La riduzione dei tempi di concessione della cittadinanza agli stranieri immigrati è una di quelle cose di sinistra che ti fanno sentire orgoglioso di essere di sinistra. Temo faccia anche perdere voti, ma se proprio si deve perderli è meglio perderli così che tirando fuori di galera Previti, la Baraldini o il mostro di Foligno. Quindi, per una volta tanto, bravo governo Prodi.
I limiti che vengono posti all'immigrazione legale rappresentano senza dubbio il più grande ostacolo al libero scambio di beni e fattori di produzione attualmente esistente nell'economia mondiale. Rappresentano anche, a mio avviso, l'ultima grande vestigia del medioevo nei paesi sviluppati. Quello che caratterizzava il medioevo era che i diritti e i doveri di una persona erano definiti dalla famiglia e dal posto in cui nasceva. Se eri figlio di servi della gleba nella contea di Forlimpopoli, allora potevi solo essere servo della gleba nella contea di Forlimpopoli.
I limiti all'immigrazione svolgono lo stesso ruolo. Sono equivalenti ad affermare che il diritto di una persona a firmare liberamente contratti, e in particolare a vendere la propria forza-lavoro, dipende dal posto in cui tale persona è nata e dalla famiglia da cui proviene. Quindi, se hai la sfortuna di essere nato in Senegal da genitori senegalesi, e se il tuo mestiere è raccogliere pomodori, sei costretto a vendere il tuo lavoro solo ai coltivatori di pomodori senegalesi. Non importa se potresti guadagnare 5 volte tanto andando a raccogliere pomodori in Italia, la tua cittadinanza e il tuo luogo di nascita ti condannano alla fame.
Si tratta di una idea che non posso fare a meno di trovare moralmente ripugnante. Siamo di fronte alla negazione massiccia del diritto più elementare della persona, il diritto a vendere il proprio lavoro a chi lo paga meglio. Una negazione che è tanto più odiosa in quanto totalmente arbitraria, dipendente com'è dagli accidenti storici che hanno definito i confini degli stati.
Ora, l'inevitabile conclusione di questo ragionamento è che l'unica politica moralmente non ripugnante è la piena libertà di emigrare da tutti i paesi in tutti i paesi. Non voglio spingermi tanto lontano, so benissimo che l'emigrazione senza alcun controllo può creare problemi specialmente agli strati più deboli della popolazione dei paesi sviluppati. Quello che voglio affermare però è che l'atteggiamento generale che dobbiamo mantenere quando valutiamo le politiche sul'immigrazione dovrebbe essere lo stesso che manteniamo quando valutiamo le politiche che restringono la libera espressione del pensiero, o qualunque altro diritto fondamentale della persona. Restrizioni alla libera espressione sono talvolta opportune e necessarie; non sarebbe giusto permettere a un pugno di tassisti fascisti, per esempio, di installarsi permanentemente sotto la casa di Giavazzi urlando insulti e suonando il clacson. Perché riteniamo giusto restringere la libertà di espressione di questi signori? Ovviamente perché l'esercizio del loro diritto entra in conflitto con il diritto fondamentale di Giavazzi, e tante altre persone, di vivere una vita tranquilla e poter esprimere le proprie opinioni senza essere molestato.
Ogni volta che impediamo a un senegalese di entrare in Italia dobbiamo chiederci: per quale ragione dobbiamo negare a questo persona il suo diritto fondamentale a vendere la propria forza lavoro al miglior offerente? Se non troviamo una buona risposta, se non troviamo diritti fondamentali di altre persone che vengono lesi, l'immigrazione dovrebbe essere permessa.
