Cosa sappiamo dell'agricoltura?

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L’agricoltura è una specie di universo parallelo, dove le leggi del mercato sono bandite, insieme al buon senso e alle opportunità. Un blog è nato per provare a raccontarne i paradossi.

 

Quanto interessa l’agricoltura agli economisti? Ogni volta che un economista spiega le leggi della domanda e dell’offerta, in particolare se le spiega a un pubblico non troppo preparato, o magari un po’ refrattario, fa il suo ingresso sulla scena il contadino con le sue mele: mele che probabilmente oggi costano 5 e domani 10, o viceversa, a seconda della domanda, ed è sempre chiaro che se le mele dovessero finire per costare troppo poco il contadino potrebbe smettere di produrle per darsi alle pere, o alle patate, o magari all’allevamento delle galline, oppure potrebbe acquistare nuovi terreni per produrre più mele, o scegliere di diversificare la produzione coltivando un po’ di mele e un po’ di pere, in modo da contenere i rischi.

Ecco, se c’è un settore in cui le cose non funzionano così quello è l’agricoltura, quantomeno l’agricoltura europea. Per questo penso che gli economisti tendano a dimenticarsi dell’agricoltura non appena riescono a superare lo scoglio del contadino con le mele, per passare a una dimensione più complessa.

Perché nel mondo reale il contadino che avesse difficoltà a vendere le sue mele (o i suoi cereali) si guarderebbe bene dallo smettere di produrle, se esse gli garantiscono l’accesso ai sussidi. Oppure potrebbe non avere nessun interesse a considerare l’andamento del prezzo delle mele (o del latte) se lo stesso viene stabilito non dal mercato ma da accordi interprofessionali di filiera. Magari potrebbe essere interessato a produrre mele col baco (le chiamano “biologiche”), dato che hanno ancora meno mercato ma gli garantiscono un sussidio maggiore, o decidere che sia un buon affare buttare le sue mele (o il suo mais) a fermentare in un vascone di liquame per produrre un biogas che nessuno farebbe se non ci fossero anche qui fior di incentivi.

Sicuramente non penserebbe ad incrementare la sua produzione di mele, dato che per farlo gli servirebbe più terra e la terra costa più di quel che vale, proprio per i sussidi che sono legati al possesso della medesima, oppure perché è espressamente vietato produrre più mele (o uva, o latte) di quelle che già produce, e se ne vuole produrre di più deve acquistare da qualcun altro il “diritto” di produrle.

Oltretutto da qualche parte hanno deciso che il fatto che lui continui ad essere uno sfigato produttore di mele bacate, magari col cappello di paglia e il filo d’erba in bocca, fa bene (chissà perché) all’ambiente, alla tutela del paesaggio agrario, alla lotta ai cambiamenti climatici, alla conservazione di antichi sapori, al massimo potrà godere della strabiliante opportunità di andare a vendere le sue mele ad un farmer’s market (sussidiato) alla città più vicina, cosa che faceva anche suo nonno da ragazzo (il quale nonno raccontava anche di come si patisse la miseria a quel tempo), che già suo padre si vantava di non aver mai fatto e che lui stesso non avrebbe mai immaginato di dover tornare a fare.

Certo, non è così dappertutto. Ci sono paesi, come il Brasile, in cui il contadino in soli dieci anni è riuscito a triplicare l’export delle sue mele (e di tutto il resto), ad aumentare la produzione di quasi l’80% utilizzando meno del 30% di terra in più. Ma queste cose il nostro di contadino non le deve sapere, anzi è meglio che continui a pensare che sia meglio fare sempre come l’anno prima, che se le sue mele non le vuole più nessuno è meglio beccarsi un po’ di elemosina pubblica piuttosto che cercare strade più redditizie, che le biotecnologie, l’intensificazione, l’efficienza e i mercati globali siano prodotti del demonio e che in quegli altri mondi lontani la produzione cresce e i contadini fanno soldi perché le multinazionali, perché la speculazione, perché i cinesi, perché la mano d’opera da tre soldi, perché il modello superfisso…

A meno che non si ricominci a ragionare di agricoltura e mercato, agricoltura e scienza, agricoltura e innovazione. In due parole, agricoltura e opportunità. Proprio per provare a ragionare di queste cose, e cominciare a raccontare questo mondo paradossale, quasi un anno fa ho cominciato a scrivere un blog, La Valle del Siele. Dapprima ci scrivevo solo io, poi, negli ultimi tempi, sono arrivati anche altri autori con maggiori competenze di quelle del sottoscritto (che non è né economista, né scienziato, ma solo un agricoltore a cui i sussidi hanno garantito, quantomeno, un po’ di tempo libero da passare davanti al pc).

