Come era facile prevedere, solo la possibilità concreta dello svolgersi dei referendum ha rimesso in moto le discussioni sulla riforma elettorale. La Corte Costituzionale deciderà tra pochi giorni se dichiarare o meno ammissibili i quesiti referendari. Un parere favorevole della Corte è assai probabile, e a quel punto le danze si apriranno sul serio.
Cosa dobbiamo aspettarci nei mesi a venire? In questo post cercherò di usare alcuni strumenti di base della teoria dei giochi per rispondere a queste domande. A mio avviso la situazione si presta bene a un'analisi game-theoretic. Gli interessi delle forze in campo (i gruppi di comando dei partiti) sono infatti abbastanza chiari e ciascuna forza politica si sente libera di perseguire esclusivamente il proprio interesse senza temere negative ricadute elettorali. Il tema è infatti abbastanza tecnico e non ha mai suscitato grandi passioni ideologiche nell'elettorato (se non ne siete convinti provate a rispondere alla seguente domanda: conoscete qualche elettore che ha deciso di cambiare il proprio voto a seguito dell'approvazione del porcellum?). Le mosse a disposizione sono anch'esse abbastanza chiare, così come chiare sono le scadenze temporali. Raramente le situazioni del mondo reale sono favorevoli all'applicazione di un'analisi game-theoretic come in questo caso.
Voglio sottolineare che questo post è un puro esercizio previsivo. Non cerco in alcun modo di
analizzare la bontà dei diversi sistemi elettorali, nell'improbabile caso vi interessino i miei pensieri sull'argomento li trovate qui. Nemmeno suggerisco nulla riguardo a cosa dovremmo fare come cittadini per avere un sistema elettorale migliore nell'Italia del 2009; ci sarà tempo per questo, ma consiglio a tutti quelli a cui la cosa interessa di mettere un bel bookmark al blog del comitato referendario. Chiarito questo, passiamo all'analisi.
Osservazioni preliminari
Inizio con due osservazioni preliminari. La prima è che la logica dell'interazione strategica vuole che, se una riforma ci sarà, questa sarà fatta all'ultimo momento disponibile, probabilmente a campagna referendaria già in corso. La ragione è che le forze che preferiscono lo status quo non hanno alcun interesse ad accettare un compromesso prima di aver 'visto' qual è la minaccia effettiva posta dal referendum. Se scenderanno a patti, tali forze lo faranno solo quando diventerà chiaro che il referendum ha un'alta probabilità di vittoria. Dato che l'elettorato non presterà attenzione alla questione almeno fino a quando i referendum non saranno indetti, informazione affidabile al riguardo sarà disponibile solo a partire da poche settimane (tre o quattro) prima del voto.
La seconda osservazione è che, quando si guarda agli interessi delle forze in campo, la variabile cruciale non è il numero di seggi che si riescono a ottenere con un dato sistema elettorale, ma la probabilità di essere determinanti alle elezioni o in Parlamento. Per i partiti grandi le due cose sostanzialmente coincidono, ma per quelli piccoli no. Per fare un semplice esempio, Mastella sta molto meglio con 3 senatori nella situazione attuale piuttosto che con 10 senatori in un parlamento in cui si possono formare maggioranze che prescindono da lui.
L'analisi deve partire dall'ultimo stadio del gioco, ossia il probabile risultato del refendum, per poi procedere a ritroso. Cominiciamo quindi vedendo i tempi. Lo svolgimento dei referendum abrogativi è trattato dalla legge 352 del 1970, che al primo comma dell'art. 34 stabilisce che il governo, dopo la decisione della Corte Costituzionale, fissi la data in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno. Quest'anno il 15 giugno cade di domenica, ed è probabile che questa sia la data scelta.
