Cosa significa la decisione di Standard & Poor di ridurre il rating del debito italiano? A ben vedere non molto. I rating di queste agenzie sono modi sintetici di comunicare informazione agli investitori, allo stesso modo in cui il voto dato allo studente è un modo per comunicargli i suoi risultati. Come tutte le misure sintetiche, siano esse il rating di un'obbligazione o il voto scolastico, il vantaggio sta nel fatto che il messaggio è facilmente intelleggibile e comparabile (nel tempo e rispetto ad altri soggetti), mentre lo svantaggio è che inevitabilmente la sinteticità impedisce una comunicazione più ricca e dettagliata della situazione. In effetti se già abbiamo informazioni dettagliate che permettono di farsi una buona idea della probabilità che un'obbligazione verrà ripagata (o di quanto uno studente stia apprendendo) il rating dell'agenzia (o il voto del professore) diventa abbastanza inutile, dato che riassume semplicemente cose note.
Questa è la ragione per cui i giudizi delle agenzie di rating, in principio, sono utili quando riguardano titoli poco noti e scarsamente seguiti dagli analisti (questo assumendo che le agenzie facciano bene il proprio lavoro, tema che va ben oltre gli obiettivi del post e nel quale quindi non voglio sconfinare) mentre non aggiungono quasi nulla per titoli che sono ampiamente noti e analizzati. I titoli del debito pubblico di paesi come l'Italia e gli Stati Uniti rientrano senz'altro in quest'ultima categoria. Infatti in entrambi i casi i tassi d'interessi su questi titoli non hanno reagito gran che alla notizia del downgrade. Negli USA sono rimasti bassi e tendenti a diventare ancor più bassi, in Italia hanno proseguito il movimento verso l'alto degli ultimi mesi (con la parentesi dell'intervento di acquisto della BCE) senza alcuna particolare accelerazione.
È ragionevole che sia così. La decisione di Standard & Poor non ha aggiunto niente che non fosse già chiaro a chi segue il dibattito político-economico italiano, ed è in questo senso una non-notizia. In realtà l'agenzia ha fatto poco più che ratificare ex post giudizi che sono stati già espressi dai mercati. I problemi del debito italiano si sono acuiti nell'ultimo paio di mesi ma le radici sono lontane. I tre anni di governo Berlusconi, caratterizzati sostanzialmente dalla più totale inazione e da una montagna di menzogne, hanno peggiorato parecchio la situazione. Ma, di nuovo, per chiunque si sia informato decentemente sul dibattito político-economico italiano, guardando i numeri e gli atti di governo e non le falsità dei telegiornali, la situazione era già chiara almeno un paio di anni fa. E sicuramente tra le persone che guardavano i dati e gli atti effettivi, e non la propaganda, c'erano gli analisti delle banche e dei grandi investitori internazionali che acquistano i titoli del debito pubblico italiano.
Visto che la decisione di Standard & Poor non porta nuova informazione, nemmeno cambia la nostra opinione su ciò che andrebbe fatto: la prima e più importante misura da intraprendere è cacciare questo governo, che si è dimostrato completamente incapace di affrontare i problemi di finanza pubblica in modo minimamente serio. È evidente che i nostri governanti, e Berlusconi in particolare, non sono in grado di reagire in modo appropriato alla gravità della situazione, o perché non capiscono o perché se ne disinteressano. Il ricordo del tentativo mascalzonesco, effettuato a inizio luglio, di introdurre di soppiatto una norma per mettere Fininvest al riparo dalle conseguenze di una imminente sentenza brucia ancora. Che credibilitàha un presidente del Consiglio che, mentre chiede sacrifici ai cittadini con proclami altisonanti, si mostra in realtà unicamente preoccupato di manipolare le leggi a proprio personale vantaggio? Ma questo episodio, di per sé sufficiente a distruggere la credibilità di qualsiasi governo, è stato solo uno dei tanti. A completare questo lavoro di distruzione, è arrivato il ridicolo balletto agostano sulle differenti versioni della manovra, che alla fine è risultata essere la solita minestra riscaldata spostata in modo preponderante sul lato delle entrate.