La band al momento è composta da Claudio Costa alla zootecnia, Gianpaolo Paglia all’enologia, i ragazzi di Biotecnologie Basta Bugie agli Ogm, e la partecipazione straordinaria di Pierre Desrochers, Hiroko Shimizu e Antonio Pascale. Nella valle però si parla un po’ di tutto, in base al principio secondo il quale un buon agricoltore deve essere al tempo stesso agronomo, biologo, geologo, economista, ragioniere, metereologo, climatologo, chimico… meccanico, elettricista, idraulico, muratore e pure un po’ politico. E proprio per questo non ci dispiacerebbe riuscire a dire la nostra prima che il 2013 ci consegni la nuova, disastrosa, Politica Agricola Comune.

Quindi siamo aperti ai commenti e ai contributi di chiunque, per una ragione o per l’altra, abbia a cuore un’agricoltura libera. Libera, per dirla con la mission del sito, prima di tutto dai luoghi comuni che, nell’indifferenza generale e con l’accondiscendenza dei mezzi di informazione, orientano le politiche di spesa e di intervento pubblico, libera dai sussidi, libera di svilupparsi attraverso l’innovazione e il mercato. E libera di parlare di sé senza piangersi addosso.

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Commenti

Ci sono 66 commenti

Bellissimo articolo, complimenti! Devo dire che anch'io mi ero quasi convinto che l'agricoltura in Europa potesse sopravvivere soltanto grazie ai sussidi. L'esempio del biogas su "la Valle del Siele" è illuminante sulle storture che incentivi e i sussidi possono provocare.

E' un compito importante che La Valle del Siele si accinge ad implemetare maggiormente. Lo dico da persona che del mondo dell'agrcoltura ha una qualche conoscenza, quella che basta per capire che hai ragione sotto molti punti di vista. Anzi, per le dimensioni dell'agricoltura rispetto al PIL che sono inversamente proporzionali al suo ruolo come fornitore di derrate per l'alimentazione umana e di  piante industriali, c'è una pressione statalista terribilmente pesante ed oppressiva che la danneggia spaventosamente.

ah, le metafore agro -pastorali! che grande risorsa per noi retori da strapazzo: le mele ben diverse dalle pere, il cavallo che tira un carro pesante oppure non beve, le questioni che non quagliano, la previdente semina....è che noi siamo contadini, una generazione sola è passata e abbiamo studiato ma appena un po'.

la tua impostazione è, come minimo, doverosa e prometto di seguirvi.

Caro Giordano Masini,

ho spesso seguito i tuoi interventi su Chicago Blog, trovandoli molto interessanti, come questa rapida sintesi su nFA che presenta il tuo blog (che visiterò quanto prima).

Anch'io mi occupo un po' di agricoltura - miglioramento genetico di piante e animali d'interesse agricolo - e condivido molte delle tue critiche alla frequente insensatezza della politica agricola comunitaria (e nazionale): sussidi a pioggia in base alla terra posseduta, incentivi (che pure possono essere strumenti utili, a volte) per non produrre o produrre poco e male, quote di produzione, ostracismo verso le biotecnologie e la tecnologia in generale, adesso anche la nuova follia dei campi fotovoltaici ed eolici (non mi si fraintenda, non sono contrario tout court alle energie rinnovabili, anzi, ma sono certe frenesie modaiole che mi innervosiscono e preoccupano)...

Spero veramente che, con questo blog e altre iniziative simili (non sono pochi gli addetti ai lavori critici con le politiche agricole in voga) si possa sensibilizzare qualche coscienza per cambiare la politica europea (ed italiana) in materia di agricoltura.

Io sono convinto che l'agricoltura moderna offra enormi possibilità per produrre molto e bene (e non solo derrate alimentari), e anche per gestire/usare con criterio il territorio.

Ne parleremo.

Ciao Filippo, sono Gianpaolo Paglia, citato nel post come "contributore". Io faccio vino da 14 anni, ma prima anche io mi occupavo di genetica vegetale, sopratutto con tecnologie di biologia molecolare. Spesso commento sugli OGM e sulla disinformazione militante che c'e' su questo argomento. Spero di verderti "circolare" in giro dove si parla di questi argomenti. Non si sa mai, a furia di seminare qualcosa nascera'.