Dato che il referendum è l'unica ragione per cui si sta parlando di riforma elettorale, possiamo aspettarci che la discussione vada avanti solo se esiste una probabilità non trascurabile che il quorum venga effettivamente raggiunto. Senza tale possibilità non è possibile alcuna riforma, dato che multiple forze con interessi contrastanti possono esercitare potere di veto. La prima domanda da farsi è: quanto è seria la minaccia del referendum? In un post di circa un anno fa avevo provato a fare due conti e avevo raggiunto la conclusione che se l'interesse per il referendum sarà simile o poco
superiore a quello del referendum costituzionale del giugno
2006 non c'è alcuna speranza per il SI, mentre se l'interesse sarà maggiore allora il risultato sarà determinato
dalla scelta di Forza Italia (o come si chiama adesso).
Direi che c'è poco da aggiungere a quella conclusione, che credo resti valida. Vi è un crescente grado di disaffezione dell'elettorato verso il complesso delle forze politiche, che potrebbe portare a un aumento della partecipazione al voto referendario come protesta contro l'attuale situazione di stallo. Anche così, resterebbe vero che la defezione di uno qualunque dei partiti maggiori (Partito Democratico, Forza Italia e Alleanza Nazionale) garantirebbe la sconfitta del referendum. Se PD, FI e AN si impegneranno sul serio e con forza nella campagna elettorale il quorum verrà probabilmente raggiunto, anche se la cosa non è scontata. La minaccia è dunque seria e le acque probabilmente si smuoveranno.
A chi conviene il referendum
Per capire come agiranno le forze politiche bisogna prima capire chi guadagna e chi perde da una vittoria del referendum. La cosa più importante che accadrà se i referendum passano è che il premio di maggioranza nazionale alla camera e i premi di maggioranza regionale al senato verranno assegnati al partito che consegue il maggior numero di voti, anziché alla coalizione. A mio avviso chi guadagna chiaramente da tale modificazione sono PD e Rifondazione sul lato sinistro e Forza Italia, AN e UDC sul lato destro. I chiari perdenti saranno i partiti minori del centrosinistra (verdi, dilibertiani, mussiani, dipietristi, mastelliani e reduci socialisti in salsa varia) e del centrodestra (rotondiani, fascisti e altreschegge). Gli effetti saranno invece ambigui, ma tendenzialmente negativi, per la Lega Nord.
Questa valutazione, in particolare il fatto che Rifondazione e UDC siano favorite dal referendum, può risultare sorprendente ed è sicuramente poco convenzionale, ma credo che un'analisi attenta del sistema che uscirebbe dal referendum non possa che portare a questa conclusione. Il punto cruciale è che, in caso di vittoria del referendum, ci saranno aggregazioni elettorali. Per usare un termine tecnico, non è un equilibrio di Nash che i partiti si presentino separatamente: gli unici equilibri possibili, in caso di passaggio del referendum, saranno quelli in cui si presentano liste che includono almeno i partiti maggiori.
Questo, a prima vista, sembra implicare che il referendum non cambierà nulla, dato che porterà nuovamente alla competizione tra due blocchi eterogenei; l'unica differenza sarebbe che i due blocchi, anziché presentarsi come coalizioni di partiti, si presenterebbero formalmente come singole liste. Se si riflette un po' però si vedrà che le differenze ci sono. L'attuale sistema garantisce il massimo di visibilità ai partitini, che possono conservare il proprio marchio nelle competizioni elettorali e al tempo stesso beneficiare dei premi di maggioranza dati alle coalizioni vincenti. L'obbligo di correre sotto un unico simbolo ridurrebbe necessariamente la visibilità dei partitini. Quando sentiamo parlare di "Unione" pensiamo al PD e a Rifondazione, non a Boselli e Diliberto, e quando sentiamo parlare di "Casa delle Libertà" i nomi di Gianfranco Rotondi e Alessandra Mussolini non sono certo i primi che vengono alla mente. Un altro fattore è che l'obbligo di correre sotto un unico simbolo diminuisce il controllo che i capi dei partitini hanno sui loro affiliati. Nelle ultime elezioni, per esempio, Diliberto risultò eletto in quasi tutte le circoscrizioni in cui il suo partito ottenne seggi e decise ex post chi dei suoi potesse andare in parlamento. Con una lista unica (e l'eliminazione delle candidature multiple, obiettivo di un altro referendum) questo tipo di manovre diventerebbe impossibile. È assai probabile che la riduzione del controllo sui militanti e la ridotta visibilità portino all'implosione della maggior parte dei partitini. D'altra parte, si può applicare un semplice argomento di preferenze rivelate: se il referendum fosse irrilevante, di riforme elettorali non parlerebbe nessuno.
