Due o tre cose di politica economica

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Alcune riflessioni di politica economica che ho pubblicato, in tre puntate, su Il Fatto durante il mese d'Agosto. Siccome i lettori di nFA sono "tosti", qui arrivano tutte assieme ed anche ampliate ...

Si nota in giro una certa sorpresa, mista ad un ammontare non indifferente di preoccupazione, a fronte della notizia che la ripresa economica USA stenta a prender quota. Il Presidente-Superman ha detto che ne parlerà presto al popolo; attendiamo fiduciosi ulteriori miracoli ottobrini, che a Novembre ci son le elezioni.

A leggere le notizie ed i commenti odierni non riesco ad evitare un sorriso un po' amaro visto che, nell'altra mano, tengo le copie di Business Week e The Economist di Giugno e Luglio ch'erano arrivate a casa ma non avevo letto perché ero in vacanza. Lì, fior fiore di grandi economisti ed analisti confermavano che la ripresa era solida e che gli stimoli avevano stimolato adeguatamente ... ora tutti a dire che abbiamo disperatamente bisogno di altri stimoli. Gli articoli idioti abbondano, eccone uno d'esempio e da fonte prestigiosa. Perché sia idiota spero divenga chiaro nel prosieguo.

La ripresa europea, d’altro canto, questo trimestre ha ecceduto le aspettative grazie al balzo tedesco ed alle buone performances inglesi e di altri paesi del Nord Europa. Leggo su uno dei tanti BWeeks arretrati un'intervista a Christina Romer nella quale spiega al popolo che i paesi europei che non hanno fatto "'o stimolo" non crescono mentre gli USA, che 'o stimolo l'hanno preso, volano. Che si sia dimessa a causa di quell'intervista?

Io ci faccio su dell'umorismo perché non trovo di meglio da fare, ma questo non vuol dire che la situazione non sia preoccupante - in Italia più che altrove - né che non siano necessari ulteriori, talora radicali, interventi di politica economica. Vuol dire, però, che sarebbe il caso di smetterla, una buona volta, di fare politica economica sulla base dei dati, delle valutazioni e, spesso, delle isterie congiunturali. È tempo di guardare a questa crisi con maggiore realismo e, soprattutto, con la consapevolezza che per uscire da essa è necessario adottare cambiamenti non congiunturali ma strutturali.

Liberiamoci, anzitutto, della sorpresa per la debolezza della crescita americana – e, in una prospettiva più ampia, anche di quella europea. Governanti italiani a parte, nessun analista serio s’era sognato di dire che saremmo tornati rapidamente a tassi di crescita alti e sostenuti; similmente, nessuno s’era illuso che i problemi esplosi brutalmente nel corso del 2008 fossero stati eliminati con le azioni di politica monetaria e fiscale adottate negli ultimi ventiquattro mesi. Errori di politica economica e squilibri strutturali endogeni si sono venuti accumulando, alimentandosi reciprocamente, per più di un decennio negli USA, circa due in Europa ed almeno tre in Italia. L’illusione che essi possano evaporare nell’arco di un anno o due solo perché aumentiamo la spesa pubblica, finanziandola con emissione di debito, mentre le banche centrali riducono i tassi a breve riempendo le casseforti delle banche di liquidità a buon mercato, altro non è, appunto, che una populistica illusione.

Liberiamoci anche della convinzione che sia utile continuare a discutere del “che fare?” in politica economica nei termini obsoleti e, alla fin fine, banalotti, di maggiore o minore spesa pubblica aggregata, maggiore o minore offerta di “moneta”, aumento di qualche punto del tasso dell’inflazione e via elencando le sessantennali trite e ritrite ricette di cui, anche in questi giorni, sia la stampa internazionale che quella italiana si sono riempite. Per intendere quanto irrilevanti analiticamente – e dannose praticamente – tali ricette possano essere, riflettiamo per sommi capi su cosa, concretamente, la recessione che stiamo ancora attraversando abbia cambiato nelle economie in cui viviamo.

