Reportages e testimonianze come questa sul Washington Post si succedono oramai con frequenza quotidiana su tutti i giornali che leggo, siano essi quotidiani, settimanali o mensili. Infatti, sara' che si avvicinano le elezioni e la stampa anti-Bush ci da dentro, ma anche The New York Times contribuisce il suo sassolino alla montagna di colpe che ci sta seppellendo.
Abbiamo voluto far la guerra ed invadere l'Irak, per tre ragioni dichiarate
(1) Perche' Saddam stava per o si era o si sarebbe molto probabilmente alleato con Al-Qaeda.
(2) Perche' Saddam aveva l'atomica o le armi chimiche o stava per averle o le avrebbe probabilmente avute molto presto.
(3) Perche' Saddam era odiato da quasi tutta la sua gente che voleva invece la democrazia. La grande maggioranza del popolo irakeno sarebbe stata felice di veder Saddam morto e di avere l'opportunita' di costruire un paese arabo democratico e piu' o meno libero sia della ferocia del dittatore militare sia dalle follie dei religiosi.
Erano tutte e tre ragioni false. La terza, col senno di poi, sarebbe stata sbagliata anche se fosse stata vera, ma questo e' un argomento differente da quello che voglio trattare oggi.
Che (1) e (2) fossero due grandiose e penose balle propinate dall'amministrazione USA al suo popolo - e solo al suo popolo: nessuno da Roma a Mosca, da Delhi a Beijing, da Ottawa a Buenos Aires, credette per un momento alle affermazioni di Bush, Cheney, Rumsfeld e Powell - per farlo sentire bene "moralmente" il giorno che iniziassero i bombardamenti, non ci pioveva. Il popolo americano, tutto: sia quello di "destra" che quello di "sinistra", e' ammalato di "self-righteousness", un concetto che non so come tradurre per cui ve lo descrivo. Ogni cosa che fanno, specialmente se e' un'azione di politica estera, devono far finta che risponda a grandi principi morali. Sia chiaro, lo stesso vale quando vi suonano all'incrocio perche' avete svoltato nella corsia dove volevano passare loro fra dieci minuti, ma e' nel caso della politica estera che si raggiungono i livelli supremi.
Devono illudersi che ogni atto militare USA risponda al bene dell'umanita', perche' un grande ed ingiustificato pericolo ci sta arrivando addosso ed occorre difendersi. Dai "guerriglieri sandinisti/comunisti" che Reagan vedeva passare dal Nicaragua al Guatemala e dal Guatemala al Messico per poi invadere il Texas, sino alle atomiche di Saddam, la storia delle guerre USA e' un susseguirsi di giustificazioni di questo tipo. A volte, ovviamente, la giustificazione era vera, come nel caso della II Guerra Mondiale; siccome lo sanno il paragone con il nazismo viene invocato ad ogni pie' sospinto dai politici manipolatori. Altre volte e' inventata, come nel caso di Allende o di Ortega o dell'Irak. In tutti i casi, comunque, i cittadini americani sentono unanimemente il dovere di bersi tali favole.
Cosi' successe anche allora, com'era successo dopo l'11 settembre: facevano tutti finta, anche quelli che per Bush mai avrebbero votato, che il presidente dicesse la verita'. Facevano tutti finta che qualcuno di pericoloso e misterioso avesse dichiarato guerra al mondo ed a noi in particolare, perche' questo gli permetteva di fare il tifo per "our troops" al telegiornale delle 6 della sera, sentirsi patriottici e pensare che Hollywood, alla fin fine, fa proprio dei bei film realisti e che, senza noi americani, chissa' dove andrebbe il mondo. Soprattutto, nessuno deve dubitare che il presidente non rappresenti tutti noi, che non voglia esattamente il bene di noi tutti e che "our boys" non siano i piu' bravi e benevolenti soldati mai esistiti. Non lo fo per amor mio ma per far un piacere a Dio (ed all'umanita' tutta) e' il motto della politica estera USA.
Questa tiritera sui fondamenti morali, per cosi' dire, delle entrate in guerra USA non la sto mettendo a caso per riempire delle righe, ma perche' e' QUESTO particolare meccanismo che sta ora alimentando e mantenendo ad libitum la nostra disgraziata presenza in Irak.