Sul lato sinistro, questo significa che (dovesse passare il referendum) ci sarebbe poi un accordo elettorale tra PD e Rifondazione, che farebbero la parte del leone. I partiti più piccoli sarebbero costretti a subire l'accordo, pena l'esclusione dal Parlamento. Perderebbero visibilità e sarebbero probabilmente assorbiti nelle due forze principali, accelerando la formazione della "Cosa Rossa" e costringendo riottosi vari (Dini, Di Pietro, socialisti) a entrare nel PD. Quest'alleanza PD-Rifondazione sembra inevitabile, alla faccia delle dichiarazioni di Veltroni secondo cui il PD alle elezioni ci va da solo, e tutto il resto.
Sul lato destro, le cose sono più complicate. Ovviamente nessuna coalizione potrebbe prescindere da Forza Italia, che avrebbe quindi un forte potere di negoziazione. AN sarebbe abbastanza al sicuro, difficile che il centrodestra possa vincere senza i suoi voti. Ed è chiaro che per i partiti più piccoli il discorso è identico a quello fatto per il centrosinistra, questi sono chiari perdenti. Per Lega Nord e UDC il discorso è più complesso. A livello nazionale UDC e Lega hanno preso rispettivamente il 6,76% e il 4,58% alla Camera nel 2006. Se centrodestra e centrosinistra restano a simili livelli entrambi i partiti risulteranno determinanti alle prossime elezioni, ma se (come appare probabile) il centrodestra aumentarà i suoi consensi allora è possibile che la Lega non sia più determinante.
La Lega è inoltre particolarmente sfavorita dalla distribuzione dei voti a livello regionale. Il suo problema è che risulta forte dove il centrodestra è forte, e quindi in grado di vincere senza di essa. Guardando i dati del Senato 2006 si vede che Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia sarebbero andati al centrodestra anche senza la Lega. Solo nel Piemonte, che il centrodestra ha vinto di strettissima misura, la Lega (come, in verità, qualunque altro dei partiti e partitini della CdL) è stata determinante. Questo ne indebolisce parecchio la posizione negoziale, e la mette in prima battuta tra i perdenti del referendum.
L'UDC ha un simile problema solo in Sicilia, dove è forte ma non determinante, ma è risultata determinante, oltre che in Piemonte, nel Lazio e in Puglia. Anche in Campania, che andò di strettissima misura al centrosinistra, è impensabile che il centrodestra possa prescindere dall'UDC. Quindi, mi pare, l'UDC potrebbe contrattare l'assegnazione dei seggi in un'unica lista del centrodestra con una certa tranquillità.
Sia l'UDC sia la Lega potrebbero ovviamente aumentare il proprio potere negoziale minacciando di allearsi al centrosinistra. Per esempio, se la Lega potesse portare il suo 11,11% di voti in Lombardia al centrosinistra cambierebbe il risultato delle elezioni in quella regione, e lo stesso vale per l'UDC in Sicilia. Credo però che sia assai più facile per l'UDC che per la Lega convincere i propri elettori a seguire il partito in un cambio di coalizione. Questo quindi conferma le considerazioni precedenti.
L'ultimo stadio del gioco: il mese prima del referendum
Cosa succede se si arriva a un mese dal voto, diciamo intorno alla metà
di maggio, senza che sia stata approvata alcuna riforma? Come spiegherò più in dettaglio più avanti, a questo punto i partitini, in particolare quelli del centrosinistra, non potranno più minacciare lo scioglimento del parlamento al fine di rinviare il referendum. Tutto dipenderà quindi dalle aspettative sull'esito del referendum. Ci sono tre scenari.
