Cosa sono le preferenze?
Michele: Cominciamo col definire l'oggetto del contendere, così ci chiariamo. Che si sappia il “preferenziatore” non è ancora stato individuato e i molti tentativi di dare una definizione non ambigua e completa di ciò che abbiamo in mente quando diciamo “preferenze” lasciano molto a desiderare. Insomma, si cerca ancora di costruire una teoria delle preferenze avendo come osservabili quasi solo le azioni che, per nostra ipotesi, le preferenze determinano, ossia le “scelte” umane. Ti sembra ragionevole come punto di partenza?
Aldo: Tecnicamente, le preferenze sono soltanto costruzioni teoriche fatte da chi analizza il comportamento dell'agente economico. L'unica evidenza che un soggetto ci può dare (se si usa un approccio basato strettamente su preferenze rivelate) è quella delle scelte che fa fra le opzioni a sua disposizione. Ciò che determina le scelte non sono solo le "preferenze" in senso stretto, ma anche un sistema di opinioni sugli esiti delle scelte, sulle possibilità a disposizione, che in gergo chiamiamo "beliefs", e che modelliamo come probabilità soggettive.
Ogni apprendimento che porti a un cambiamento dei beliefs è un cambiamento delle preferenze, almeno di quelle rivelate. Da questo punto di vista è ovvio a chiunque che la domanda generica “sono modificabili le preferenze?”, ha una risposta affermativa. Qualsiasi processo di apprendimento, volontario o involontario, che alteri o la nostra percezione degli stati esterni del mondo o modifichi gli stati interni del corpo umano (esempio: la noia che questo dialogo può causare al lettore) cambierà alcune scelte dell’individuo, quindi le preferenze.
Michele: Si questo è piuttosto evidente, anche se per molti non è ovvia la distinzione fra gusti e beliefs nella costruzione astratta che chiamiamo preferenze. Meglio prenderne nota: chiunque sia un credente nella "tabula rasa" sosterrà sino alla morte che è impossibile separare il grano dal loglio. Andiamo avanti, comunque: io penso piuttosto ad una gerarchia di sistemi di preferenze. Esistono le preferenze per la nutella, che sono modificabili se si scopre che fa ingrassare, e preferenze per sensazioni che si provano dalle papille gustative, che sono più fondamentali e più difficilmente modificabili. Queste ultime sono "gusti", probabilmente, le altre sono "preferenze", ossia misture di gusti e beliefs.
Aldo: Di teorie delle gerarchie ce ne sono, ma spero che non te ne piaccia nessuna. Ma torniamo alla dsitinzione fra gusti e beliefs: c'è chi ha lavorato per enfatizzare che (Machina, Schmeidler) i gusti (per esempio l'attitudine al rischio) sono diversi dai beliefs. A me però i beliefs piacciono come esempio, perché il paradosso di cui vogliamo parlare c'è già tutto, anzi è particolarmente evidente. Mi spiego.
Cominciamo con una osservazione su sui tutti saranno d'accordo. In un problema di decisione individuale essere più informati è meglio, quindi un belief più preciso è meglio di uno più vago, e uno più giusto è meglio di uno sbagliato. Giusto? Bene, ma allora se i beliefs fanno parte delle preferenze pare che ci sia un ordine fra preferenze su cui si dovrebbe essere d'accordo, un modo per dire che un certo cambiamento di preferenze (nel nostro esempio da belief meno informati a belief più informati) è un miglioramento indiscusso, un chiaro welfare improving. Siamo più specifici.
Prendiamo una donna che deve decidere se lavorare o meno. Una parte importante della decisione è data dall’effetto che lei si aspetta che questa decisione avrà sulla vita dei figli. Se questa donna ha una idea più precisa degli effetti veri del fatto che la madre lavori sulla loro educazione o sul loro benessere futuro, allora può fare una scelta migliore. Sembra un criterio inequivocabile di ordine fra preferenze: quelle più informate sono migliori di quelle meno informate. Nella discussione in neuroeconomia questo punto è tornato come una discussione su cosa fare per chi fa errori (attraversare la strada in UK guardando a sinistra è un errore). Ma il nodo del problema è già in questi esempi più semplici. Stesso argomento per, diciamo, gli effetti del fumo.
Michele: Non era quella la gerarchizzazione che avevo in mente, però il tuo argomento è utile lo stesso perché sgombra il campo da questioni che confondono molti. Ma mi chiedo, perché non restringere il dominio delle preferenze (dei gusti, nel mio linguaggio) ad esiti (outcomes) elementari, meglio ad un insieme relativamente ristretto di caratteristiche elementari degli esiti, caratteristiche nel senso di Lancaster per capirsi. A questo livello sia la psicologia, che la neurologia, che la evolutionary psychology potrebbero darci una mano. Sul fatto che tutti preferiscano la mano sana alla mano bruciata, o la pancia piena a quella vuota, non vi sono dubbi. Qui i beliefs su come funziona il mondo, o ben non c’entrano o ben son stati “automatizzati” dalla nostra fisiologia che ha dei “beliefs” del tipo: pancia vuota no bene. Chiamiamole le preferenze di Catalano (as in "Quelli della notte") se vuoi: queste sono le preferenze profonde, le uniche che non dipendono da un sistema di beliefs. Tutto il resto, incluso se le donne "preferiscono" o meno lavorare, dipende da sistemi di beliefs, alcuni dei quali cambiano molto frequentemente.