Invece io non leggerò il blog "la Valle del Siele", per un motivo molto preciso. Sono andato a sfogliarlo, pieno di ottimi propositi, visto che anche io ho sempre sospettato che la Politica Agricola Comune della UE fosse il grande satana. Ho trovato invece una specie di foglietto propagandistico, stile Edward Luttwak (qui l'inquietante originale, qui la parodia di Guzzanti), in cui c'è un nemico da distruggere, con argomenti validi (quando ci sono) o ideologici (quando non ci sono quelli validi). I nemici e gli amici sono, ovviamente, quelli soliti, prevedibili fino al ridicolo (che cosa c'entra con l'agricoltura le decine di post su Israele?). Mi chiedo, a cosa serva un altro blog estremista, pieno di luoghi comuni "di destra", che sembrano la fotocopia al negativo di quelli "di sinistra"? Non lo leggerà nessuno tranne quelli che la pensano già allo stesso modo. Nella migliore tradizione italiota: schieramento contro schieramento, senza vincitori né vinti. 

Per fortuna, nFA, con il suo sano cinismo, non è di questa risma.

Sorvoliamo, poi, sul fatto che l'autore, dichiaratamente, ai contributi agricoli europei non ci rinuncia, il che rende del tutto prive di autorevolezza morale qualsiasi battaglia contro i medesimi. Invece, c'è chi ha provato a rinunciare agli incentivi e ha fatto l'affare salvando pure la verginità.

cavolo (oppure broccoli)! non ho neanche cominciato a leggerlo che devo già smettere?! non ci sono più le mezze stagioni...:-)

che cosa c'entra con l'agricoltura le decine di post su Israele?

Come ho spiegato, per molti mesi la Valle del Siele è stato semplicemente il mio blog personale. Quindi, oltre che di agricoltura, ho scritto post sugli argomenti che mi stavano più a cuore, e tra questi c'è la sopravvivenza di Israele (e credo che questo possa essere classificato come argomento di "destra" solo da chi è abituato a suddividere l'universo mondo con il metro della politica italiana da stadio). Da quando sul blog hanno cominciato a scrivere anche altri autori, come puoi constatare, ho sempre cercato di rimanere in tema, per rispetto innanzitutto verso chi ha accettato di collaborare condividendo un progetto preciso.

Quanto al disorso sugli incentivi e i sussidi, e se rinunciarvi sia realmente un'opzione praticabile per un'azienda agricola, è un discorso abbastanza complesso. In primo luogo perchè i sussidi condizionano i prezzi delle materie prime, quindi chi vi rinuncia opererebbe lo stesso in un mercato drogato. In secondo luogo perché rinunciare ai sussidi, per fare un esempio, non mi autorizzerebbe a usare le biotecnologie, o a piantare un vigneto senza acquistare una quota il cui valore supera spesso quello del terreno stesso. Per essere competitivi, poi, bisognerebbe crescere, e come dicevo i valori fondiari sono artificialmente alti, mentre le ipotesi di "fare sistema" con altri agricoltori sono ostacolate da molti stimoli opposti. Ne ho parlato, anche se solo parzialmente, qui.

Comunque è un po' di tempo che penso a come affrontare seriamente la questione sulla Valle, nel senso che mi piacerebbe quantificare le opportunità che si perdono per colpa dei sussidi e verificare quanto sia realistica la possibilità di rinunciarvi. Mi servirebbe però l'aiuto di qualcuno un po' più esperto nella gestione dei numeri.

Dopodiché, come ogni imprenditore, sono alla ricerca di profitto, non di verginità.

.............in cui c'è un nemico da distruggere, con argomenti validi (quando ci sono) o ideologici (quando non ci sono quelli validi)............

Io leggo il blog. Il nemico da distruggere è la PAC e mi sembra che ce ne siano tutte le ragioni logiche e fattuali. Quanto a tutti i limiti che all'agricoltura si pretende di imporre in nome dell'ambientalismo ideologico, mi pare vi si trovino delle argomentazioni che quantomeno possono aprire spazi di interesse e di discussione piuttosto concreti. Qualificarli come di "destra" sia pure tra virgolette è anche esso un fatto ideologico se si vuole. Ma insomma mi sembrano osservazioni di eccessiva severità. Le alternative ai contributi pubblici, in ultimo, con la rinuncia compiuta da Il Fatto per una impresa agricola è un tantinello più difficile. Forse un esempio aiuterebbe. Altrimenti è solo una intenzione un pò illusoria.