La ricchezza, ed il reddito, di quasi tutte famiglie si sono ridotti: non solo le case valgono di meno, ma valgono di meno anche i patrimoni finanziari (banche ed aziende, alla fine, sono possedute dalle famiglie) e per molti il reddito futuro è diventato inferiore a quello precedentemente atteso. Questo implica la sparizione di una quota sostanziale di domanda di svariati beni e servizi: non li vuole più nessuno. Mi rendo conto che sarebbe bello avere una teoria completa e solida di perché tutto questo è successo ed ammetto che non ce l'ho. Sono però in buona compagnia, perché una teoria convincente davvero non ce l'ha nessuno, proprio nessuno ... (beh, non è vero: i 100economistichesondiventati250 ce l'hanno: la crisi è l'inevitabile frutto delle contraddizioni insanabili in cui si dibatte l'economia capitalista e la sua teoria economica che, come tutti sanno, sono un tutt'uno ...).

Ho degli abbozzi di teoria, delle tracce: ovviamente c'è una connessione tra il crearsi della bolla e lo spostamento dell'asse economico del mondo verso l'Asia. Altrettanto ovviamente c'è una relazione fra l'illusione "monetaria" che ha portato americani, ed europei, a credere che i loro beni capitali (aziende quotate in borsa e case) valessero all'improvviso il 70-80% in più e l'arrivo sul mercato mondiale di 3 miliardi d'indo-cinesi produttivi ma poco costosi. Ed ovviamente le folli scelte di politica monetaria e bancaria compiute dal 1995 in poi ed in particolare dal 2001 in poi non sono solo il frutto di una Fed preda di follie pseudo-keynesiane in salsa greenspan-bernanke. Si', fra tutte queste cose ci soo connessioni profonde e nessi causali. Ma il modellino che le tiene coerentemente insieme non ce l'ho, quindi sono costretto a ragionare in modo empirico, partendo dai fatti chiari e non controversi e lasciando da parte la risposta alla domanda del "perché sia successo". Ed i fatti dicono che per un certo tipo di beni la domanda, in EU+USA+Japan, è calata drasticamente ed in modo permanente. Gli abitanti di quei paesi si sono accorti di essere meno ricchi di quanto credevano, si son messi a risparmiare per pagare i debiti ed han deciso che certi beni non li comprano o ne comprano molti meno. Fine della storia, o meglio inizio dell'analisi sul da farsi.

Occupazioni precedentemente considerate sicure e redditizie non sono più tali: milioni di persone devono trovare qualcosa di diverso e di utile da produrre. Sia gli USA che l’Europa si devono confrontare con un gigantesco problema di mobilità del lavoro: milioni di persone che prima facevano “case” (lavatrici, mobili, mutui, eccetera) ora devono trovare altre cose da fare ed apprendere a farle. Tutte le discussioni (del piffero a mio avviso) sulla Beveridge curve che non è più quella di una volta (negli USA) si riducono a questo: che non diventi infermiera in 1 anno se hai fatto il muratore tutta la vita. E, comunque, il profilo della disoccupazione ha lo stesso comportamento ciclico, sino ad ora, che ha avuto nelle ultime due recessioni, guarda caso ...

Si eclissano le prospettive di crescita che molti vedevano nei settori allora in espansione: per molte imprese diventa problematico decidere cosa fare per crescere, dove investire. Migliaia di imprenditori, esistenti o potenziali, devono trovare nuove strade per innovare e investire, perché la crescita viene solo dal fare cose nuove o dal fare meglio le cose che si facevano prima. Finché non scopri quali siano, non le fai.

Questi sono cambiamenti reali e la caduta dei prezzi delle case, degli attivi finanziari, dei salari e dei prezzi altro non sono che il riflesso monetario di tale impoverimento reale. La qual cosa ha una prima implicazione: generare inflazione non elimina questa perdita reale di ricchezza e reddito. L’affermazione spesso avanzata secondo cui l’inflazione sarebbe un bene perché renderebbe più facile ripagare i debiti (rendendo quindi meno poveri i debitori) ignora il fatto che, così facendo, i creditori riceverebbero soldi svalutati e sarebbero essi, quindi, meno ricchi. Nella misura in cui sia i creditori che i debitori sono fra di noi – non può essere altrimenti: se i creditori fossero tutti “altrove”, che problema vi sarebbe a non ripagare i debiti? – la soluzione “inflazione” e’ solo un’illusione. Quindi non è solo il fatto che non si riesce ad "inflazionare" per quanto ci si provi (e 20 anni di Giappone che ci prova sono lì a ricordarcelo!) ma anche se si potesse non aiuterebbe!