Aldo: Questo era il senso della provocazione. La questione fondamentale è: c'è un modo di dire che una certa direzione di cambiare le preferenze è un miglioramento? La tentazione nel caso dei beliefs (per questo mi piacciono) è di dire: "Diavolo, certo che sì!" Perché? "Mah, perché un belief giusto è meglio di uno sbagliato, e se una povera donna ha idee sbagliate sul funzionamento dell'educazione dei figli non si fa altro che bene a dirle come stanno le cose veramente, così si leva dalla testa paure infondate. Anzi, donna, già che ci sono ti vorrei proporre questo libro sulla dieta, che spiega (come forse non sai) che certi cibi grassi non ti fanno affatto bene. Poi quando l'hai finito ne ho uno sull'ambiente, che se andassi in bici al lavoro sarebbe meglio per te, e per tutti. E magari per darti una spintarella sulla retta via ti do una tassa qui e un sussidio là.''
Questo test di slippery slope va sempre fatto perché ci impone di dire quanto in là vogliamo portare un argomento. Dove tiriamo la linea? Dove diciamo: fin qui e non oltre? La mia risposta arriva nel paragrafo successivo, ma intanto chiariamo un punto: la tiriamo fra le preferenze stabili e quelle transitorie? Cioé, ammettiamo per un momento che ci sia un modo di definire la gerarchia, quella fra preferenze più profonde, stabili, e preferenze che lo sono meno. Diciamo che accettiamo gli educatori per le prime ma non per le seconde? Spero di no.
La mia risposta è che la linea non si tira. Quando si arriva a una slippery slope in genere si dovrebbe ammetter di aver scelto un modo sbagliato di vedere le cose, perché o si ammette torto o si fanno distinzioni pateticamente arbitrarie. Nel caso delle preferenze, se si ammette che possano cambiare, l'unica cosa che possiamo dire è che la persona stessa decide se e come cambiarle. Quindi, anche per la parte più transitoria delle preferenze, i beliefs, per i quali potrebbe sembrare che ci fosse un criterio oggettivo atto a giudicare quali siano i beliefs giusti, la tentazione di fare gli educatori, o di assegnare quel ruolo a qualcuno, per esempio lo stato, o l'esperto di settore, va resistita. La vera soluzione è di lasciare che le idee vengano conosciute, e le informazioni rese pubbliche. Poi la grande maggioranza degli individui le decisioni che sono giuste per ciascuno le sa prendere. Bisogna però che abbiano l'incentivo a farlo: cioé bisogna che sappiano che alla fine le scelte le fanno loro, non lo stato benevolente. Se si sa che tanto ci pensa lo stato, anche la curiosità si atrofizza, o non si sviluppa affatto, e questo è il vero nemico della democrazia.
Michele: Fammi ridire la stessa cosa, credo, con parole mie. Così si chiarisce meglio se siamo d'accordo o meno. Ho già detto che credo sia utile modellare le preferenze, ossia le scelte osservate, come il prodotto di due insiemi di capacità umane: i "gusti" (di cui non disputandum est) ed i "beliefs" (di cui disputiamo ad ogni pié sospinto). La cosa che io trovo divertente è che nella conversazione quotidiana le persone sane di mente - e che condividono sistemi generali di beliefs - tendono a sapere esattamente dove cominciano gli uni e terminano gli altri e lì si fermano dicendo "gusti tuoi". Le preferenze risultano dall'interazione fra questi due insiemi di "funzioni" che, a mio avviso, siedono in "luoghi" separati del cervello umano. Virgoletto tutto perché non voglio essere preso troppo alla lettera, ma questo mi sembra un programma di ricerca sia consistente con quanto conosciamo oggi, sia concretamente praticabile. Il problema è di capire cosa va nei "gusti" (non modificabili se non nella misura in cui l'altezza d'una persona lo è) e cosa va nei "beliefs" (modificabilissimi). L'economia e la ricerca economica, anche interpretate in senso lato, a mio avviso si fermano qui.