Gli argomenti contro l'immigrazione sono generalmente di due tipi. Primo, aumentando l'offerta di lavoro gli immigrati fanno abbassare i salari. Vista la composizione della forza lavoro immigrata, la riduzione è particolarmente sensibile per gli strati più poveri della popolazione nativa. Secondo, l'immigrazione porta criminalità e riduce in modo drammatico la qualità della vita nei quarteri più poveri. Entrambi gli argomenti hanno qualche merito empirico, anche se ignorano i molti effetti benefici dell'immigrazione. Giorgio ha scritto su questo molto meglio di quello che posso fare io. Qui voglio solo osservare che solo il secondo argomento individua un diritto fondamentale che viene leso, il diritto a vivere liberi dalla paura. Il primo argomento equivale semplicemente a dire che vogliamo assegnare un potere di monopolio alla forza lavoro nativa. Per popolare che sia tale punto di vista, mi sembra moralmente equivalente a quello dei tassisti che non vogliono che si espandano le licenze.
Ora, fino a questo punto sono andato sostanzialmente fuori tema. Il provvedimento legislativo che ha originato questo post riguarda la riduzione dei tempi per la concessione della cittadinanza agli stranieri residenti legalmente in Italia, non il diritto degli stranieri a lavorare in Italia (o altrove). Rappresenta comunque un passo importante e un segnale chiaro che l'atteggiamento di sospetto se non di malcelato odio (nel caso della Lega, non celato affatto) che il governo di centrodestra ha mantenuto verso gli immigrati sta cambiando.
Permettere legalmente a una persona di vivere nel paese, costringerla a pagare le tasse e osservare le leggi e poi negare a tale persona un qualunque potere nella determinazione di tali tasse e tali leggi è cosa politicamente pericolosa, oltre che ingiusta e odiosa. L'integrazione di persone che sono assai differenti per cultura e religione sarà complicata, e richiederà un notevole sforzo da parte del paese. Marginalizzare gli immigrati negando loro il diritto alla cittadinanza e alla rappresentanza anche quando sono nel paese in forma legale da 5 anni può solo esarcerbare il problema. Al contrario, ogni sforzo dovrebbe essere fatto per permetter loro di sfruttare appieno gli strumenti politici che la cittadinanza concede. Quindi, ottima idea ridurre i tempi per la concessione della cittadinanza a 5 anni.
Fatemi terminare dicendo che non vedrei nulla di scandaloso se la concessione della cittadinanza venisse subordinata all'accettazione di principi fondamentali, come l'eguaglianza di diritti tra i sessi, sui quali si regge la nostra società. Se qualcuno viene in Italia con l'idea di obbligare mia figlia a mettersi il velo o impedirle di andare a scuola allora i diritti fondamentali che vengono violati sono evidenti. Ma sono anche convinto che questo sia un problema minore. La maggior parte della gente si sposta per guadagnare di più, non per imporre i propri valori ad altri.
D'accordo su tutta la linea. Voglio solo evidenziare che molti degli svantaggi competitivi del sistema Italia potrebbero avere effetti anche sulle caratteristiche degli immigrati che scelgono l'Italia invece della Gran Bretagna, per esempio. Amici e conoscenti texani si sono detti convinti che gli immigrati messicani, al momento di scegliere dove stabilirsi, hanno una buona idea delle disposizioni di legge e delle condizioni di mercato che li riguardano nei vari Stati. Gli stessi amici sono convinti che gli immigrati si auto-selezionano: i meno abili al lavoro (per carenza di capacita' o volonta') scelgono la California, mentre quelli piu' abili e motivati scelgono il Texas. Questo avverrebbe perche' i due Stati hanno caratteristiche molto diverse. In California: un piu' esteso sistema di welfare, un minimum wage piu' alto, sindacati molto piu' potenti, imposte sul reddito molto maggiori e molto piu' progressive (in Texas non c'e' imposizione fiscale diretta sul reddito). Non ho alcuna evidenza empirica in proposito. Qualcuno ne ha? Un secondo punto e' che in general equilibrium con mobilita' delle imprese, la congettura di cui sopra implica che i salari conditional on skills dovrebbero essere piu' alti in Texas. Su questo i dati sicuramente ci sono. Ultima cosa: mi e' piaciuta molto l'analogia con la servitu' della gleba. I miei antenati dal lato paterno erano servi in una tenuta della famiglia Torlonia in quel di San Pauro Pascoli (si tratta della tenuta cantata dallo stesso Giovanni Pascoli). Fu mia nonna ad affrancarsi ( non piu' di 70 anni fa).