Riportiamo la recente missiva di cinque esponenti di spicco della sinistra televisiva indirizzata al Presidente dell'AGCOM, la autorità di regolazione del settore delle comunicazioni.
Caro Presidente,
come Lei certamente sa, nei giorni scorsi la Commissione parlamentare di vigilanza per i servizi radiotelevisivi ha deciso di recepire - nel Contratto di servizio 2010-2012 tra la Rai e il Governo - l'obbligo di inserire nei titoli di coda delle trasmissioni compensi dei conduttori, degli ospiti, degli opinionisti, nonché i costi di produzione dei format definiti di servizio pubblico. Oltre alla pubblicazione sul sito web della Rai degli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori.
Ci rivolgiamo a Lei nella consapevolezza che una simile direttiva, peraltro meritevole di essere maggiormente specificata per la sua effettiva praticabilità, non può essere lesiva della concorrenza tra i media e gravare unicamente sul soggetto pubblico del sistema. Ci auguriamo, quindi, che l'Autorità da Lei presieduta voglia prendere in esame tale delicata scelta quanto prima, per rendere omogenea la condizione dell'intero universo della comunicazione radiotelevisiva.
Per quale ragione la divulgazione di queste informazioni dovrebbe produrre effetti anti-competitivi?
Tanto per cominciare, nel caso delle star del cinema o dello sport, la divulgazione dei compensi è faccenda che viene sviscerata con abbondanza di particolari, senza che a nessuno sia mai venuto in mente di sostenere che in questo modo si altera la concorrenza fra i soggetti che pagano fior di quattrini per ingaggiarli. Quando c'è un trasferimento o un rinnovo di contratto, tutti i giornali rivelano ai lettori durata e compenso netto. Nessun attore o calciatore si è mai lamentato di questa pubblicità. E i giornali ricordano non ogni domenica, ma dopo ogni partita sbagliata, gli 8 milioni netti che Ibra prende dal Barça o gli 8 milioni di sterline che Capello prende per non far vincere l'Inghilterra.
L'argomento che avanzano gli estensori della lettera è il seguente.
Secondo loro “inserire nei titoli di coda delle trasmissioni compensi dei conduttori, degli ospiti, degli opinionisti, nonché i costi di produzione dei format definiti di servizio pubblico” è una direttiva che diventa “lesiva della concorrenza tra i media” se grava “unicamente sul soggetto pubblico del sistema”. Quindi più che la divulgazione in sé, il problema sarebbe dovuto all'asimmetria che si verrebbe a creare fra Rai e Mediaset, la prima costretta a fornire questa informazione, la seconda esentata dal farlo.
Si può avanzare una prima interpretazione, che chiamiamo ipotesi sofisticata.
Il compenso delle star e i costi di produzione dei format sono informazioni sensibili. In un duopolio la rivelazione di significative componenti di costo può agevolare il coordinamento delle strategie delle imprese. Se si mettono reciprocamente al corrente su quanto sono disposte a pagare una star, impediscono all'oggetto dei loro desideri di metterle in concorrenza fra loro per spuntare un ingaggio più elevato. In questo modo diventa più semplice il coordinamento delle offerte e meno costosa la ripartizione dei talenti in circolazione. Tuttavia non è questa la preoccupazione degli esperti che scrivono. La questione che sta loro a cuore è “rendere omogenea la condizione dell'intero universo della comunicazione radiotelevisiva”, ovvero imporre anche a Mediaset tale disciplina. Il piccolo problema però è che l'asimmetria nella rivelazione delle informazioni gioca un ruolo pro-competitivo e non anti-competitivo e quindi se si seguisse la proposta degli esperti, il coordinamento verrebbe facilitato e non ostacolato. Questo se i duopolisti prima dell'introduzione della disclosure non colludevano per ridurre i compensi alle star. Se invece già colludevano, la proposta dei firmatari – ovvero rendere obbligatoria la comunicazione per tutte le emittenti - avrebbe l'innegabile pregio di sottrarre la spartizione alle censure dell'antitrust. Sì, perché in questo caso le due imprese potrebbero sostenere che la comunicazione avviene non per autonoma volontà delle imprese, condizione essenziale per stabilire che di quel comportamento esse sono giuridicamente responsabili, bensì per osservare un regolamento che è stato loro imposto. Una bella ciambella di salvataggio per i duopolisti collusi: come esperti di antitrust dei media non c'è male...
Ma forse i firmatari hanno in mente una teoria più semplice, che chiamiamo dello svantaggio competitivo.
