilità dalla competitività nel settore bancario: alla luce dei fatti si vede ora che si trattava di anche in questo caso di posizioni platoniche.