Caro Artemio e caro Giordano

Ora che avete entrambi espresso la vostra inclinazione su Israele e sui musulmani, non mi sembra un delitto, anzi mi sembra interessante, l'esposizione di argomenti non usuali su biogas, fotovoltaico, OGM e conseguenze dei sussidi. Dopotutto l'agricoltura non è UN agricoltore e neppure UN giornale, che possono ben avere le proprie utili connessioni. Quanto a Luttwak, che viene spesso dipinto come una specie di fascista, a me risulta, per esempio, che sia basicamente contrario a interventi militari nei conflitti regionali, inclusi Iraq e Afghanistan.

 

Non ho espresso nulla su Israele e i musulmani (tranne che li trovavo estranei all'argomento agricoltura, ma questo punto è stato già chiarito dall'autore), mentre Luttwak l'ho menzionato più che altro un simbolo, ossia il simbolo di una certa retorica partigiana e senza compromessi… speculare, ma pur così simile, a certa altra retorica, di colore opposto.

Complimenti per l'iniziativa!

A proposito di mele.. attendo proprio articoli sul tema, anche sulle mele del Trentino.. (dove risiedo)

Anche se sono contentissimo che qualcuno parli di agricoltura e sussidi, non posso che fare alcune critiche perche', si sa, criticare e' facile!

Oltretutto da qualche parte hanno deciso che il fatto che lui continui ad essere uno sfigato produttore di mele bacate, magari col cappello di paglia e il filo d’erba in bocca, fa bene (chissà perché) all’ambiente, alla tutela del paesaggio agrario,

No? Ma scusi, se il prezzo del terreno diminuisce perche' l'agricoltura non e' piu' sussidiata, perche' non dovrebbero massacrare il territorio di speculazioni edilizie ancora di piu' di quanto facciano al giorno d'oggi in un'Italia che ha una quantita' di cemento pro-capite altissima?

E visto che le speculazioni edilizie cambiano il territorio in modo permanente, come tra le altre cose, implicava un articolo recentemente pubblicato su questo forum, non sono i sussidi un modo efficace di tutelare l'ambiente, il paesaggio, oltre che IL SUOLO, che e' una risorsa non rinnovabile?

Non sono un esperto di diritto urbanistico (mi occupo di statistica e genetica), ma mi sembra che per costruire il terreno debba essere edificabile, e questo permesso di costruire (se, come, quanto) lo concedono gli enti locali (dietro corresponsione di non trascurabili oneri di urbanizzazione).

I terreni agricoli in Europa (ed in Italia in particolare) sono cari rispetto a quello che possono produrre, e ciò è dovuto anche ai generosi sussidi ad essi legati (sussidi in larga parte erogati in base alla mera superficie, e non alla produzione - se uno ha la terra e non fa niente tutto il giorno se li becca lo stesso: ahi, che perversione!).

In realtà i terreni edificabili sono molto più cari di quelli agricoli (quasi un ordine di grandezza, ma dipende molto dalle zone).

La cementificazione selvaggia (foriera di molti degli attuali mali delle città italiane, a mio avviso) la si può fermare spezzando il mortale abbraccio tra amministrazioni locali e palazzinari. In realtà basterebbe evitare di concedere il permesso di costruire in aree nuove (se non strettamente necessario) ed incentivare le imprese edili a riutilizzare spazi esistenti . Ma questo è più difficile, più costoso, è meno redditizio (per le casse comunali) di rendere edificabile un ennesimo lotto di terreno al bordo della città.

Dell'agricoltura si sa veramente poco, a giudicare dal tenore del post e dei commenti. Molti luoghi comuni e approssimazioni.

1 - il boom del Brasile: vero, è quello che è successo da noi quaranta anni fa, anche noi abbiamo moltiplicato le produzioni a parità di risorsa terra impiegata con il miglioramento tecnologico, non è certo una novità. Poi siamo andati ad insegnare il mestiere anche in Brasile, dove, ad esempio, le più grosse cantine e i grandi investimenti in vigneti sono fatti da aziende italiane. Nel mondo poi l'agricoltura è sussidiata tanto quanto in Europa, anche negli USA.

2 - il valore dei terreni non è tenuto artificiosamente alto dai contributi PAC ma dal mercato extra agricolo: in Italia la terra è il bene rifugio per eccellenza, essendo una risorsa limitata, oggetto di investimenti di capitali extra agricoli. Negli anni ottanta e novanta la terra la compravano avvocati, notai e professionisti a prezzi folli per il singolo agricoltore. Anche oggi non mancano i capitali da investire o ripulire.