L'ipotesi (3) era piu' credibile, ed io sono uno dei gonzi che ci credette. Ci scrissi sopra anche degli articoli sui giornali spagnoli, argomentando che valeva la pena tentare l'operazione perche' era una reazione legittima, anche se rischiosa, alla situazione post 9/11 ed all'evoluzione interna al mondo islamico dagli anni 70 in poi. Non e' andata cosi', mi sembra chiaro. Anzi, e' andata esattamente a rovescio.
NESSUNO dei sotto-obiettivi che il punto (3) implicava e' stato raggiunto, assolutamente nessuno. A quelli che alzeranno a questo punto la mano dicendo "Oh no, Saddam non c'e' piu' ed il mondo e' un posto migliore senza di lui" rispondo che si sbagliano. Saddam, forse, non c'e' piu' ma ci sono almeno altri dieci potenziali Saddam, tali e quali lui, e tutti pronti a governare l'Irak appena possibile. E, mentre noi stavamo concentrati sulla santa guerra in Irak, Iran e Corea del Nord prendevano fiato e coraggio per creare due situazioni di rischio mondiale molto peggiori di quanto fosse l'Irak di Saddam (perche' li' si' che le atomiche ci sono o stanno per esserci), mentre il Sudan approfittava delle medesime circostanze per portare avanti un eccidio che fa impallidire quelli gia' giganteschi di Saddam. E noi non possiamo farci nulla. Perche'? Perche' siamo in guerra in Irak.
Sappiamo d'aver creato un disastro, un disastro che non si riesce nemmeno a documentare. Sappiamo - anche se probabilmente mai saremmo in grado di provarlo: ma lo sappiamo lo stesso - che tutto questo e' avvenuto in mala fede, sulla base di menzogne sistematiche e pianificate da questa amministrazione. Sappiamo che non avevamo nessun piano ben definito per portare la democrazia quando siamo entrati in guerra ed ancora meno abbiamo alcun piano oggi per uscirne. Sono un lettore avido di tutto cio' che appare sulle cosidette riviste di affari internazionali - una pena intellettuale mostruosa, ti fanno sentire Einstein solo perche' fai un minimo di teoria economica, sembrano scritte da dei minus habens - e non riesco a trovare da mesi nessuno che abbia una menche' minima idea del "Che Fare?". Tutti riescono solo a ripetere: "stay the course".
Sia chiaro, quelli che dicono "stay the course", con l'eccezione del comandante maximo, non lo dicono perche' pensano possa produrre finalmente il risultato desiderato, ma perche' ammettono che qualsiasi altra scelta appare a loro ancor peggiore. Non sapendo che cosa suggerire come alternativa, lo status quo vince per ragioni d'inerzia, e solo per questo. Basta leggersi Krauthammer, una sintesi della cui paranoica visione del mondo alla dottor Strangelove ho tracciato mesi fa qui, per rendersi conto che nemmeno lui ha piu' la capacita' di raccontare le balle guerrafondaie che ha raccontato per quattro anni. Oramai si avvita ogni settimana sempre di piu' su se stesso, cercando nel nuovo capetto Irakeno voglioso di far finta d'essere l'alleato chiave degli USA, la soluzione taumaturgica al disastro Irak. Dream on ...
Ma, alla fin fine, le riviste di studi strategici le leggiamo in 14, quindi la vera domanda che pongo e': perche' lo status quo vince nel dibattito "pubblico"? Perche' lo status quo probabilmente vincera' le elezioni di Novembre?
Lo status quo vince per la self-righteousness dell'elettore medio di questo paese. Vince perche', anche a causa della continua e sistematica censura delle grandi reti televisive, i cittadini USA non hanno ancora capito cosa abbiamo fatto in Irak, non hanno ancora accettato che abbiamo causato un disastro di proporzioni immani e, soprattutto, non sono ancora riusciti a riconoscere che non avevamo un piano, che non avevamo le migliori intenzioni, che siamo andati in guerra per una sola e semplice ragione: perche' questa amministrazione aveva bisogno di una guerra, e noi la desideravamo.
