Un breve riassunto delle puntate precedenti. Una settimana fa ho scritto un articolo molto duro contro un'intervista di Guido Rossi al Corriere (e anche contro Marcello Veneziani, ma è bello scordarsi di lui). L'intervista era piena di errori fattuali e sciocchezze teoriche, quindi manifestavo stupore per l'apprezzamento ad essa data da Pippo Civati e Alessandro Gilioli. In particolare mi chiedevo come potesse Civati chiamare un simile ammasso di nonsenso addirittura ''lezione magistrale''. Pippo ha cortesemente risposto sul suo blog (leggete anche nei commenti la mia breve replica e l'ulteriore intervento di Pippo; oh, leggete anche gli altri commenti se avete voglia). Questo articolo prosegue il dialogo in forma più articolata.
Resto dell'opinione che Rossi si sia comportato da cattivo maestro. Un cattivo maestro è uno che usa la propria autorità per far circolare idee sbagliate che conducono chi lo ascolta a intraprendere azioni perniciose. Importa poco che lo faccia per malvagità o, come probabilmente è il caso di Rossi, per sciatteria e scarsa abitudine al ragionamento rigoroso e alla verifica dei fatti. La tesi secondo cui basta intervenire sulla distribuzione del reddito per risolvere la crisi è la classica tesi da cattivo maestro che, se presa sul serio, conduce a politiche nefaste, in primo luogo per i più deboli.
Pippo, nella prima e nella terza colonna dell'intervista di Rossi non c'è nulla su cui concordare (la seconda colonna mi par di capire che non piace neanche a te). La prima colonna è fuffa pura. La moneta che conquista la politica, il nome di Condorcet buttato lì a sproposito ... tipici vezzi irritanti dell'intellettuale italiano (ancora più irritante è quando ci informa, alla fine dell'intervista, che lui le teorie complottiste su Draghi se le legge sul New York Times e Le Monde; ma faccia il piacere). La terza colonna è invece infarcita di errori. Prima sui prestiti agli studenti (scambia il totale con i ''crediti inesigibili''), poi sul welfare (che Reagan e la Thatcher avrebbero ''smantellato''; rinnovo l'invito a guardare i dati sulla spesa pensionistica e sulla spesa pubblica per sanità), con rinnovato contorno di fregnacce oniriche sulla moneta e la politica. Ma chiudiamola qui, perché veramente non è molto interessante parlare di Guido Rossi. È un personaggio che, anagraficamente e intellettualmente, rappresenta il passato. Mi interessa di più discutere il futuro.
In particolare, mi interessa la discussione che si sta sviluppando, o che si dovrebbe sviluppare, nel centrosinistra sulle cose da fare. Questa crisi autunnale ci ha regalato, in modo un po' fortunoso, la fine di Berlusconi. So bene che queste sono ore frenetiche, in cui si discuterà di complicate mosse sullo scacchiere politico, di come tessere o distruggere alleanze, di quali poltrone occupare e tante altre cose che sono il sale dell'attività politica in qualunque parte del mondo. Ma oltre a questo un qualche pensiero bisognerà pur dedicarlo a discutere di analisi e di proposte concrete sulle cose da fare. È questa, almeno con riferimento alla politica economica, l'unica discussione a cui posso partecipare.
Mettiamoci dunque all'opera. Intanto, sono contento che, mi par di capire, siamo finalmente d'accordo sul fatto che crisi e disuguaglianza sono due problemi separati, che non abbiamo alcuna teoria e evidenza solida sul fatto che la disuguaglianza ha causato la crisi e che quindi non possiamo attenderci che interventi sulla distribuzione magicamente ripristinino la crescita. Dobbiamo quindi parlare separatamente di crisi e distribuzione.