3 - non esiste più sostegno ai prezzi (era la PAC degli anni 70 - 80); nel settore frutticolo, quello che conosco meglio, non esistono più i prezzi di intervento e i ritiri dal mercato, se non per quote minime lasciate alle associazioni dei produttori. Il prezzo lo fanno gli acquirenti, in particolare la GDO che in Europa ha dimensioni colossali rispetto all'Italia. I supermercati europei comprano masse di prodotto paragonabili alla capacità produttiva di uno stato; il potere contrattuale dei produttori è minimo, a meno che non facciano come in Nuova Zelanda per il kiwi (un unico consorzio gestisce tutto l'export). Di conseguenza le condizioni commerciali sono dettate dai pochi acquirenti (situazione di oligopsonio se non ricordo male).

4 - l'agricoltura italiana ha reagito alla fine della vecchia PAC con adattamenti importanti, che l'autore del post sembra ignorare. Forse non sa che le aziende agricole si sono specializzate, ampliate, hanno rinnovato profondamente la meccanizzazione e le tecniche colturali, le varietà (io in venti anni di lavoro ho visto due rivoluzioni nell'assortimento varietale della peschicoltura, e visto che la vita produttiva media di un pescheto è di 12 anni, non mi sembra sia un indice di immobilismo), non mi sembra che il contadino continui a produrre nonostante il mercato e in attesa di contributi.

 

 

 

 

Beh, che la PAC sia poca cosa mi sembra poco credibile, visto che è la maggior fonte di uscita della UE, e se dai incentivi, sia pure per qualsiasi cavolo, alla fine il mercato ne esce distorto, c'è poco da fare, poi può essere quello frutticolo, avicolo, o altro, ma le distorsioni esistono, da quel che ho capito adesso sono rivolte soprattutto al biologico.

 

Forse non sa che le aziende agricole si sono specializzate, ampliate, hanno rinnovato profondamente la meccanizzazione e le tecniche colturali, le varietà

 

Mi sa che lo sa, tanto che afferma che stiamo perdendo la nuova frontiera, tipo gli OGM, per una scelta ideologica.

Ma comunque non intendevo contraddirti, volevo farti notare che forse dite le stesse cose, ma da angoli diversi, personalmente sono molto colpito da alcune cose che proprio non capisco, e da imprenditore mi suonano strane:

1. Perchè le arance calabresi e siciliane sono (s)vendute a produttori di succhi, in massima parte esteri, tanto che partono a 0,15 cent e tornano sotto forma di succhi a 3,50 €/lt. Non si possono consorziare, produrre in loco e guadagnare loro ? Cosa lo impedisce ?

2. Perchè le produzioni di eccellenza della Sardegna sono sconosciute ? Addirittura ho trovato il pane pistoccu al supermercato prodotto a .... Verona ! Cosa impedisce ai coltivatori/produttori sardi di consorziarsi e fare valanghe di soldi ?

3. Perchè i contadini che vivono vicino casa mia hanno tolto il campo di piselli, fave, ortaggi in genere e piantato un pescheto, che poi lasciano le pesche marcire sugli alberi? Idem per le albicocche ?

4. Perchè i produttori di latte devono inventarsi ogni anno come aggirare le "quote latte", vendersele care e amare fra di loro, litigare, e poi arriva il latte in caglio dalla Germania ?

Cioè converrai che parlare di "mercato agricolo" è quantomeno strano, visto che ci sono migliaia di esempi di "non mercato".

Io, per questo, seguo il blog de "La Valle del Sele", non altro, per capire. E magari capire come fare con il mio albero di arance che puntualmente le perde a Novembre. Mentre l'albero di limoni, che è a 3 mt, ne produce una marea (di limoni, ovviamente), per non parlare del Kumquat che ne fa talmente tanti che ne regalo a ceste intere..

1) negli USA è sussidiata, ma non in tutto il mondo. In ogni caso c'è modo e modo, e la portata dell'intervento pubblico europeo non ha eguali. Dietro alla rivoluzione brasiliana non c'è solo l'adeguamento ai nostri livelli tecnologici. C'è soprattutto l'aumento della domanda globale di generi alimentari: la popolazione mondiale aumenta, e una bella fetta di essa, a differenza che in passato, può spendere per acquistare cibo, e può spendere ogni anno di più. Ora, possiamo lasciare che questa domanda sia soddisfatta da un'altra offerta, e continuare a baloccarci con la decrescita, la spesa a km zero and so on, oppure possiamo metterci a lavorare anche noi.

