In prima pagina sul Corriere della Sera del 20 agosto 2010 compare, a firma di Massimo Sideri, un articolo sulla Foxconn, l'azienda cinese che con i suoi 900.000 (sì, quasi un milione!) di dipendenti produce Ipad e Iphone per Apple Inc. L'azienda ha di recente aumentato gli stipendi ai propri dipendenti (mettendo pressione sui salari di tutto il sistema cinese) e sta progettando di espandersi, assumendo altri 400.000 dipendenti.
Fenomeni di questo tipo sono importanti per chi si interessa di economia. Possono contenere segnali sulle tendenze del commercio internazionale, sullo sviluppo delle relazioni industriali in Cina, sulla lotta alla povertà in Asia. Sarebbe auspicabile che il maggiore quotidiano nazionale affrontasse questi temi con un po' di competenza e di analisi. Invece il giornalista prende spunto dal fatto che negli ultimi 8 mesi alla Foxconn ci sono stati 11 suicidi per sentenziare che la decisione sulle nuove assunzioni e regole contrattuali:
È come una dichiarazione di colpevolezza: ci sono voluti 11 suicidi e altri 3 tentativi non riusciti in soli 8 mesi per portare il problema degli schiavi dei tablet all'attenzione del mondo.
Al lettore viene quindi detto che è per colpa di questa fabbrica che la gente si suicida. Meno male però, si aggiunge, che adesso si corre ai ripari: perché i lavoratori di questa fabbrica che "lavorano 7 giorni su 7 dalle 4 del mattino a mezzanotte" per produrre Ipad e Iphone che "non potranno mai permettersi in un negozio" (ci mancherebbe!) ..... potranno in futuro "allontanarsi qualche ora dal nastro del fordismo della fabbrica globale senza il terrore di guadagnare di meno e non arrivare a fine mese..."
L'ignoranza economica e il pregiudizio che trasudano da questo articolo sono veramente formidabili. Nessuno nega la durezza delle condizioni di vita in fabbrica nei paesi in via di sviluppo (vi ricordate qualche racconto dei vostri nonni, o dei padri per quelli non così giovani?), ma come fa Massimo Sideri a collegare con tanta sicurezza questi suicidi alle condizioni di lavoro nella fabbrica? Ha aperto Internet? Wiki? Glielo ha detto un suo amico ben informato? Su cosa si basa, insomma, la sua sentenza?
Una prima domanda, semplice semplice, che un articolo di giornale decente si dovrebbe porre è: 11 suicidi in 8 mesi, su 900.000 dipendenti, sono tanti o pochi? Per chi è ignorante in materia, come me, può aiutare il sito Istat: in Italia il tasso medio di suicidio nella popolazione in eta lavorativa è intorno al 5 per 100.000 per anno. Facendo due conti (che anche Sideri può fare collegandosi al sito Istat o a quello della Organizzazione Mondiale della Sanità) si deduce che in un gruppo di 900 mila italiani, si avrebbero in media 5 x 9x(8/12) = 30 suicidi ogni 8 mesi.
Noto incidentalmente che gli esperti ritengono che questo numero sottostimi il vero numero di suicidi, poiché le statistiche ufficiali non rilevano molti suicidi mascherati come morti improvvise, per vergogna familiare o motivi assicurativi (si veda, per esempio qui).
Quindi 11 suicidi non sembrano un numero elevato su una forza lavoro cosi grande. Il numero diventa ancora meno stravagante se paragonato con il dato medio dei suicidi nella popolazione cinese che, come ci informa la Organizzazione mondiale della sanità, è più del doppio di quello italiano. Si puo cercare il pelo nell'uovo andando a guardare i dati per classi di età, tipologie (sesso, popolazione di lavoratori o disoccupati, adolescenti vs anziani, singolo impianto dell'azienda) ma i conti sembrano indicare che 11 suicidi in 8 mesi su 900.000 persone non sono molti, anzi sono decisamente sotto la media. Se ho travisato i dati correggetemi.
Per esser chiari (chi ha capitò puo chiudere qui): non sto dicendo che un suicidio non sia un fatto grave, e nemmeno che nelle fabbriche cinesi si viva alla grande. Non è (ovviamente) questo il punto, che invece al giornalista piace sottolineare (informandoci anche che una suicida aveva 22 anni, informazione a quanto pare fondamentale). L'unica domanda che mi pare interessante su Foxconn è se gli 11 suicidi siano o no straordinari rispetto a quanto accade nel resto della popolazione di riferimento. Se questi fossero dovuti al fatto che la gente lavora 7 giorni su 7 etc etc…, allora dovrebbero essere più alti rispetto all’incidenza dei suicidi nel resto della popolazione. Ma i dati - ahimé, l'unica cosa che abbiamo per non ritornare agli aruspici - indicano che non lo sono, anzi sembrano indicare tassi nettamente inferiori alla media della popolazione di riferimento.
Questo giornalismo sciatto è un problema. Non è solo che un giornalista di un importante quotidiano non sappia fare un ragionamento elementare su un conto ancor più elementare, o che il suo direttore non capisca che sta pubblicando in prima pagina un articolo che non dovrebbe essere accettato come ''sufficiente'' nemmeno per un tema di prima liceo. Il problema, più grave, è che i lettori del Corriere siano indotti a leggere un fenomeno epocale, come quello del risveglio economico della repubblica popolare cinese, per mezzo di aneddoti e numeretti scelti ad arte per colpire i sentimenti umani che allignano in quasi tutti (i non-cinesi), sobillando la montagna di pregiudizi sulla cattiveria e crudeltà delle multinazionali (Steve Jobs che chiede scusa…), oltre che ovviamente dei cinesi stessi.
La fine del lavoro low cost si prevede senza fare tante capriole condite da accuse infondate: che i salari seguano la produttività, prima o poi, è un fatto noto del processo di sviluppo economico. La torta cresce e, con qualche sgomitata, alla fine ognuno (produttori e lavoratori) ne porterà a casa una fetta più grande. È successo gia molte volte in tanti paesi e in tante altre epoche storiche. Ma la logica e la coerenza degli argomenti pare interessino poco il giornalismo italiano dove, purtroppo per l'informazione economica, una buona caricatura vale più di mille fatti.
"Il letto è il posto più pericoloso del mondo: vi muore l'80% della gente."
Mark Twain