Ho letto con interesse l’articolo di Alberto Lusiani Oppressione fiscale e detassazione degli straordinaridell’11 maggio 2008 che condivido (quasi) integralmente.
La detassazione delle parti variabili del salario, o della contrattazione di secondo livello, o addirittura degli aumenti contrattuali, presenta tutti i rischi e le incognite indicate da Lusiani e, per di più, non ha una giustificazione economica valida. Per esempio se si desidera - come molti dicono - sollecitare gli incrementi di produttività a livello aziendale, sarebbe per lo meno necessario avere un’idea di come misurare tali incrementi, e nessuno lo sa.
Inoltre se si proponesse una decontribuzione anziché una detassazione, vi sarebbe per lo meno la consapevolezza da parte dei lavoratori di non poter utilizzare quote del reddito a fini previdenziali, e quindi vi sarebbe una situazione in cui gli incentivi all’elusione e all’espansione artificiosa del salario variabile potrebbero trovare una compensazione, il che non avviene con la detassazione.
Tuttavia le osservazioni più condivisibili di Lusiani riguardano la struttura delle aliquote effettive di imposizione (Irpef + assegni familiari) in presenza di detrazioni e assegni decrescenti, cui si aggiunge l’incredibile ammontare di micro detrazioni (deduzioni), spesso con soglie di reddito, accumulatesi nel tempo.
In proposito allego la mia prefazione al Libro Bianco sull’imposta sui redditi da poco pubblicato da Ministero dell’Economia e delle Finanze (e di cui mi permetto di consigliare la lettura), nella quale vengono evidenziate proprio le irrazionalità e disfunzioni indicate la Lusiani.
Il guaio è che la cultura economica della classe dirigente e dei cittadini italiani in generale è assolutamente carente, sicché l’argomento “non è giusto che i "ricchi” abbiano le stesse detrazioni e gli stessi assegni familiari dei “poveri”” risulta assolutamente imbattibile e domina la legislazione fiscale e previdenziale da qualche decennio. Tuttora i ministri non economici e soprattutto il Parlamento, ogni volta che è possibile inseriscono sempre nuove, e stravaganti, spese fiscali. Posso garantire per lunga esperienza che è assolutamente impossibile resistere a queste pressioni.
Inoltre, poichè i vincoli di bilancio esistono, è inevitabile che vengano introdotti limiti e tetti che peggiorano ulteriormente la situazione. Se si volesse rendere razionale il sistema e rendere “piatte” detrazioni e assegni familiari, e introdurre esplicitamente un’imposta negativa, sarebbero necessari 2 punti di PIL (almeno) e una difficile campagna di acculturazione economica. Quello che è stato possibile fare nella situazione data è eliminare non poche situazioni di trappola della povertà implicite nell’andamento a scalini della decrescenza degli assegni familiari il cui andamento è stato reso lineare.
Per quanto riguarda invece l’accesso ai servizi pubblici non credo che il problema del “means test” possa essere assimilato a quello della tassazione né che possa essere eluso.
Il Libro Bianco sull’Irpef e gli assegni per il nucleo familiare ha rappresentato l’occasione per una riflessione sull’evoluzione e sulla situazione attuale della nostra principale imposta. Il lavoro, coordinato da Claudio De Vincenti e Ruggero Paladini, ha coinvolto poco meno di 40 esperti e studiosi, alcuni dei quali hanno anche fornito un contributo autonomo specifico sui singoli aspetti, contributi che vengono pubblicati assieme al rapporto principale.