2)La terra è un bene rifugio proprio perché il suo valore è tenuto artificialmente alto dai sussidi. Lo era anche quando i sussidi non erano legati alla superficie ma alla produzione, semplicemente perché anche allora il profitto prescindeva dal mercato. E' poi difficile indovinare cosa succederebbe se la PAC venisse eliminata: può darsi anche che i prezzi dei terreni non scenderebbero. E' già successo proprio in Nuova Zelanda, dove l'abolizione dei sussidi ha provocato un aumento della competitività dell'agricoltura neozelandese.

3)Ho detto da qualche parte che esiste ancora il sostegno ai prezzi?

4)Ci sono state innovazioni tecnologiche, non c'è dubbio, ma (a differenza di quanto è successo 50 anni fa) non ci sono state rivoluzioni nella dimensione delle aziende, nell'assetto fondiario, cioè proprio ciò di cui ci sarebbe bisogno per restituire potere contrattuale ai produttori. Il famoso consorzio neozelandese è nato proprio dalla necessità di stare sul mercato e realizzare economie di scala adeguate, quando sono stati aboliti i sussidi. Da noi ci sono troppi stimoli opposti (e molti derivano dalla pac) perché i produttori si convincano a "fare sistema", a cedere parte della "sovranità aziendale" a realtà produttive più consistenti.

 

 

2 - il valore dei terreni non è tenuto artificiosamente alto dai contributi PAC ma dal mercato extra agricolo: in Italia la terra è il bene rifugio per eccellenza, essendo una risorsa limitata, oggetto di investimenti di capitali extra agricoli. Negli anni ottanta e novanta la terra la compravano avvocati, notai e professionisti a prezzi folli per il singolo agricoltore. Anche oggi non mancano i capitali da investire o ripulire.

 

 

Beh, io infatti avevo detto che il prezzo dei terreni agricoli è tenuto alto ANCHE dai contributi; certo ci sono altri fattori, quali ad esempio l'investimento -come giustamente hai notato tu-, e la possibilità (in Italia tutt'altro che remota) che da agricolo il terreno diventi edificabile.

 

D'accordissimo su molto.  Non su tutto perché c'è un dettaglio che mi stona, ovvero gli OGM.

Io sono tendenzialmente contrario per paura: che garanzie offrono gli OGM nei confronti di chi soffre di allergie e intolleranze alimentari?  Non c'è il pericolo di rendere pericolosi cibi una volta "sicuri"?

Per esperienza, già ora non è facile districarsi fra gli alimenti; senza una regolazione ferrea (analoga a quella delle case farmaceutiche) sarà ancora peggio.  Siamo sicuri che sia sostenibile?

Probabilmente sì, non mi risulta che negli USA ci siano grossi problemi, ma non so neanche da quanto,in che modo e all'interno di quale quadro normativo si sia sviluppato l'utilizzo degli OGM da quelle parti.

Chi ne sa un po' di più?

a proposito di OGM (sono OT, ma non troppo) cosqa ne pensate delle difficoltà che sta passando la monsanto a proposito delle sementi Roundup ready ?

forse il principio di precauzione viene spesso sottovalutato?

Gli Ogm ammessi sul mercato sono sicuri, e lo sono proprio perchè esiste una regolazione ferrea in materia. Anzi, paradossalmente è proprio la presenza di questa regolamentazione ad avere gonfiato a dismisura i costi per l'immissione sul mercato di una varietà geneticamente modificata, costi che possono essere coperti con molta difficoltà da piccole società o da enti pubblici, lasciando spazio solo alle grandi multinazionali del settore.

In ogni caso non esiste un solo studio scientifico serio (per serio intendo sottoposto almeno a peer review) che dimostri che un Ogm sul mercato sia dannoso per la salute. Continuando con i paradossi, gli Ogm sono sottoposti a molti più controlli di quelli che subiscono le varietà selezionate con metodi convenzionali (sarebbe più corretto dire "le varietà il cui patrimonio genetico viene modificato con modalità diverse da quella del DNA ricombinante"). Per questo potrai trovare molte varietà allergeniche, ma nessuna di queste sarà mai un Ogm, perché altrimenti non sarebbe possibile commercializzarlo.

Comunque, per non dilungarmi, rimando alla lettura di "OGM tra leggende e realtà" di Dario Bressanini, un testo molto chiaro, interessante anche per uscire dalla querelle "naturale vs artificiale" e agli articoli del blog Biotecnologie Basta Bugie, i cui autori (molto più preparati di me) collaborano anche con la Valle.