Le star non desiderano che i loro compensi siano resi noti. Siccome il fastidio, come tante cose di questo mondo, ha un prezzo, le star a parità di compenso preferiscono farsi scritturare da Mediaset piuttosto che da Rai. Quindi se Rai intende continuare ad avvalersi delle loro prestazioni deve pagare di più, il più essendo il compenso di questo fastidio. Per chiarire mettiamo due numeretti. Il compenso di due star di Rai, che chiameremo con due nomi di pura fantasia Dantoro e Sandini, è 100. Per le star il fastidio vale 10. Dopo l'introduzione della regola di disclosure il loro compenso effettivo scende a 90. Se la Rai vuole continuare a beneficiare delle prestazioni delle risorse scarse Dantoro e Sandini (in questo particolare contesto il significato dell’aggettivo potrebbe assumere, senza che questo corrisponda all’intendimento degli autori del post, un significato polisemico) dovrà innalzare l'offerta. Dantoro e Sandini rimarranno in Rai solo se verrano integralmente compensate per il fastidio: poiché Rai non può fare a meno delle star finirà con il pagarle 110, l'ammontare che ripristina la situazione precedente. Secondo gli estensori della lettera, tutti e cinque grandi amici di Dantoro e Sandini, Rai verrebbe ad essere svantaggiata dovendo pagare per le star di più di quello che pagava prima. Eh si, perché se la Rai non aumenta i compensi, Dantoro e Sandini andranno a lavorare presso il concorrente.
Ma perché dovrebbe andare così? Distinguiamo due casi. Nel primo a Mediaset non importa nulla di ingaggiare Dantoro e Sandini, nel secondo Mediaset è effettivamente interessata a fargli sottoscrivere un contratto.
Nel primo caso i due subiranno il fastidio di veder pubblicato il loro nome senza che il loro ingaggio cresca di un euro perché non esiste un offerta alternativa. Quindi l'asimmetria non genera nessun costo aggiuntivo per Rai, con buona pace loro e degli estensori della lettera.
Se invece Mediaset intende aggiudicarsi Dantoro e Sandini, certamente non offrirà di più di quanto era disposta ad offrire prima dell'introduzione della regola di disclosure: l'introduzione non muta di una virgola la valutazione delle loro prestazioni. Semmai, sapendo del fastidio provato dalle due star, rivedrà al ribasso la sua offerta e non al rialzo. Ipotizzare il contrario significa presupporre che quelli di Mediaset siano dei fessi matricolati, cosa che sembra cozzare con l’evidenza disponibile.
In sostanza, se le star che manifestano questa idiosincrasia non hanno mercato presso il concorrente di Rai, non verranno compensati per il fastidio. Se invece si accaseranno presso Mediaset, spunteranno un compenso che sarà comunque inferiore a quello precedente ottenuto presso Rai.
Se poi Dantoro e Sandini mal sopportano l’invidia dei colleghi, oppure temono che qualcuno vedendo le cifre che intascano sia indotto a rapirli per chiedere un riscatto o, peggio ancora, che il pubblico li giudicherebbe con riprovazione conoscendo quanto hanno ottenuto per un’oretta di lavoro, bè queste sono comprensibilissime ragioni che però hanno il difetto di non avere nulla a che fare con la concorrenza.
Se mai ce ne fosse stato bisogno questa è la conferma che gli esponenti della sinistra televisiva parlano a casaccio di concorrenza e di antitrust. A giudicare dai risultati degli ultimi anni si vede, eccome se si vede.
In Italia la concorrenza è una coperta corta che molti usano selettivamente.
Ci si dimentica che la Rai sarebbe anche un servizio pubblico, visto che in parte per questo riceve risorse, ed mi pare esista anche una legge/direttiva che dice che gli stipendi di chi lavora negli enti pubblici o nelle partecipate devono essere pubblicati. Mentre l'altra azienda direttamente posseduta (per la Rai Mr BS ha potere di indirizzo e guida :-) ) dal BS e comunque quotata è una azienda privata.
Quindi potrebbe essere interessante sapere che poco o molto del mio canone lo usiamo per dare 10.000 Euro a puntata a un che fa una trasmissione il pomeriggio alle 3 vista da 30.000 persone. Soprattutto se magari è figlio di o parente di.
Mi piacerebbe che la sinistra la concorrenza se la ricordasse anche quando porta avanti le sue idee di spesa pubblica per il rilancio dell'economia. Che spesso vuole dire, nella loro idea, carrozzoni statali che lavorano fuori dalle regole della concorrenza in mercati protetti (molte aziende ad esempio in ambiti non proprio di interesse pubblico come l'informatica, la ristorazione o la manutenzione del verde) con costi fuori mercato ma che possono essere sopportati in quanto "protette" e a carico della comunità.