Questa amministrazione aveva bisogno d'una guerra vera, grande, costosa, piena di morti e bombardamenti, una guerra di tragedie, paure, massacri. Serviva una guerra che facesse sentire al popolo americano d'essere in guerra perche' un grande pericolo ci sovrasta, una guerra che permettesse ricordare quotidianamente che i nostri ragazzi sono li' al fronte e che quindi tutti dobbiamo metterci in fila, all'aeroporto perche' un subnormale ci rubi l'Eau d'Issey per ragioni di sicurezza nazionale, e dietro al leader maximo per fare come egli, il grande condottiero, vuole che facciamo ad ogni elezione in cui ci troviamo a votare.
Noi la desideravamo la guerra, una guerra che ci facesse provare il tremolio della vendetta, del redde rationem con coloro che (assomigliano fisicamente a ed hanno la stessa religione di quelli che) ci avevano cosi' brutalmente colpiti l'11 Settembre 2001; una guerra che mantenesse ad libitum il senso di paura, di pericolo immanente, che giustifica l'occhio per occhio e la strana eccitazione che pervade questo paese da cinque anni a questa parte. La vendetta brutale e la paura diffusa ma eccitante per il pericolo invisibile: gli ingredienti essenziali del 70% d'immondizia visivo-sonora che Hollywood - la grande Hollywood intellettuale e di sinistra - propina regolarmente al popolo americano e che lo trasforma in un gregge credulone ed obbediente, ma soddisfatto.
Questo e' lo sporco segreto che, da queste parti, tutti teniamo nascosto sotto il tappeto, che non ci raccontiamo mai, non in televisione ma neanche a cena fra pochi e fidati intellettuali d'ampie vedute. Per questo sporco segreto molti di noi voteranno per lo status quo la settimana prossima: perche' l'ipocrisia che regge la self-righteousness e' piu' forte della vergogna liberatoria che una nuova confessione pubblica d'errore implicherebbe. Perche', nel patto mefistofelico che abbiamo stretto con il nostro presidente, la vendetta che abbiamo assaporato tra marzo e maggio del 2003 invadendo l'Irak si paga con l'autorizzazione a mantenerci in stato di guerra e paura a tempo indefinito. Perche' sappiamo che l'Irak non e' un altro Vietnam, e' peggio: e' il nostro Afghanistan, ed infatti stanno arrivando anche li' i terribili Talebani, queste creature ambivalenti e pericolose prodotte dal sonno della nostra ragione, e dai nostri soldi.
Per tutto questo proviamo quotidianamente una colpa che non sappiamo sopportare, pero' la nostra ipocrisia e' piu' forte: voteremo per lo status quo e poi andremo al cinema per il fix quotidiano di paura e vendetta. A vedere Flags of our Fathers mangiando popcorns.
Mi fa piacere che almeno non avessi creduto a 1. e 2. Riguardo a 3. la verita' era tanto semplice quanto evidente: in irak, come in tanti altri posti non serve e non serviva (e ancora meno serve ora) la democrazia (di cui se ne fanno niente), serviva (e serve ora piu' che mai) lo stato di diritto, o rule of law che dir si voglia. La democrazia poteva arrivare dopo, con calma.
Ma della teoria della guerra come vendetta, per il soddisfacimento della "self-rightheousness" non sono convinto. Secondo me questi elementi c'erano ma sono solo serviti a creare terreno fertile. Ma qual'era il seme allora? Non lo so, di solito non sono disposto a credere alle cospirazioni, ai dr. Stranamore nelle stanze dei bottoni, ma in questo caso un tarlo ce l'ho sempre avuto, piu' che altro perche' non riesco a trovare altre spiegazioni. Il tarlo e' il fatto che l'industria delle armi e degli armamenti sta traendo enormi profitti dalla guerra; e non occorre pensare a cinici figuri che architettano guerre in incognito dentro stanze fumose; basta un presidente indeciso sul da farsi, un'opinione pubblica sensibilizzata (il terreno fertile) e pochi lobbyisti cha fanno pendere la bilancia verso la loro parte. Questa e' gente che riesce a convincere centinaia di parlamentari di ambo gli schieramenti che armi d'assalto possono e debbono essere vendute liberamente a privati cittadini; il tutto difendendo un'interpretazione folle di un articolo costituzionale (il secondo emendamento) che conferisce agli stati il diritto di organizzare milizie per scopi di difesa. Quanto difficile sarebbe stato convincere un presidente indeciso a fare qualcosa per il "bene degli irakeni"?