1) Diventa chiaro che vincerà il SI. Sarà allora facile per PD e Rifondazione, che guadagnerebbero dal referendum, costringere gli altri partiti del centrosinistra a una soluzione di loro gradimento. A quel punto passerà qualcosa di simile alla bozza Vassallo che favorisce soprattutto il PD ma, con opportuna scelta della dimensione delle circoscrizioni e delle soglie di sbarramento, aiuta anche Rifondazione; questo articolo de La Voce fornisce un'analisi preliminare della faccenda. In particolare, il gruppo dirigente di Rifondazione aumenterebbe considerevolmente il proprio potere di negoziazione verso gli altri partecipanti alla "Cosa Rossa". Il vero problema per Rifondazione è che un simile sistema elettorale probabilmente favorirebbe la creazione di una forza di centro in grado di formare un'alleanza alternativa a Rifondazione con il PD. D'altra parte, questo rischio si presenterebbe, anche se in misura diversa, con qualunque sistema elettorale. Sul lato destro FI è in posizione simmetrica a quella del PD, e sarebbe quindi favorevole. Per l'UDC sarebbe cruciale la dimensione delle circoscrizioni, ma i suoi interessi sono allineati a quelli di Rifondazione e verrebbero probabilmente salvaguardati. La Lega sarebbe sfavorita. Data la concentrazione dei suoi voti sarebbe favorita da circoscrizioni piccole e bassa soglia di sbarramento nazionale, l'esatto contrario di quello che conviene a UDC e Rifondazione. Infine, anche AN, come Rifondazione, rischierebbe l'emarginazione nel caso della formazione di un forte blocco di centro in grado di scegliere tra i due schieramenti. Ma, come Rifondazione, questo è un pericolo che non può evitare. Gli incoerenti balbettii di Fini sulla 'indicazione previa delle alleanze' sono un sintomo di questi timori, che si cerca di esorcizzare con rimedi tanto fantasiosi quanto inefficaci.
2) Diventa chiaro che il referendum fallirà. Qui l'analisi è facile. Il capitolo della riforma elettorale si chiude e le prossime elezioni si fanno con il porcellum.
3) Resta l'incertezza sull'esito del referendum. In tal caso qualunque riforma dovrà accomodare in misura consistente i partitini del centrosinistra, probabilmente un Vassallo con circoscrizioni molto ampie e bassa soglia a livello nazionale; in altre parole, cambierebbe poco o nulla. Credo che a quel punto il PD preferirebbe andare al referendum e vedere cosa succede.
Il penultimo stadio del gioco: il periodo marzo-aprile
In questo periodo la grossa differenza rispetto a maggio-giugno è che partitini, soprattutto nel centrosinistra, hanno un'opzione addizionale: impedire la celebrazione del referendum forzando lo scioglimento delle camere. Al secondo e terzo comma dell'art. 34, legge 352/1970, infatti si afferma
34.
- ....
Nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi
elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse.
I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione.
Quindi, se capisco bene, qualora i partitini decidessero di far cadere il governo e riuscissero a ottenere lo scioglimento anticipato delle camere, il referendum verrebbe ritardato di un paio d'anni, fino al periodo tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2010. Le prossime elezioni si svolgerebbero con il porcellum.