Il libro bianco quindi riflette punti di vista ed analisi che si possono considerare ampiamente condivisi dalla comunità scientifica italiana, e mettono a disposizione una mole di dati conoscitivi di grande utilità. L’analisi indica alcune rilevanti criticità dell’imposta che è utile richiamare:
a) La base imponibile è molto ristretta e si limita sostanzialmente ai redditi di lavoro e di pensione, e manca un coordinamento logico e sistematico con altre forme di tassazione previste per altre tipologie di reddito;
b) Il gettito dell’imposta è molto elevato soprattutto nel confronto con altre fonti di prelievo. Se si tiene presente per esempio che – a parità di aliquote con altri Paesi europei – l’IVA fornisce un gettito inferiore di 2 punti di PIL rispetto a quanto accade altrove, si può concludere che esistono ampi margini di riequilibro e di ricomposizione del prelievo complessivo nel nostro Paese. La riduzione dell’evasione dell’IVA che avrebbe anche effetti indiretti di allargamento della base imponibile Irpef, dovrebbe in prospettiva consentire una revisione organica dell’imposta e una riduzione della sua incidenza superiore ai 2 punti di PIL;
c) l’imposta andrebbe riorganizzata –a regime – superando i suoi attuali difetti tecnici, il principale dei quali consiste sull’uso sistematico, affermatosi nei primi anni ’80, del sistema delle detrazioni (o deduzioni) di imposta decrescenti rispetto al reddito. Ciò determina una deformazione surrettizia della progressività dell’imposta rispetto a quanto stabilito dalla struttura delle aliquote formali: le aliquote effettive sono infatti considerevolmente più elevate di quelle apparenti (formali) per tutti gli scaglioni di reddito salvo gli ultimi due. Ciò determina una progressività molto (troppo) elevata sui redditi bassi (con conseguenti effetti di disincentivo al lavoro), e un’incidenza troppo elevata sui redditi medi che risultano i più penalizzati dall’attuale struttura. La trasparenza del prelievo è assolutamente compromessa. E’ noto che una “buona” imposta sul reddito, data la base imponibile, usa la struttura delle aliquote per determinare il grado di progressività del prelievo (i suoi effetti distributivi) e la struttura delle detrazioni e/o deduzioni per gestire al meglio i problemi di equità orizzontale. Aver confuso e mescolato i due piani rende l’imposta poco razionale e poco comprensibile. Sarebbe opportuno programmare in prospettiva il ritorno a detrazioni/deduzioni eguali per tutti i livelli di reddito, tenendo presente che già questa eguaglianza determina un incremento della progressività complessiva dell’imposta;
d) nel corso del tempo l’imposta è stata sempre più impropriamente utilizzata come strumento di elargizione di incentivi specifici (spese fiscali), molto analitici e spesso di scarsissimo rilievo quantitativo. Ciò contribuisce a complicare enormemente l’imposta, la cui gestione da parte dei contribuenti risulterebbe impossibile senza il ricorso massiccio all’informatica (fisco telematico) e agli intermediari fiscali (CAAF, ecc.): occorre trovare un equilibrio tra la ricerca di consenso politico le esigenze di semplicità e razionalità del prelievo;
e) il libro bianco pone in luce le esigenze di un coordinamento, anzi di una integrazione tra il prelievo dell’Irpef e le erogazioni monetarie effettuate con gli assegni familiari: ambedue concorrono a determinare il reddito disponibile (spendibile) dei contribuenti. In assenza di coordinamento si creano facilmente situazioni di iniquità, di trappole della povertà, ecc. La soluzione logica consiste nel costruire un sistema di imposta negativa che unifichi i due diversi strumenti di intervento: detrazioni per carichi familiari e assegni familiari. Ciò consentirebbe di separare e rendere trasparenti le erogazioni monetarie alle famiglie distinguendole, dalla –necessaria – offerta di servizi di sostegno (asili nido, ecc.). Il fatto che anche gli assegni familiari siano decrescenti rispetto al reddito si presta agli stessi rilievi precedenti a proposito delle detrazioni;
f) il libro bianco affronta anche la questione della tassazione della famiglia optando per il mantenimento dell’attuale tassazione su base individuale, più robusti interventi di sostegno per i carichi familiari. Risulta evidente che a parità di aliquota (vale a dire in assenza di un consistente aumento delle aliquote medie e più elevate), la tassazione per parti (splitting o quoziente familiare) avrebbe poco a che vedere con la riduzione dell’imposta per le famiglie e molto di più con l’obiettivo di ridurre l’imposizione per i redditi elevati. Inoltre il disincentivo al secondo lavoro familiare (femminile) sarebbe molto forte e in controtendenza rispetto alle esigenze della nostra economia;
g) le proposte di intervento contenute nel libro bianco, pur nella loro gradualità, e molto attente ai vincoli di bilancio, vanno nella giusta direzione di una razionalizzazione e semplificazione dell’imposta e di una modernizzazione dei meccanismi di prelievo/trasferimento alle famiglie nel nostro sistema.
Senza entrare ora nel merito, non posso trattenermi dal sottolineare quanto sia affascinante il fatto che qualsiasi intervento razionale volto alla riduzione degli sprechi sia puntualmente impossibile per le resistenze politiche o sociali quando poi allo stesso tempo provvedimenti come l'indulto - ne' prioritari ne' sicuramente amati - vengono approvati all'unanimita' in parlamento lasciando il consenso in secondo piano. Peccato che il coraggio politico vada la' dove non serve.
Già! Sarò naif, ma proprio non capisco perché alla constatazione dell'impossibilità di resistere a quelle pressioni non abbia fatto seguito una lettera di dimissioni in cui si prendeva atto della propria inadeguatezza al compito, magari indicando, con "nomi e cognomi", chi si oppone ideologicamente (o peggio) alla qui riconosciuta esigenza pubblica di sempicità e razionalità del prelievo. Non credo proprio che Vincenzo Visco sarebbe eventualmente rimasto senza lavoro.
Chissà!