Una volta ho visitato un museo a Lima, dove ho appreso che gli Incas erano riusciti a selezionare più di 800 tipi diversi di mais. Ricordo da ragazzo le piante innestate da mio padre (viti, alberi di frutta, e altro ancora). Ricordo anche esperimenti per incrociare gli animali. Insomma. Tutto quello che mangiamo è il prodotto di millenni di incroci incontrollati (scientificamente) di geni i più disparati, che però definiamo "sicuri". Adesso che si pretenderebbe di andare a vedere che cosa viene fuori quando in una pianta si inseriscono geni provenienti dall’esterno; che si pretenderebbe di provare in laboratorio se fanno male o se, invece, non sono nocivi e possono essere commercializzati; che si inseriscono, in maniera accurata e controllata, quei e solo quei geni che servono a correggere aspetti importanti o collaterali, ma egualmente importanti: esempio, ridurre l'uso di concimi e di antiparassitari; oppure aumentare la resa per ettaro; o inviare a popolazioni affamate (che evidentemente non possiedono né silos né frigoriferi) prodotti che deperiscano meno velocemente di quelli tradizionali. Ecco, quando si tenta di fare questo, cioè quando si tenta di capire e di migliorare processi pericolosi affidati per migliaia di anni alle mani e agli intelletti di contadini e allevatori privi di conoscenze scientifiche, lamenti guaiti ed alte grida si levano per opporsi. Non s'ha da fare. Francamente: mi sfugge la razionalità.

Un po' fuori tema ma legato all'attualità, vorrei proporre il conferimento di una laurea honoris causa al ministro Frattini, che propose di convertire le coltivazioni di oppio in Afghanistan in piantagioni di olivi. Pensare di introdurre una tipica pianta mediterranea, che non cresce perfino in gran parte del nord Italia a causa delle gelate invernali, in un paese dove in inverno si arriva a -20 gradi, mi sembra una geniale proposta che merita un riconoscimento, soprattutto se condivisa con diplomatico statunitense.

I balconi di Milano sono pieni di piante d'olivo, che resistono all'inverno. Ovvio che non produciamo olio.

Le ragioni per i sussidi agricoli sono principalmente tre.

La prima, e forse più importante, è che l'agricoltura, al pari della politica energetica, è considerata strategica, ed è strategicamente perdente che un paese dismetta quasi del tutto la propria produzione agricola, rimanendo dipendente dai mercati esteri. Cosa accadrebbe in caso di guerra con un blocco degli scambi commerciali?

La seconda è che veramente una campagna ben coltivata aiuta a prevenire alcuni disastri. Una montagna con alberi, coltivata e con dei terrazzamenti ben fatti, difficilmente franerà anche con un violentissimo acquazzone. Posso farti esempi concreti e reali.

La terza è che l'agricoltura, a differenza della manifattura e dei servizi, ha una domanda inelastica. Se il Pil pro capite aumenta, la quantità consumata di beni alimentari non aumenterà, quindi se il settore agricolo vuole avere lo stesso reddito relativo, i prezzi dovrebbero aumentare in misura pari al Pil. Cioè, non possono compensare un minor prezzo con una maggiore quantità venduta (parlo del settore, non del singolo imprenditore agricolo).Però negli anni il valore aggiunto del settore agricolo è diminuito rispetto al Pil, poichè si produce di più con meno spreco di risorse (meccanizzazione, agricoltura intensiva ecc...) con meno risorse e occupazione, quindi non vedo un problema da questo punto di vista, poichè, oltretutto, i prezzi diminuiscono (alla produzione) poichè la produzione agricola è polverizzata mentre la domanda della grande distribuzione è concentrata, con un rilevante potere contrattuale da parte di quest'ultima.

Quindi, dal punto di vista die prezzi, salvaguardando le altre due ragioni (indipendenza alimentare e prevenzione idrogeologica), basterebbe introdurre un maggior grado di concorrenza nella grande distribuzione, cercando di diminuire il ricarico di questa sul prezzo finale del prodotto agricolo.

Nessuno tenta di favorire e stabilizzare l'occupazione agricola, fortunatamente, poichè è quasi un processo naturale che con una migliore meccanizzazione e con la domanda inelastica l'agricoltura e l'occupazione del settore sia sempre meno rilevante rispetto al Pil. 

La ragione politica che sottintende la Pac, invece, è quella di mantenere questa, ormai piccola, parte di Pil all'interno del territorio della UE invece di delegarla ad altri, per i primi due motivi sopra esposti.

