Nell'edizione di Repubblica del 14 maggio 2010 M.Giannini scrive:
COMMENTO
La bandiera strappata del federalismo
di MASSIMO GIANNINI[...] C'è un vincolo "interno", che pesa come un macigno. È il debito degli enti locali sul versante sanitario, che a legislazione vigente impone ad almeno quattro regioni (Lazio, Campania, Calabria e Molise) di ripianarlo a colpi di inasprimenti fiscali. Ed è, più in generale, il costo stimato del federalismo tanto caro al Senatur. L'ultima stima, aggiornata sui bilanci delle regioni nel 2008, l'ha fornita la Commissione tecnica paritetica per il federalismo, nel rapporto curato da Luca Antonini e appena depositato in Parlamento. È una cifra scioccante: per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie strategiche (cioè sanità, istruzione e assistenza sociale) occorrerebbero quasi 133 miliardi di euro calcolati in termini di spesa storica (caratterizzata da sprechi, iniquità e inefficienze di ogni genere). La riforma federale, com'è noto, ruota intorno al principio dei "costi standard" delle prestazioni, cioè quelli considerati ottimali secondo i livelli dei servizi raggiunti dalle regioni più efficienti. Ebbene, anche a voler dimezzare l'esborso necessario, nel passaggio dalla spesa storica a quella standard, il federalismo fiscale costerebbe allo Stato non meno di 60 miliardi. [...]
Un mese dopo, nel Corriere della Sera del 19 giugno 2010 M.Franco scrive:
LA NOTA
Scelta controversa che vuole coprire una riforma in bilico
Perplessità anche nel Pdl e l' opposizione sospetta uno scudo giudiziario
Massimo Franco
[...] E i leghisti esultano, perché vedono il federalismo fiscale più vicino: sebbene calcoli ufficiosi parlino di un costo di 130 miliardi di euro. [...]
Si tratta in entrambi i casi di vera e propria disinformazione (probabilmente indotta dalla volontà di fare propaganda contro il federalismo). Le stime cui si riferiscono i giornalisti nei pezzi sopra riportati, senza peraltro offrire uno straccio di riferimento ai lettori, sono semplicemente le stime della commissione Antonini su quanto oggi spendono le Regioni italiane, circa 2200 Euro per cittadino italiano, primariamente per la Sanità. È ovvio anche per l'alfabetizzato più sprovveduto che questa cifra non ha nulla a che fare con gli eventuali costi aggiuntivi del federalismo.
L.Ricolfi fa delle ipotesi molto più ragionevoli e contenute sui costi del federalismo fiscale in discussione: 0.65 miliardi di Euro (~10 euro per italiano) se si usano i costi standard della regione virtuosa più spendacciona, la Toscana. Se vengono invece adottati i costi della regione virtuosa più efficiente, la Lombardia, ci sarebbero dei consistenti risparmi di spesa pubblica.
Ma se errare è umano, nel caso di M.Giannini, che sarebbe anche scusabile se avesse il coraggio di fare pubblica ammenda, quasi diabolico risulta l'errore di M.Franco un mese dopo, perchè il gigantesco abbaglio di Giannini su Repubblica era stato evidenziato (oltre che dalle repliche dei politici di maggioranza) anche da M.Bordignon su lavoce.info del 18/5/2010:
ATTUARE IL FEDERALISMO? NON HA PREZZO
di Massimo Bordignon 18.05.2010
Nei giorni scorsi anche un commentatore generalmente preparato e attento alle cose economiche come Massimo Giannini, nel tentativo di rispondere a questa domanda, ha preso fischi per fiaschi, confondendo la spesa attuale delle Regioni in sanità, istruzione e assistenza - stimata dalla commissione tecnica sulla attuazione del federalismo fiscale in circa 133 miliardi di euro - con la nuova spesa che si dovrebbe devolvere alle Regioni, dimenticando che se i 133 miliardi costituiscono la spesa attuale, vuole dire che tributi propri regionali e trasferimenti già la finanziano, e non c'è dunque nessuna necessità di nuovi finanziamenti in vista.
Davvero non si trovano modi migliori per fare propaganda contro il federalismo?