Cominciamo dalla crisi. Qui, a me pare, le cose sono (purtroppo, in realtà) abbastanza facili per l'Italia, a differenza degli USA. Negli USA imperversa un furioso dibattito sull'opportunità o meno di espandere la spesa pubblica come mezzo per alzare il livello di attività. Non sono un esperto di macroeconomia, per cui non entrerò nel dettaglio di questo dibattito (io sono dubbioso degli effetti taumaturgici della spesa, ma il mio parere conta poco). Mi preme però osservare che i proponenti di tale politica basano la propria analisi sul fatto che in questo momento è effettivamente possibile per il governo statunitense finanziare i propri deficit di bilancio a tassi molto bassi. Krugman non perde occasione per ricordarci che i temuti bond vigilantes, investitori pronti a richiedere tassi più alti non appena il debito pubblico inizia ad aumentare, non si sono mai materializzati nel mercato dei titoli statunitensi: al contrario, il tasso sul debito pubblico USA è sceso negli ultimi tre anni. Da questa osservazione fa discendere la conclusione che un'espansione della spesa pubblica avrebbe notevoli benefici di breve periodo e scarsi costi nel lungo periodo.
Purtroppo la situazione nei paesi della periferia europea, tra cui il nostro, è ben diversa. Per tutta la fase della crisi i bond vigilantes da noi sono stati ben presenti, pronti a vibrare terrificanti mazzate sui paesi sospetti di porsi su un sentiero di debito insostenibile. Il fenomeno è particolarmente acuto in questi giorni ma non è certo nuovo. Dato che il nostro paese è entrato nella crisi con un livello di debito molto alto, il nostro governo non ha potuto nemmeno tentare le politiche espansive che hanno invece caratterizzato l'azione, per esempio, del governo spagnolo (con risultati che a me non paiono particolarmente soddisfacenti). Questa è la ragione per cui, quando si guarda all'Europa, chi ritiene opportuna un'espansione della spesa pubblica si rivolge principalmente alla Germania. Oppure, come fa Krugman, rimpiange la mancata flessibilità che deriva dall'avere monete nazionali, senza però dire che se è opportuno o meno uscire dall'euro. In sostanza, a me pare che almeno per l'Italia i dibattiti sull'espansione o meno della domanda aggregata che tanto occupano l'attenzione negli USA ce li possiamo tranquillamente fumare nella pipa. Qualunque sia la nostra posizione in merito, la semplice verità è che da noi i bond vigilantes ci sono, e che quindi la strada della spesa in deficit è preclusa. Certo, possiamo sempre bussare alla porta dei tedeschi. Tanti auguri a chi ci prova. Io preferisco discutere delle cose che possiamo fare in Italia.
Una volta chiarito questo fatto, cosa resta? Qui è dove la discussione si fa viva. Un pezzo del centrosinistra (per esempio Vendola, i ''giovani turchi'' dalemiani, la CGIL nella sua quasi interezza) ha usato la storiella della ''disuguaglianza causa della crisi'' per dedurre che quello che restava da fare era redistribuire il reddito, la ricchezza, e non so che altro. Le modalità esatte non sono mai state chiarissime ma più o meno l'idea è di aumentare il gettito fiscale mediante nuove tasse (per esempio la famosa patrimoniale) e la lotta all'evasione, usando tale gettito extra per .... per non si capisce ben cosa, o meglio per tante cose. In parte per tappare il deficit, che resta comunque considerevole, in parte per sostenere la spesa e in parte, forse, per ridurre le imposte sul lavoro. Ora, indipendentemente dai possibili meriti redistributivi di una simile politica, quello che mi preme sottolineare è che questa non è una politica che può riavviare lo crescita. La persistente confusione su questo punto è la ragione per cui ho reagito con esasperazione all'intervento-spazzatura di Guido Rossi. È una confusione che può risultare letale ed è stata di fatto usata nel centrosinistra per evitare di guardare in modo lucido al fallimento di politica economica del governo Prodi-Padoa Schioppa. Abbiamo già avuto l'esperienza di un centrodestra che è tornato al potere senza ragionare in alcun modo sui suoi fallimenti precedenti. Il risultato è stato che il disastro del 2001-2006, un periodo veramente nefasto per la crescita economica, è stato replicato con ancora più forza nel 2008-2011, un periodo in cui si è risposto alla crisi con il più totale immobilismo. Ora rischiamo di ripetere la stessa esperienza con il ritorno al potere del centrosinistra, e veramente non ce lo possiamo più permettere perché il paese è sfiancato.