Seconda implicazione: non è possibile chiedere alla politica monetaria di fare ciò che non puo’ fare. Le banche centrali possono:

(a) Ispezionare e regolare le banche in modo da garantire che non facciano prestiti insensati e non si dedichino ad operazioni finanziarie troppo rischiose. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 alcune di loro (la Fed in particolare) hanno svolto tale compito malamente ed è bene che si prendano provvedimenti perché ora lo facciano adeguatamente. Deve essere chiaro, però, che così facendo vi saranno meno, non più, prestiti a imprese e famiglie. Le banche, consapevoli di questa svolta nell’atteggiamento del regolatore, già si sono adattate diventando più conservatrici nella concessione del credito. Non so se questo sia desiderabile o meno, però so che non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena: non si possono avere banche meno propense al rischio e una quantità maggiore di credito allo stesso tempo! Il dibattito mondiale sulle banche e le imprese che accumulano liquidità (queste cattivone) non lo capisco proprio, con buona pace dei geni che scrivono su The Economist. Non abbiamo detto tutti che si erano indebitate/esposte troppo, che erano troppo leveraged, che facevano prestiti rischiosi? Bene, si sono adeguate! Cosa implica questo? Implica che un gran numero di prestiti marginali, ossia rischiosi, non vengono più fatti! Ripeto: o la moglie ubriaca o la botte piena, not both.

(b) Le banche centrali possono rendere meno costoso il finanziamento delle banche che decidono di concedere dei crediti. Questo non implica che le opportunità per concedere credito aumentino, né che aumenti la quantità di credito concesso. Si può portare il cavallo all’acqua e rendere l’acqua abbondante, ma non si può costringere il cavallo a bere. Se gli imprenditori sono incerti su dove sia conveniente investire, non investiranno sino a quando tale incertezza non sarà eliminata, ossia sino a che non diventerà chiaro cosa convenga produrre, cosa la gente voglia effettivamente comprare. Sino ad allora l’abbondante acqua rimarrà nelle riserve delle banche. Guarda caso, infatti, le grida del 2009 sulle banche che non prestano alle migliaia di imprenditori che vorrebbero investire sono evaporate. Ora sono le imprese che ci vanno caute, molto caute, ad investire ed assumere. Vale la pena notare che (BWeek July 5-11, p. 51) creare un nuovo posto di lavoro alla frontiera tecnologica costa oggi, negli USA, nell'ordine di $100K, costava 1/10 due recessioni fa ...

(c) Le banche centrali possono, infine, espandere la massa monetaria comprando debito pubblico e favorendo così l’indebitamento dei governi. Questo può abbassare i tassi nominali a lungo sul debito pubblico, come la Fed sta tentando di fare, solo nella misura in cui i risparmiatori credono che questo debito pubblico verrà ripagato. Ma, come abbiamo appreso in Europa negli ultimi mesi, quando l’indebitamento pubblico si espande molto più rapidamente del reddito nazionale i risparmiatori cominciano a temere che non venga ripagato. Allora i tassi, sia sul debito pubblico che su quello privato, schizzano in alto. Detto altrimenti: monetizzare il debito pubblico si può, ma non è detto che generi tassi d’interesse minori perché il rischio di default ed i timori d’inflazione possono più che compensare l’azione della banca centrale.

Le banche centrali, e la Fed in particolare, hanno errato gravemente dalla fine degli anni ’90 sino al 2005 circa, alimentando e permettendo la creazione di bolle finanziarie. Chiedere ora ad esse di ridurre ulteriormente i tassi e di spingere maggior liquidità nel sistema non solo è inutile, per le ragioni appena viste, ma rischia di ripetere esattamente lo stesso errore. Morale: dovremmo forse chiedere alle banche centrali di smetterla di pompare acqua nelle tubature; il rischio che una di esse si gonfi come un pallone e poi ceda è oramai molto alto.

