Cinque anni fa avevo paragonato la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica attinenti ad ogni regione. Le statistiche regionali si basavano sul database Conti Pubblici Territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico e l’ultimo anno disponibile era il 2007, appena prima della grande recessione. Il cosiddetto residuo fiscale regionale, la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica, mostrava una forte diseguaglianza. La differenza tra quanto versava e quanto riceveva la Lombardia raggiungeva i 64 miliardi all’anno, seguita dai 20 miliardi del Veneto, i 17 miliardi dell’Emilia Romagna, gli 8 miliardi del Piemonte e quasi 7 miliardi per la Toscana. Dal lato opposto la Sicilia riceveva 10 miliardi all’anno in più di quanto versava, la Calabria 6 miliardi, la Puglia 5 miliardi, la Campania 4 miliardi, la Sardegna 3 miliardi, e la Basilicata 1 miliardo.
Gli ultimi dati sui conti pubblici disaggregati per regione sono disponibili solo fino al 2012, ma ci permettono di iniziare a stimare l’effetto della crisi. Ricordo che, in termini reali, durante i 5 anni che vanno dall'1/1/2008 all'1/1/2013 il Pil italiano è calato complessivamente di un 7% circa (che diventa quasi un -11% se arriviamo all'1/1/2015 ed un -13%, alla stessa data, se guardiamo al valore per-capita ...). Una recessione solitamente provoca una diminuzione delle entrate fiscali ed un aumento della spesa pubblica. In Italia le entrate fiscali non sono diminuite, perché sebbene il reddito nazionale tassabile sia calato, la pressione fiscale è aumentata. Dal lato della spesa pubblica invece sono aumentati soprattutto i costi di previdenza ed i costi salariali (riconducibili alla crisi), ma è incrementata uniformemente anche la spesa sanitaria. Questo peggioramento dei conti pubblici dovrebbe tradursi in una riduzione del residuo fiscale in ogni regione, e questo è avvenuto, ma con notevoli differenze territoriali.
SPESA PUBBLICA
Per capire il perché delle divergenze regionali bisogna guardare prima l’impatto complessivo per l’Italia [nota: per questo articolo utilizzo solo i dati dei Conti Pubblici Territoriali, anche se ci sono delle note discrepanze con Istat]. Sul lato della spesa pubblica, come illustrato nel grafico qui sotto, il grosso della spesa riguarda Previdenza e Integrazioni Salariali (un 40% del totale), Sanità (un 14% del totale) e Amministrazione Generale (un 12% del totale). Il resto (Istruzione, Viabilità, Sicurezza Pubblica, ecc…) conta solo per percentuali marginali. Ed è proprio sulla categoria principale (Previdenza e Integrazioni Salariali) che la crisi ha avuto il suo effetto, aumentando questa voce del 16% in 5 anni. Anche la spesa per la Sanità è aumentata del 16% nello stesso periodo, ma non so se questo sia dovuto alla crisi o ad inefficienze del sistema sanitario.
Come illustrato nelle tabelle in fondo all'articolo, questo aumento della spesa pubblica dovuto alla crisi è spalmato abbastanza uniformemente a livello regionale. Se per alcune regioni la spesa è sopra la media, queste sono le regioni relativamente più ricche. Così, se la spesa pubblica per la Lombardia era 116 miliardi nel 2007, nel 2012 raggiunge i 137 miliardi di euro. Se la spesa pubblica per il Veneto era 50 miliardi nel 2007, nel 2012 raggiunge i 56 miliardi di euro. La spiegazione più intuitiva che posso dare è che le regioni più industrializzate hanno subito di più dalla crisi, ed un aumento relativamente maggiore di disoccupazione e cassa integrati ha pesato di più sulle casse pubbliche. Ci possono essere anche altre ragioni di natura contabile. Per esempio, gli oneri non ripartibili rappresentano una fetta non trascurabile della spesa pubblica per regione, e non si capisce perché aumentino enormemente per Campania e Calabria e diminuiscano per la Sicilia (se sono oneri non ripartibili dovrebbero essere spalmati equamente, si presume). Fatto sta che in cinque anni di crisi la spesa pubblica è aumentata di più nelle regioni che avevano un residuo fiscale maggiore.
ENTRATE FISCALI
Più interessante è l’impatto della grande recessione sulle entrate fiscali regione per regione, perché qui le differenze territoriali sono più accentuate. Secondo i Conti Pubblici Territoriali dal 2007 al 2012 le entrate fiscali sono aumentate solo del 2% (da 811 miliardi a 826 miliardi). Trattandosi di dati nominali, le entrate fiscali sono state praticamente ferme, e questo perché da un lato il reddito nazionale tassabile è diminuito, e dall’altro lato le tasse sono aumentate. Per fare un esempio semplice, se nel 2007 tassavi il 20% di IVA su 100 di Pil, e nel 2012 tassavi il 22% di IVA su 93 (per via del 7% di calo del Pil), le entrate fiscali per ambedue gli anni sono pressapoco uguali a 20. Si tassa di più meno reddito, ma per le casse dello stato non è cambiato un granché.