Nel centrosinistra esiste una linea alternativa, che riprende in parte l'esperienza della seconda metà degli anni 90 e che viene variamente accusata di essere neoliberista, eccessivamente moderata o semplicemente e seccamente ''di destra''. Per intenderci, è la linea ''alla Pietro Ichino''. È il frutto di un'analisi senz'altro più sensata di quella di Guido Rossi, ma ho sempre pensato che anche l'analisi dell'ala ''liberal'' del PD fosse drammaticamente incompleta. Per una semplice ragione. Perché rifiuta di comprendere che una componente essenziale della stagnazione italiana, oltre alle solite cause (eccesso di tassazione e spesa pubblica, inefficienza del settore pubblico, rigidità dei mercati, la solita lista della spesa) è la continua e ferrea presa che la casta politica continua a esercitare su tutta la società.
Pippo, la ragione per cui ti apprezzo è che mi pare tu sia uno dei pochi nel PD che si è posto in modo serio e organico il problema di attaccare la casta e i suoi privilegi. Quello che vorrei sottolineare è che l'attacco frontale alla casta non è solo un sacrosanto elemento di equità e giustizia. È anche uno snodo cruciale per la ripresa del processo di sviluppo. Ma su questo occorre ragionare, e andare un po' al di là delle richieste sulla riduzione del numero di parlamentari, consiglieri regionali, consiglieri comunali e dei loro stipendi, sull'eliminazione di province e comunità montane e così via. Sono tutte richieste giustissime, per carità, ma i soldi che si risparmiano in questo modo sono pochi. Il punto essenziale invece è che la politica deve fare un grosso passo indietro. Dalle banche, dalle imprese pubbliche, dai media e da tante altre cose. Fare un passo indietro non vuol dire ''adesso ci mettiamo a fare i bravi''. Vuol dire vendere la Rai, liberalizzare le professioni, privatizzare e tante altre cose. È l'unico, vero, modo in cui si può ridurre il controllo della casta sulla società. Questa chiarezza di pensiero non l'ho vista nel PD, francamente nemmeno nei tuoi interventi.
So che queste sono cose difficili da mandar giù per un elettorato abituato a identificare il pubblico con il bene e il privato con il male. Ma, realmente, qual è l'analisi alternativa? Se evitiamo la balla autoconsolatoria dello sviluppo causato dalla redistribuzione, se prendiamo atto che le politiche di espansione della domanda (ammesso e non concesso che funzionino) sono semplicemente impossibili, cosa resta? Crediamo forse che la crescita possa venire concedendo ai politici la possibilità di scegliere quali imprese sussidiare? O costringendo con mezzi coercitivi le imprese italiane a non andarsene? Attendo risposte.
Ho parlato solo di crisi e crescita, e non di disuguaglianza. Il pezzo è già troppo lungo, quindi se mi permetti butto semplicemente lì un po' di idee che so essere provocatorie. Spero lo siano nel senso buono e che aiutino a riflettere. Vedile come un abbozzo di una potenziale alternativa all'attuale linea che è quasi universale nel centrosinistra (la spesa non si abbassa, le tasse nemmeno, il mercato del lavoro va mantenuto com'è o al più irrigidito, patrimoniale straordinaria, mantenimento del flusso di risorse dal nord al sud etc. etc.). Poi se vuoi ne parliamo più in esteso.
- Piantiamola con la idea che la patrimoniale sia uno strumento per favorire l'uguaglianza. In Italia la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza (che non è la distribuzione del reddito) non è aumentata negli ultimi venti anni, almeno se diamo retta ai dati della Banca d'Italia, ed è bassa rispetto agli standard internazionali. A essere ''super-ricche'' sono le famiglie anziane di classe media che hanno risparmiato tutta la vita. Ci sono altri modi di colpire chi veramente controlla la ricchezza: per esempio, potremmo tassare il patrimonio delle fondazioni bancarie, anziché quello delle famiglie.
- L'aumento della disuguaglianza è derivato in buona misura da un aumento della disuguaglianza dei salari (in verità più nel mondo anglosassone che da noi). Almeno in parte ciò è dovuto al fatto che il progresso tecnologico ha reso più produttivi, e quindi più richiesti, i lavoratori con alto capitale umano rispetto a quelli poco qualificati. Quindi, favorire una scuola di migliore qualità e un migliore accesso all'istruzione non solo è una politica che favorisce la crescita ma anche una politica che riduce la disuguaglianza. Ma stiamo attenti. Semplicemente metter più soldi nella scuola non basta, occorre dare gli incentivi giusti per migliorarla. È pronta la sinistra a misurare la performance degli insegnanti? E a distribuire le risorse, compresi i salari, di conseguenza?
