Il recente Decreto anti crisi n. 185/2008, con riferimento al sostegno all'economia attraverso la sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie, contiene un’ambigua discriminazione: solo le banche con azioni quotate sono "meritevoli" di sostegno. Questa disparità di trattamento fra imprese del medesimo settore in Italia determina una significativa distorsione nel raggiungimento degli obiettivi del Decreto. Vale la pena richiamare a tal riguardo le seguenti evidenze.
1) In Italia sono attive 806 banche, di cui solo 20 classificate per dimensione come Banche Maggiori e Grandi, mentre solo 27 banche hanno azioni negoziate in un mercato regolamentato.
2) Il 44% del totale dei depositi in conto corrente è detenuto da Banche Maggiori e Grandi mentre il 56% è detenuto da Banche Medie, Piccole e Minori. Per le banche quotate l'incidenza dei depositi sulla raccolta diretta complessiva è minore rispetto alle banche non quotate.
3) Dall'inizio del 2007 ad oggi, negli Stati Uniti, hanno manifestato insolvenza 26 banche (23 nel solo 2008), fra cui la nota Lehman Brothers. Solo un paio di esse avevano azioni quotate in un mercato regolamentato.
4) In questa fase, il sistema creditizio soffre principalmente del rischio di liquidità (la banca non ha liquidità immediatamente disponibile per fare fronte ai propri impegni, pur in un contesto aziendale in cui l’attività bancaria è sana e la banca e' solvente) più che del rischio di insolvenza (perdite superiori al patrimonio minimo regolamentare). Gli interventi finalizzati a ricostruire il capitale di una banca agiscono sulla riduzione del rischio di insolvenza e non sul rischio di liquidità. Questo perche', per sostanziali che le iniezioni di capitale possano essere, saranno sempre una percentuale relativamente piccola del bisogno di liquidita' di una banca. I benefici di un aumento di capitale, in questo contesto, sono quindi di breve periodo.
5) Le banche non popolari quotate in Italia (19 su 27) hanno come obiettivo dichiarato quello della creazione di valore per i propri azionisti. La creazione di valore non è altro che il conseguimento di un extra profitto rispetto alla remunerazione del rischio atteso. Il profitto di una banca deriva, infatti, dalla lavorazione dei rischi (di credito, tasso, valuta, tempo, ecc.): a maggior rischio corrisponde un maggior profitto, Quindi perseguire obiettivi di extra profitto comporta la ricerca di maggiori rischi.
6) E' compito della Banca di Italia vigilare sulle banche e sugli intermediari finanziari avendo riguardo alla “sana e prudente gestione dei soggetti vigilati". E' quindi quantomeno problematico rendere compatibili gli obiettivi di extra profitto perseguiti da alcune banche quotate con l'obiettivo istituzionale della "sana e prudente gestione". Meglio detto: mentre gli azionisti delle suddette banche hanno tutti i diritti di questo mondo di perseguire un maggior rendimento a mezzo dell'assunzione di maggiori rischi, non v'e' ragione alcuna per cui la Banca d'Italia o il Ministero del Tesoro debbano favorire in modo discriminatorio tale scelta fornendo a queste banche finanziamenti privilegiati in conto capitale.
Le misure varate dal Governo, invece:
a)Si rivolgono ad un ristretto numero di banche, peraltro caratterizzate da minor problemi di liquidità, oggi principale fattore di rischio per l’instabilità del sistema creditizio. La misura è quindi inefficace nel ridurre le difficolta' che il sistema creditizio si trova oggi ad affrontare.
b)Discriminano, in modo paradossalmente avverso, proprio quelle banche che finora hanno perseguito obiettivi aziendali sotto il vincolo della sana e prudente gestione, ricercando un equilibrio finanziario di lungo periodo, basato su rapporti stabili con la propria clientela.
c)Sanano benefici privati e azzardi morali perpetuati da poche banche al prezzo di compromettere, con costi a carico dello Stato, il livello di concorrenza oggi raggiunto nel sistema creditizio.
Il sostegno statale limitato alle sole banche quotate è disfunzionale al perseguimento degli obiettivi di politica economica individuati dal Legislatore, distorsivo della libera concorrenza nel settore bancario ed iniquo laddove privilegia proprio quelle banche orientate alla generazione di extra profitti anziché alla sana e prudente gestione. E’ ancor più preoccupante la circostanza, invero non irrealistica, in cui una banca quotata paga prima un dividendo agli azionisti (beneficio privato) e dodici mesi dopo aumenta il proprio patrimonio con denaro pubblico (costi collettivi).
Per queste argomentazioni auspichiamo una revisione del Decreto nella direzione qui indicata in sede della sua conversione in Legge.
Punti (5) e (6): non capisco. Le banche non quotate e "non popolari", in Italia, che "obiettivo dichiarato" hanno, se non creare valore per chi le possiede/controlla? Perche' le banche appartenenti a quest'ultimo gruppo, piu' o meglio di altre banche, "hanno perseguito obiettivi aziendali sotto il vincolo della sana e prudente gestione, ricercando un equilibrio finanziario di lungo periodo, basato su rapporti stabili con la propria clientela"?
Una banca quotata (come qualsiasi altra società quotata) trasferisce al proprio azionista il maggior valore creato mediante la distribuzione di dividendi e l'aumento del prezzo delle azioni (determinando un capital gain). Per una società quotata la creazione di un maggior valore è l'obiettivo ultimo, come peraltro richiesto persino dall'ente gestore del mercato (in Italia, Borsa Italiana spa).
Una banca non quotata distribusice valore ai propri azionisti con i dividendi e "direttamente" con la propria attività di raccolta e impiego. Ciò è ancor più tangibile nel caso di banche popolari e cooperative, ove il "valore percepito" dai soci/clienti è estratto direttamente dall'attività bancaria per mezzo di condizioni di credito e risparmio più vantaggiose rispetto alle condizioni di altre banche.
Quindi una banca non quotata e non popolare (dunque una Spa) trasferisce valore ai propri azionisti tramite il dividendo e tramite una gestione bancaria che soddisfi gli obiettivi di credito e di risparmio individuati dai propri azionisti. In questa seconda modalità, il "valore percepito" dagli azionisti è indiretto, ma pur sempre percepito. Esempio: una fondazione che controlla una banca spa non quotata si attende una remunerazione da 1) dividendi, necessari per attuare direttamente la propria politica di impiego di quella liquidità, e 2) una gestione bancaria che sviluppi l'economia del territorio e ne tuteli il risparmio. Entrambe le modalità presuppongono una sana e prudente gestione: senza equilibrio finanziario la banca non può assicurare un flusso di dividendi costante; lo sviluppo del territorio e la tutela del risparmio è incompatibile con strategie di impiego (prestiti) e di raccolta (polizze, fondi, altri strumenti finanziari) aggressive, perchè, nel lungo periodo, impoveriscono l'economia del territorio ove opera la banca. Non è coerente per una banca spa non quotata ricercare extra profitti che determinerebbero un aumento nel prezzo delle azioni, perchè non essendo quotate in un mercato, l'azionista non beneficerebbe affatto della crescita dei corsi azionari, e, al contrario, ne sopportebbe solo i maggiori rischi assunti.
Ciò detto vale in generale, ma non è difficile riscontrare evidenze in tal senso. Le banche quotate sono le prime, oggi, ad annunciare un taglio di dividendi e a registrare un crollo nei ricavi da "servizi", mentre ciò non sta avvenendo nelle popolari e cooperative.