Ripetiamo che queste cose sono chiare da tempo. La novità di oggi sembra essere che dell’impossibilità di conseguire qualunque risultato utile se permane questo governo sembrano essersi accorti anche diversi rappresentanti dell’establishment: editorialisti di Corriere e Sole 24 Ore e Confindustria. Che dire? Meglio tardi che mai. E, a parte il ritardo, sembra proprio che cose coraggiose i nostri blasonati editorialisti facciano proprio fatica a dirle.
La preoccupazione di Sergio Romano, mentre chiede a Berlusconi di andarsene, è che lo faccia ''in un modo che non faccia violenza alla Costituzione e salvi ciò che della sua fase politica merita di essere conservato''. Really, Mr. Romano? Ma di quale violenza alla costituzione sta parlando? Quando un governo inetto si dimette non c'è nessuna violazione della Costituzione. A cosa serve invocare questo pericolo inesistente? E cosa c'è da salvare in un partito che si è distinto solo per la mancanza di idee e di dibattito interno, per l'obbedienza assoluta al capo qualunque porcheria facesse? È costoso rispettare persone indegne, Mr. Romano. Per cominciare, ciò rende indegno chi rispetta tali persone. Inoltre abbassa il tono del dibattito e fa credere che cose ripugnanti siano accettabili.
La Marcegaglia invece sembra essersi finalmente accorta che di cose buone per il paese questo governo non ne ha fatte proprio. Annuncia un grande manifesto in cinque punti e dichiara
«Se il Governo è disponibile a parlare con noi sulle grandi riforme siamo pronti, se il Governo vuole andare avanti sulle piccole cose noi non siamo interessati, noi scindiamo le nostre responsabilità perché vogliamo un cambiamento vero. È inutile perdere tempo»
Seriamente, veramente è il caso di continuare la manfrina ''se il governo vuol parlare ...''? Piantiamola per favore. Non ci sono ''se'' o ''ma'', non c'è niente da attendere, e il tempo del galateo estremo è finito. C'è solo da chiedere a gran voce e con tutta la forza possibile che questo governo si levi di torno.
Ancora una volta le élite italiane si sono dimostrate estremamente pavide, sempre timorose di disturbare troppo gli equilibri politici e pronte ad agire solo quando la situazione è vicina al punto di non ritorno. Abbiamo già chiesto conto al Corriere e agli altri di questa pavidità, senza ottenere risposta. Domande molto simili si potrebbero porre a Confindustria, che per anni ha avuto un timore reverenziale di questo governo di inetti, tradendo così non solo gli interessi del Paese, ma in particolare quelli dei suoi associati.
Per il momento, però, vogliamo essere ottimisti e guardare al bicchiere mezzo pieno. Anche se disastrosamente tardive, le pressioni per la cacciata del governo stanno finalmente arrivando. Vanno accelerate e intensificate. Il problema infatti è che ogni giorno che passa il problema si fa più acuto e senza un cambio di governo è praticamente impossibile attuare misure che aumentino la credibilità del paese. Si considerino per esempio le privatizzazioni. Se fatte bene, evitando sia la creazione di monopoli privati sia la svendita, queste possono essere utili, riducendo lo stock del debito e aumentando l’efficienza del paese. Ma se fatte male possono essere letali. E chi può onestamente fidarsi che questo governo possa farle bene? Fin dall’affaire Alitalia è stato chiaro che per questo governo gli interessi privati stanno sopra agli interessi pubblici. Non c’è ragione di credere che le cose sarebbero diverse, per esempio, se il governo cercasse di vendere Eni o Finmeccanica.
La permanenza di questo governo quindi non può che generare paralisi. Vada via subito. Poi bisognerà iniziare a discutere seriamente di cosa fare. E sarà una discussione dura, perché molti dei provvedimenti da prendere saranno politicamente difficili.
Qui un elenco di cose sensate, più o meno. I cinque punti sono un sunto, ma giusto per cominciare, tanto quelli al Governo non vanno oltre le due righe come capacità di comprensione di un testo..
N.B.: il testo è un pò datato, ancora appiattito sulla "non criticabilità", ma gli spunti sono interessanti.
Per fortuna (a mio parere) questa roba "È necessario diversificare il mix delle fonti utilizzate nella generazione attraverso l’attuazione del programma nucleare previsto dalla legge 99/09" e' stata colpita e affondata.