- Una parte consistente della povertà in Italia è dovuta alla bassa partecipazione alla forza lavoro. Per le donne meridionali, per esempio, i numeri sono da terzo mondo. Il fenomeno è complesso e non di facile soluzione, ma tassare meno i redditi bassi forse può aiutare. Al posto degli incentivi assurdi tipo ''se sei nella tal città, nel tal settore ...allora'' che anche ultimamente sono stati attuati, si può prevedere che le detrazioni da lavoro dipendente non usate in un dato anno possano essere usate negli anni successivi.
- Il sistema pensionistico è diventato un sistema di apartheid, con cittadini di serie a, b e c, in ordine discendente a seconda dell'età. Uniformare i trattamenti sarebbe giusto e egualitario, oltre a ridurre la spesa.
Pippo, io mi fermo visto che il pezzo è già troppo lungo. Se hai voglia di continuare la discussione noi siamo sempre qui, e i nostri indirizzi di e-mail sono nei profili. Come diceva il Sommo Poeta a cui abbiamo dedicato una delle nostre rubriche ''ho tante cose ancor da raccontare per chi vuole ascoltare''. No, l'ultima frase della canzone non la dico.
Chiedo, quali sono gli strumenti a disposizione per fare un'operazione di questo tipo? Il timore è che, fintanto che si usano le performance scolastiche queste risulteranno drogate. L'INVALSI presenta problematiche significative. Fra tutte penso porterebbe ad una ulteriore spinta 'nozionistica' e ad un insegnamento test-oriented che darebbe davvero poco agli studenti.
Non vorrei essere frainteso, CONOSCERE le nozioni è fondamentale, ma l'averle memorizzate nulla dice sulla capacità di utilizzarle. Ho visto molti compagni di classe del liceo avere un'attitudine completamente mnemonica, ottimo voti e nessuna comprensione di quello che sapevano. Produrre studenti-recorder non serve a granchè. In questo senso studenti e professori tedeschi, per fare un esempio che conosco, hanno un atteggiamento radicalmente diverso.
Infine, come si evita di penalizzare insegnanti che partono in situazione di svantaggio "geografico" perchè hanno a che fare con studenti che vengono da famiglie dove si legge/studia poco o niente? Immaginiamo un sistema che possa fare questo genere di valutazioni (e qui...altri problemi)?
Penso sia di fondamentale importanza migliorare la qualità della classe docente di questo paese (il livello di insegnamento dell'inglese è una vergogna nazionale), ma come realizzarla concretamente?
Mi pare proprio il contrario: l'Invalsi valuta competenze (capacità di fare/capire/risolvere qualche problema). Ed il punto drammatico è la diffusa mancanza di competenze.
Risposta: non si valutano gli insegnanti sulla performance assoluta dei loro studenti svantaggiati, si valutano sulla performance relativa, ovvero di quanto sono riusciti a migliorare le capacità/competenze di studenti che partivano con un "handicap". Il mezzo è semplice: test pre-post.
Allora, se posso essere anche io un po' rumoroso, vediamo di chiarire una cosa: l'INVALSI NON GIUDICA I PROFESSORI, bensì gli STUDENTI.
Su questa differenza si sorvola sempre molto allegramente. Io prof. posso anche essere un genio, ma se ho una classe di sfaticati (non dico di cognitivamente stupidi, che sono una categoria statisticamente irrilevante -a prescindere da tutto quel che vi dica il senso comune!), non otterrò nulla comunque. Ma l'INVALSI questa situazione deve cmq certificarla.
Se un professore si trova al biennio delle superiori studenti che hanno fatto male elementari e medie, l'INVALSI andrà male, nonostante le correzioni che possa aver fatto (o comunque non bene come se il livello di partenza fosse stato buono), ma la colpa non sarà del professore. Ovviamente rimarrebbe cmq il fatto che la classe non sa l'italiano e il far di conto, e la cosa andrebbe registrata.
Ecc. Ecc.
Tutti i prof. che hanno tuonato contro l'INVALSI sentendosene minacciati avevano la coda di paglia: il test non è una minaccia e non ha conseguenze. Ma se uno è abituato a vedere complotti...