Secondo i dati statistici disponibili sulla mortalità per tutte le classi di età nel 2009, la speranza di vita alla nascita nel 2009 risulta essere 80.20 anni per l'Italia e 78.11 anni per gli USA (fonte, CIA Factbook). Sempre per il 2009 il Human Development Report delle Nazioni Unite dava una speranza di vita pari a 81.1 per l'Italia e 79.1 per gli USA. Per gli anni 1997-1999 un dettagliato rapporto dell'Organizzazione Mondiale della sanità stimava una speranza di vita corretta per periodi e frazioni di disabilità di 72.7 anni per l'Italia e di 70 anni per gli USA.
Sia che si tratti di un refuso (di cui non vedo evidenza, "dieci anni" è scritto in lettere) sia che si tratti di mitologia sanitaria alimentata dall'intervistato, il giornalista intervistatore e la redazione non hanno apparentemente avuto dubbi né l'idea di controllare (pur facile, su web) e hanno pubblicato, aumentando il volume della disinformazione fattuale sulla stampa italiana.
L'intervista contiene alcune altre informazioni che ho cercato di confrontare con dati facilmente disponibili.
Su una cosa in particolare, secondo Menicanti, siamo vincenti. «Il paziente italiano ha tutto: prevenzione e cura. E mediamente la qualità della cura offerta è simile su tutto il territorio. Poi, certo, abbiamo le eccellenze e le voragini. Però le oscillazioni sono molto basse. La nostra forza è proprio offrire una buona qualità a tutti, senza distinzione»
Queste affermazioni appaiono poco congruenti alcune evidenze fattuali, come le grandi differenze tra Nord e Sud e il conseguente nomadismo sanitario (vedi ad es. "Italy: the uneasy co-existence of different social models" by Marino Regini and Sabrina Colombo - Department of Labour and Welfare Studies University of Milan). Presentando un suo studio pubblicato sui quaderni Formez sui risultati del servizio sanitario nazionale nelle diverse regioni italiane, V.Mapelli scrive: "La ricerca conferma, ancora una volta, il drammatico divario tra Nord e Sud, non tanto in termini di strutture, personale o spesa, quanto di sistemi di governance e risultati prodotti." Riguardo poi i risultati medi del sistema sanitario italiano, secondo l'Euro Health Consumer Index 2009 l'Italia si colloca al 15o posto su 33 stati europei considerati, nelle ultimissime posizioni tra gli Stati UE15 e tra gli Stati dell'Europa occidentale (a proposito: "L’Index posiziona l’Italia alle spalle del Regno Unito"...). Coerentemente con i risultati del EHCI, gli italiani sono poco soddisfatti del loro servizio sanitario, e tale dato emerge nell'articolo citato del Corriere:
Secondo uno studio pubblicato di recente, l'indice di soddisfazione del sistema sanitario italiano è dello 0,5, quello americano è dello 0,7.
La molto maggiore soddisfazione degli statunitensi era stata documentata anche dal rapporto dell'OMS del 2000 (The world health report 2000 - Health systems: improving performance): per risposta del servizio sanitario alle richieste degli utilizzatori gli USA sono primi al mondo e l'Italia occupa invece le ultime posizioni tra i paesi industrializzati (22-23).
La risposta dell'intervistato a questo dato empirico dissonante con la sua tesi sugli ottimi risultati della sanità italiana è la seguente:
Significa questo: il cittadino d'Oltreoceano è convinto che il suo servizio sia il migliore del mondo e che per questo sia giusto pagarlo; l'italiano, che non paga, crede che il suo sia perfettibile. Guarda caso, però, gli italiani vivono in media dieci anni in più rispetto agli americani.
La risposta non contiene alcun riferimento fattuale, contiene solo un'opinione personale per la quale non viene offerto alcun riferimento empirico, e un unico dato fattuale ma platealmente falso.
Le affermazioni conclusive sono:
E non può essere soltanto per una questione genetica e per la qualità della vita. La ragione è che gli italiani vengono curati meglio. E non conta poco il fatto che la prevenzione da noi sia gratuita. Penso soltanto agli screening di massa, alle mammografie per scoprire in anticipo la presenza di un tumore. Sono cose per noi abbastanza banali e scontate. In America hanno un prezzo. E non tutti se lo possono permettere.
Anche in questa parte del discorso mancano riferimenti fattuali a sostegno. Secondo l'intervistato, presumo, la migliore prevenzione italiana consentirebbe di avere cure migliori e piu' tempestive per i casi di tumore in Italia rispetto agli USA. Su questo tema la presentazione PDF di R. L.Ohsfeldt & J.E.Schneider, "How Does the U.S. Health-Care System Compare to to Systems in Other Countries?" offre un'interpretazione piu' convincente e soprattutto basata e argomentata su dati di fatto. Secondo quanto esposto:
- la minor speranza di vita negli USA e' dovuta al maggior numero di morti per omicidio e trasporto, che non hanno alcuna relazione con il sistema sanitario
- una volta tenuto conto di omicidi e incidenti di trasporto (pag.18), la speranza di vita negli USA e' prima al mondo e significativamente superiore all'Italia (15a posizione)
- per tutti i tipi di tumore considerati la sopravvivenza a 5 anni negli USA e' significativamente superiore all'Italia (pag.19)
Aggiungo anche che secondo i dati OECD 2004 l'Italia e' il secondo paese OECD per incidenza di morti per tumore nella popolazione, dopo l'Olanda, mentre gli USA sono in 9a posizione, con una incidenza significativamente inferiore. Questo dato e' comunque molto meno direttamente collegabile con la qualita' del servizio sanitario a mio parere.
Nel 2004 la ChicagoUP ha pubblicato un bellissimo libro: The Power of Productivity. Ora non ricordo l'autore. Cmq, si sottolineava come il sistema americano fosse straordinariamente più efficiente di quelli di altri Paesi.
Come spiegare allora la minore longevità degli americani rispetto, per esempio, ai giapponesi? Risposta: non è colpa del sistema sanitario USA se gli americani mangiano un fracco di porcherie mentre i giapponesi hanno una dieta a base di pesce che quindi riduce sensibilmente il rischio di infarti e malattie cardiovascolari.
E' quasi scioccante che un medico ignori questi dati... chissà dove li pescano...
I medici non si occupano di queste cose. Chi ricerca lo status quo, pero', tende a non dare molto peso a dati di questo tipo perche' solo un ingenuo giudicherebbe la qualita' del servizio sanitario guardando all'aspettativa di vita. Gugola "french paradox" ad esempio.
Ci sono un gazzillone di studi su quale sia il metodo migliore per giudicare la bonta e l'efficenza di un sistema sanitario. Quando si deve ricorrere a indicatori giudicati universali per fare confronti si ricorre a qualcosa che soffra il meno possibile da variabili indipendendenti come, ad esempio, la mortalita' peri-natale o come le differenze intra-sociali (valutando le forchette all'interno della stessa citta', per esempio).
La stragrande maggioranza di studi pubblicati sulla materia picchia abbastanza duro sul sitema americano. La presentazione che cita Alberto ha fatto abbastanza rumore quando e' circolata ad agosto perche' e' decisamente una voce fuori dal coro ed usa metodi molto esotici e dati vecchi che sanno tanto di cherry picking (ad esempio, life expectancy appunto che nessuno userebbe mai in ua pubblicazione seria al posto di Years of potential life lost (YPLL)) .