Prima di analizzare l’impatto della crisi sulle entrate fiscali regione per regione è bene sottolineare la situazione a livello aggregato. Come illustrato nel grafico qui sopra, un terzo delle entrate fiscali proviene da imposte dirette (come l’Irpef), un terzo proviene da imposte indirette (come l’Iva), e un quarto da contributi sociali (versati da aziende e lavoratori). In cinque anni di crisi le imposte dirette e i contributi sociali sono aumentati evidentemente per via dell’incremento della pressione fiscale, mentre le entrate per imposte indirette sono lievemente diminuite probabilmente a seguito della contrazione dei consumi. A livello nazionale non è cambiato molto, ma l’impatto regione per regione è abbastanza differente. La regione con un residuo fiscale più elevato, la Lombardia, nel complesso paga meno tasse nel 2012 che nel 2007 (da 180 miliardi a 173 miliardi), mentre le altre regioni con residuo fiscale positivo hanno mantenuto quasi lo stesso livello di carico fiscale: il Veneto da 70.5 miliardi a 71.8 miliardi, l’Emilia Romagna da 70.5 a 72.6 miliardi, il Piemonte da 63.9 a 65.1 miliardi. La parte interessante è che le entrate fiscali sono considerevolmente aumentate in regioni con un residuo fiscale negativo: Puglia +13%, Calabria +8%, Lazio +5%, e Campania +4%. Il grosso è dovuto ad un aumento delle entrate per imposte dirette, il ché fa pensare forse ad un certo successo nella lotta all’evasione, oppure all’effetto dell'aumento della pressione fiscale in presenza di una riduzione del Pil minore che in altre regioni.
RESIDUI FISCALI
Sommando l’effetto della crisi sia su spesa pubblica che su entrate fiscali vediamo che i residui fiscali regionali si sono notevolmente ridimensionati. Il residuo fiscale lombardo quasi si dimezza da 64 miliardi a 35 miliardi. Quello veneto diminuisce di un quarto, da quasi 20 miliardi a 15 miliardi. Cala di un sesto quello dell’Emilia Romagna, da 17 miliardi a 14 miliardi. Si riduce del 40% quello piemontese, da 8 miliardi a 5 miliardi, e del 20% quello toscano (da 6.8 miliardi a 5.3 miliardi).
All’estremo opposto dello spettro i residui fiscali negativi non sprofondano di altrettanto, perlomeno non in termini assoluti. La Sicilia peggiora da -10 miliardi a -12 miliardi, ma Calabria e Puglia rimangono stabili a -6 e -5 miliardi rispettivamente. Nota stonata per la Campania che da -4 va a -8 miliardi, e la Sardegna passa da -3 a -5 miliardi. Nel complesso però, il miglioramento al Nord (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana) è di gran lunga maggiore del peggioramento in Sicilia, Sardegna e Campania.
Il grafico qui sotto raffigura l’impatto dei primi cinque anni di crisi. Impoverendo un po’ tutti, la grande recessione ha diminuito notevolmente l’ineguaglianza fiscale che affligge lo stato italiano.
Qui sotto alcune tabelle con dettagli regionali:
SPESA PUBBLICA PER REGIONE (Regioni in ordine per maggior aumento della spesa pubblica dal 2007 al 2012. In rosso gli aumenti al di sopra della media)
ENTRATE FISCALI PER REGIONE (Regioni in ordine per maggior diminuzione delle entrate fiscali)
Questo articolo e' veramente utile per capire come in maniera aggiornata come funziona lo Stato italiano. Nell'articolo precedente cui rimandi c'era un mistero, non risolto, la spesa pubblica eccedente le tasse pagate nelle regioni sussidiate spiegava solo il 60% dei soldi "sottratti" alle regioni attive. Questo mistero rimane o hai fatto progressi nell'interpretazione dei dati? Anche se il mistero permane, ritengo affidabile la conclusione che i residui si sono ridotti come documentato, se i dati CPT mantengono la stessa organizzazione, comunque. Tuttavia il valore assoluto dei residui mantiene un'elevata incertezza.
Cosa ne pensi poi nella ricostruzioni dei residui di L.Ricolfi ne "Il sacco del Nord"? La' i conti tornano, il totale dei residui delle regioni attive corrisponde al totale dei residui delle regioni sussidiate. Certo quella e' una ricostruzione dove si aggiunge un po' di interpretazione logica, e si distingue tra spesa discrezionale e spesa "dovuta".
Ciao Alberto,
probabilmente c'e' qualche nota dentro CPT che spiega tutto, ma ho l'impressione quasi che il netto di tutti i residui corrisponda al bilancio primario. Non esattamente, ma questo lo specificano anche loro che i numeri del CPT non corrispondono a Istat. Comunque rimangono dati da prendere con le pinze, specie sul lato della spesa ripartita per regioni. Pressapoco solo un decimo e' spesa gestita dalle amministrazioni regionali (salvo quelle a statuto speciale). Il resto e' un lavoraccio ripartirla adeguatamente. E non ho proprio capito perche' gli "oneri non ripartibili" vengono assegnati in quella maniera. Puzza un po'.