Sono disposto a scommettere che, se tale programma di ricerca venisse portato avanti, arriveremo alla conclusione che, raggiunta la maggiore età, i "gusti" d'un individuo sono scarsamente alterabili e definiscono ciò che definiamo la sua "personalità" e che essi sono geneticamente determinati per un 60-80%. Ma scopriremo anche, io credo, che i "gusti" così definiti hanno pochissimo a che vedere con la nostra opinione sul ruolo delle donne nel mercato del lavoro o sul fatto che il Barolo XYZ sia o non sia preferibile all'Amarone ZYX. Le nostre preferenze, su scelte di questo tipo, sono determinate essenzialmente dai nostri beliefs, non dai nostri gusti. Ed i beliefs sono modificabili e vanno modificati. Qui usciamo dall'ambito della ricerca economica, però, ed entriamo in quello della teoria morale e politica. La ricerca scientifica è un'attività diretta a cambiare i beliefs, giusto? Quella, son certo, non la vuoi impedire quindi la linea anche tu la vuoi tirare un po' dopo l'inizio dello slippery slope. Lo stesso vale per la diffusione d'informazioni, vere o false che si rivelino ex post .... Ma persino la pubblicità più scema, se non esplicitamente ed obiettivamente falsa, io non mi sento di resisterla. Il problema, di nuovo, non è di teoria economica e nemmeno di neuroscience. Il problema, come si diceva una volta, è politico ed è meglio riconoscerlo ed affrontarlo come tale.
Come la mettiamo? Proviamo questa strada: alcuni soggetti (tipo, lo stato) non dovrebbero aver il diritto di operare per cambiare i beliefs dei cittadini, tutti gli altri sì. Anche questo non funziona, quando lo prendi letteralmente: forse che non vorremmo che il servizio sanitario nazionale ci informasse di un'epidemia in arrivo o in corso? O di altre situazioni di pericolo? Allora proviamo di nuovo: alcuni insiemi di beliefs non andrebbero influenzati. Possibile, ma quali? Più che uno slippery slope da evitare, io qui vedo un grande campo da esplorare e sul quale non saprei davvero, in questo momento, dove mettere i paletti.
Intuitivamente io sono con te nel senso che non voglio un sistema politico-sociale in cui qualche "grande fratello" mi "ordini" in cosa devo credere. O mi forzi, in modo subdolo, a credere in qualche belief nel quale altrimenti non crederei. Ma è un problema di filosofia politica, l'economia c'entra nulla: chi cerca di spacciare questa discussione come una discussione "economica", bara. Andiamo avanti, comunque.
Quando si puo dire che una preferenza è cambiata?
Aldo: Il criterio, strettamente basato su preferenze rivelate, è semplice: quando, se tutto il resto è invariato, le scelte cambiano allora le preferenze devono esser cambiate. La clausola "tutto il resto invariato’" è una restrizione forte, difficile da verificare empiricamente, ma concettualmente chiarissima: prezzi, reddito, possibili esternalità, età (un po’ più difficile...) tutto deve essere invariato.
Ora, se si applica questo criterio allora a me pare che chiaramente le preferenze cambiano, e molto e anche spesso. Anche i piu ortodossi (incluso Becker) si sono allontanati dalla posizione originaria, come espressa per esempio nel paper "De gustibus non est disputandum". Ricordiamoci che la posizione espressa in quel paper era quella che le preferenze sono stabili. Cioé: dal punto di vista analitico e delle applicazioni di policy l’idea cardine dell' economia che le scelte vengono fatte sulla base di preferenze è utile se e solo se queste preferenze sono stabili; Stabili nel tempo, stabili rispetto alle esperienze fatte, stabili rispetto all’ambiente. Se non lo sono, la porta è aperta a tutte le spiegazioni ad hoc.
Dico questo perché modelli di habit formation, modelli di addiction, sono tutti modelli che possono avere una bella analisi nell’ambito delle teorie classiche, ma sono senza alcun dubbio modelli di cambiamenti delle preferenze. Tecnicamente ci si può rifugiare nella finzione che c’è una preferenza che comprende tutto, e dire che le preferenze non sono cambiate. A me pare un trucco. Per verificare, facciamo il test: dopo aver imparato ad apprezzare la musica classica, la persona cambia scelta, anche se tutto il resto è invariato.
Su questo non sono d'accordo. Perchè lo stato no e tutti gli altri sì? Gli altri sono sempre necessariamente più onesti e disinteressati? Nel caso della sanità è bene che lo stato cerchi di far cambiare idea ai cittadini circa i danni provati del fumo o di altri stili di vita dannosi. Altrimenti la conseguenza è che io, non fumatore, debbo sopportare i costi di chi si ammala di cancro al polmone dopo aver fumato una vita intera. Viceversa una multinazionale delle sigarette non dovrebbe avere il diritto di provare a far credere che il fumo non è dannoso perché è chiaro che c'è un conflitto di interesse sotto.
Era un esempio fatto appunto per dimostrare che non funziona.
Comunque un motivo per tenere a freno lo stato più della multinazionale c'è: questa al massimo può metter cartelloni, quello può fare campagne a tappeto nelle scuole, mettere tasse o perfino sbattere in galera i fumatori (e lo fa, a seconda di quello che fumano).
Non voglio necessariamente dire che lo stato vada limitato più di altri soggetti, solo portare un argomento a favore.