 

 

 

La prima, e forse più importante, è che l'agricoltura, al pari della politica energetica, è considerata strategica, ed è strategicamente perdente che un paese dismetta quasi del tutto la propria produzione agricola, rimanendo dipendente dai mercati esteri. Cosa accadrebbe in caso di guerra con un blocco degli scambi commerciali?

 

son le stesse chiacchiere che si usavano per gli altoforni italiani, piazzati in centro-città e divoratori di risorse pubbliche. eppure anche l'acciaio è popolare in guerra: "volete voi burro o cannoni?" e sembra che si preferissero i secondi. rispettiamo la volontà popolare?

 

La seconda è che veramente una campagna ben coltivata aiuta a prevenire alcuni disastri. Una montagna con alberi, coltivata e con dei terrazzamenti ben fatti, difficilmente franerà anche con un violentissimo acquazzone.

 

peccato che gli aiuti non vadano a sostenere direttamente il reddito delle imprese collinari, magari collegandoli ai lavori di mantenimento effettivamente svolti, ma finiscano alle sovrapproduzioni (peraltro di scarsa qualità) della pianura.

La ragione politica che sottintende la Pac, invece, è quella di mantenere questa, ormai piccola, parte di Pil all'interno del territorio della UE

la ragione politica che sottintende ai pac è la potenza elettorale della lobby agricola che vota compatta un po' dappertutto in europa. taciamo, per carità di patria, cosa significa per i paesi del terzo mondo questa politica di aiuti e di dazi doganali.

Sono convinto che questo modo di ragionare porta più svantaggi che benefici: in primo luogo, fermo restando il fatto che le politiche protezionistiche sono spesso la causa delle guerre, molto più di quanto non riescano ad essere un modo per prevenirne gli effetti negativi, ci sono altri aspetti che vanno tenuti in considerazione: immaginiamo cosa significherebbe, ad esempio, panificare esclusivamente con grano italiano. Il prezzo del grano, e di conseguenza quello del pane, dipenderebbe solo dall'andamento dei raccolti di un'area geografica limitata, e sarebbe eccessivamente instabile, a meno di ulteriori interventi pubblici per regolare i prezzi.

Ma dove sta scritto (mi piacerebbe proprio saperlo, dato che è una delle cose che sento dire più spesso) che senza sussidi dismetteremmo la nostra produzione agricola? Nel mondo reale sono i paesi che non sussidiano ma che guardano al mercato quelli i cui comparti agricoli sono più competitivi. la Nuova Zelanda (non quindi un paese in via di sviluppo in cui si è solo colmato un gap tecnologico, né un paese le cui aziende hanno estensioni sudamericane) è un posto lontano, ma non sarebbe male imparare la loro lezione.

Quello poi della salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente è il luogo comune più duro a morire: è vero che le aziende agricole, nella loro multifunzionalità, hanno sempre operato in difesa di un certo equilibrio idrogeologico, con benefici per tutti. Ma andiamo a guardare un po' più nello specifico: sono solo le aziende il cui reddito deriva dal prodotto ad essere stimolate ad investire e a lavorare correttamente la terra, inseguendo l'efficienza produttiva. Se mi paghi per star fermo io sto fermo, e anche se mi paghi per non star fermo finisce che sto fermo lo stesso, che rischio a fare? la terra l'abbandono, o faccio quel minimo che mi garantisce il sussidio, e il paesaggio, l'ambiente e l'equilibrio idrogeologico vanno a farsi benedire. Pochi giorni fa, se vogliamo proprio parlare di alluvioni, il Paglia dalle mie parti è andato fuori abbondantemente in molti punti, portando via terra e coprendo molti campi di breccia di fiume. Vogliamo scommettere che nessuno dei proprietari di quei terreni si preoccuperà di rimuovere la breccia, bonificare e risistemare le quote preesistenti? La bonifica son soldi, meglio star fermi, tanto se quel terreno produce 5 o 10, cambia poco, se intanto 20 me lo date voi.

Quanto all'ultimo punto, hai ragione, il problema è l'eccessiva parcellizzazione delle aziende, che perdono peso contrattuale. Ma uno degli obbiettivi dichiarati della PAC è proprio quello di difendere i piccoli agricoltori, non si sa bene poi da che, e la conseguenza sono tante misure che nella pratica scoraggiano proprio l'aggregazione dell'offerta (e l'aggregazione dell'offerta aiuterebbe proprio i piccoli produttori, che invece a far da sè soccombono)...