I giornali italiani sono notoriamente poco affidabili e questi sono ottimi esempi. Ma neanche la stima di Ricolfi è una stima dei costi del federalismo. E' una stima di quanto potrebbe costare la sanità se tutte le regioni spendessero la stessa somma per la stessa prestazione, scegliendo i costi minimi. Se si scegliessero quelli massimi (la Calabria?) la spesa aumenterebbe moltissimo. In ogni caso, tutto questo non c'entra col federalismo. E' anzi un esempio di statalismo centralista. Io, burocrate romano, decido che la prestazione X DEVE costare Y e se una regione non si adegua, cavoli suoi. Si trovi i soldi. Magari i costi aggiuntivi sono giustificabili. A Locri le garze costano di più perchè i costi di trasporto sono maggiori, o scelgono garze di qualità migliore. In ogni caso, questi "risparmi" potrebbero essere ottenuti anche senza federalismo fiscale ed autonomia impositiva, almeno in teoria.
I veri risparmi (o costi) dovrebbero essere risconstrati a livello macro, sulla percentuale spese=entrate/PIL. Non credo cambi molto a livello nazionale se la pressione fiscale totale, invece di essere 50% statale è 30% statale e 20% regionale (o forse cambia molto se ci sono diverse propensioni all'imprenditoria nel Sud e nel Nord etc. - ma qui si entra in un terreno scivoloso). Questi costi aggiuntivi (o i risparmi) dipendono in sostanza dalla possibilità di trasferire personale insieme alle funzioni da Roma alle varie regioni. E non ho ancora sentito parlare delle necessarie deportazioni. Salvo le (spero) battute di Bossi sulla necessità di trasferire interi ministeri nelle varie regioni del Nord.
Effettivamente "i costi del federalismo" sono qualcosa di estremamente vago. In generale si puo' sostenere a maggior ragione che ci sono semmai dei risparmi, perche' per Stati comparabili all'Italia la spesa pubblica e' in media inferiore in quelli federali (gli esempi piu' vicini e comparabili sono Francia e Germania).
Tuttavia gli articoli menzionati si riferiscono ad un aspetto relativamente circoscritto del federalismo, e cioe' le norme in preparazione sul cosiddetto federalismo fiscale che completerebbero la Costituzione cosiddetta federale italiana vigente dal 2001. Come notato da M.Bordignon su lavoce.info, il c.d. federalismo fiscale non riguarda la devoluzione delle competenze, ma solo come finanziare la spesa locale corrente, secondo uno schema peraltro estremamente statalista e centralista come anche io ho sottolineato in passato. Per questo aspetto circoscritto e italiano del federalismo le stime di L.Ricolfi non appaiono fuori luogo, infatti le norme in preparazione appaiono essere incardinate sui famosi costi standard, che per l'80% e oltre riguardano la sola sanita'. Ricolfi stesso ha studiato approfonditamente questo tema ed e' arrivato alla conclusione che in Italia esistono Regioni diversamente virtuose (che danno buoni servizi sanitari) e diversamente efficienti sui costi. In Italia tutto e' possibile, ovviamente, ma appare poco plausibile che un governo almeno in apparenza nordista prenda come riferimento nazionale proprio una delle Regioni meno virtuose e meno efficienti come la Calabria, mentre appare piu' plausibile che venga presa come riferimento una delle Regioni virtuose del centro-nord.
Rimane peraltro vero che le Regioni oggi sprecone potrebbero decidere autonomamente di imporre tasse locali ai propri cittadini per coprire i costi che lo Stato centrale decidesse di non finanziare piu', in un lontano asintotico futuro in cui il c.d. federalismo fiscale andrebbe a regime. Questo significa che la spesa pubblica non diminuirebbe, ma almeno gli extra-costi degli sprechi ricadrebbero localmente sugli elettori delle amministrazioni sprecone, e non dovrebbero essere pagati da tutti gli italiani, anche quelli delle Regioni (relativamente) virtuose ed efficienti. Il mio pregiudizio personale poi e' che le Regioni che oggi sprecano lo fanno solo perche' Roma ripiana i loro sprechi a spese di tutti gli italiani, e non appena gli sprechi almeno rispetto alla media italiana dovessero essere addebitati ai residenti, verrebbero seriamente riconsiderati e ridotti.
E' vero. Infatti cosi' avverrebbe anche con le norme in preparazione, a dispetto del nome. Un federalismo sano e genuino opererebbe in maniera completamente diversa, rendendo le Regioni sostanzialmente responsabili sia di decidere la propria spesa locale, sia di trovare le necessarie risorse tassando localmente, altro che "costi standard" stabiliti a Roma. Ma questa rimane fantascienza, in Italia.
Anche questo e' vero in generale, ma nel caso particolare in questione non e' per quanto mi risulta materia di discussione, il c.d. federalismo fiscale non modifica la devoluzione presente delle competenze e quindi nemmeno l'inquadramento dei dipendenti pubblici.