Quanto è efficace la minaccia dello scioglimento? Secondo me non molto, e sono cosciente di andare anche qui controcorrente. Se Diliberto e Pecoraro Scanio fanno sciogliere il parlamento allora è molto probabile che si presentaranno soli, ossia senza gli altri partiti del centrosinistra, alle prossime elezioni che avverrebbero entro l'estate. Per i partiti non collegati a coalizioni la soglia prevista dalla legge attuale è del 4%. Nel 2006 Diliberto prese il 2,32%, i verdi il 2,06%. Anche assieme è improbabile che raggiungano il 4% nel 2008: se fanno cadere il governo di sinistra, i loro elettori li puniranno. I secessionisti DS non sanno quanto valgono elettoralmente, probabilmente si rifugerebbero nel PD o in Rifondazione. In altre parole, far cadere il governo e sciogliere il parlamento risulterebbe, per Pecoraro Scanio o Diliberto, nell'esclusione dal prossimo parlamento. Come minimo, si tratta di una mossa molto rischiosa. Vale lo stesso ragionamento per Di Pietro, che prese il 2,3%, e per la Rosa nel Pugno (o quello che c'è ora al suo posto) che prese il 2,6%. Anche nel loro caso se agissero per lo scioglimento delle camere tali partiti sarebbero costretti a presentarsi da soli alle prossime elezioni e verrebbero quasi sicuramente esclusi dal prossimo parlamento.
In teoria la carta migliore l'ha in mano Mastella, che potrebbe causare lo scioglimento delle camere e poi allearsi al centrodestra. Ma anche in questo caso si tratta di una manovra molto rischiosa. Il centrodestra al momento attuale non ha bisogno di Mastella per vincere, quindi potrebbe lasciarlo al freddo dopo che le camere si sono sciolte. In tal caso il buon Clem si troverebbe fuori dal parlamento pure lui, oltre che dal governo, una botta da cui si riprenderebbe a fatica.
La mia conclusione è che la tattica di forzare lo scioglimento del parlamento verrà usata dai partitini solo se questi si vedranno veramente disperati ed a rischio di decimazione; per esempio: se il PD ed il centrodestra cercano di accordarsi per il doppio turno alla francese. Non mi pare che questo sia molto probabile, quindi non ritengo molto probabile che si arrivi allo scioglimento del parlamento.
Che succederà dunque in questo periodo? Probabilmente nulla. Se la percezione sarà che la probabilità di successo del referendum è intermedia o bassa (diciamo meno di un mezzo) allora i partitini difficilmente accetterano accordi che li penalizzino. Nel qual caso, perso per perso, il PD preferirà probabilmente aspettare il referendum. Se invece si pensa che la probabilità di successo del referendum sia alta allora sarà il PD a rifiutare compromessi con i partitini. La verità è che, come osservato precedentemente, qualunque informazione disponibile in questo periodo sarà estremamente poco affidabile, per cui i partiti preferiranno aspettare.
Conclusione
Visto che mi sono scioccamente messo nella posizione di fare predizioni che possono facilmente rivelarsi errate (il prossimo post su questo tema probabilmente inizierà con 'in effetti non avevo tenuto conto del fatto che...'), tanto vale che vada fino in fondo e faccia previsioni anche sulle variabili esogene, oltre che su quelle endogene. In questo caso esogeno è il grado di ricezione che il messaggio referendario avrà tra la popolazione, mentre endogena è la risposta dei partiti.
La mia previsione, che ammetto contenere una buona dose di ottimismo della volontà, è che la probabilità di successo del referendum sia alta. Le tematiche elettorali sono complesse, ma il messaggio di base che il sistema attuale genera instabilità credo sia stato capito da molti. Mi aspetto quindi di vedere approvata verso maggio una riforma elettorale sulle linee del Vassallum.
Io mi azzardo a dire che c'è un elemento mancante nell'analisi: la variabile Grillo. Non ho controllato come Grillo si sia esposto sinora sulla questione referendum, ma
oso prevedere che lo interpreterà come una misura anti-establishment e
comincerà a fare campagna non solo per il si, ma anche e soprattutto
perché i partiti non facciano nessuna legge cosicche' il referendum si possa svolgere.
In dicembre i grillo ed blog hanno fatto cambiare una legge nel giro di
un giorno (quella sulla registrazione dei blog in tribunale), quindi io
mi sentirei ottimista, e non sarebbe una cattiva idea creare un
coordinamento fra blog .