Ed insisto: il problema NON è la maledetta inflazione - che oramai credo d'aver convinto anche Steve Williamson che non è lì il problema, rimane solo David Andolfatto ad essere puzzled che la quantity theory non funziona bene - ma il fluire di risorse (investimenti, crediti) verso assets che non sono produttivi e che si apprezzano in maniera inconsulta. Questo arricchisce qualcuno, finché il flusso entra il gatekeeper prende un fee, ma poi impoverisce tanta altra gente quando il flusso decide di uscire, come abbiamo visto. Evito, per il momento, d'invischiarmi a discutere nuove mode ed amenità in arrivo dal Charles River, tipo la favola cavalleresca del shortage di (safe) assets ... In ogni caso: volete che BB continui a stampare e si compri altri due o tre trillions di assets del settore privato USA? Molto bene, che lo faccia. Non cambierà nulla, fatto salvo il fatto che, ad un certo punto, dovremmo forse chiederci come fa la Fed a gestire metà del settore privato! Ma la crescita, nel senso della crescita della produttività e dell'occupazione, non viene di certo perché ora la Fed è il tuo maggior shareholder o corporate lender, o no? La stampa anglosassone (FT e The Economist in particolare: quacuno ha una teoria sul perché?) pubblica ogni giorno articoli di questo o quel banchiere di questo o quell'"analista economico" che chiedono maggiore liquidità, tassi più bassi (!) ed uno si domanda: ma ci sono o ci fanno? In giro c'è tutta la liquidità che ci si possa immaginare, peccato che nessuno trovi una maniera di USARLA per creare posti di lavoro produttivi e prodotti addizionali che si vendano! È quello il problema, o gonzi, non la liquidità! E se i prezzi (di alcuni beni durevoli) calano o non crescono ... non è che questo è dovuto al fatto che i mercati funzionano, ed i prezzi delle cose che nessuno vuole si aggiustano scendendo?

Il lettore d’ispirazione “keynesiana” commenterà: “Esattamente: siamo nella trappola della liquidità, per questo occorre aumentare la spesa pubblica!” Forse siamo in trappola, ma dubito assai che la spesa pubblica ci possa far uscire dalla medesima. Il perché lo vediamo fra un attimo. Per ora sottolineiamo che la politica monetaria ha fatto la sua parte, che di più non può fare, che non è il caso di chiederlo e che, anzi, è tempo di chiedere ai banchieri centrali di mettere sotto controllo l’enorme massa di liquidità che hanno immesso nel sistema finanziario dal 2008 ad oggi.


L’effetto reale più immediato della crisi esplosa tra il 2007 ed il 2008 consiste nella distruzione di aziende e posti di lavoro, specialmente a medio-basso valore aggiunto. Per questi beni e servizi la domanda è diminuita per sempre: come dimostrano i recenti andirivieni del mercato automobilistico, gli incentivi ed i sussidi pubblici possono solo generare un aumento fasullo della domanda di ieri ed un crollo repentino della domanda di oggi, ragione per cui sono potenzialmente dannosi. Quello che di certo non possono fare è generare magicamente un’alta e persistente domanda, ragione per cui sono certamente inutili.

A questo effetto immediato ne segue un secondo: per molti beni a domanda invariata o addirittura crescente sono venuti affermandosi produttori alternativi, localizzati nei paesi meno avanzati. Questo secondo processo, il più rilevante per le prospettive di crescita, continuerà per molto tempo ancora: era in corso da due decenni ed ha solo subito una forte accelerazione negli ultimi tre anni. Per comprendere il caso italiano occorre aggiungere a questi due fenomeni un terzo: la decennale e continua perdita di competitività di svariati comparti dell’industria italiana rispetto ai propri termini tradizionali di confronto, costituiti da imprese simili nei maggiori paesi della UE. Le misure di tale slittamento decennale sono molteplici ma riassumibili, alla fine, in una sola: il valore aggiunto per ora lavorata cresce meno che nel resto della UE ed il reddito disponibile non cresce. Per chi non avesse ancora inteso l'antifona consiglio la lettura di un documentino pubblicato dall'ISTAT il 3 Agosto, intitolato "Misure di produttività". A me ha fatto spavento.

La politica monetaria, come abbiamo visto, non può fare molto; anzi: può fare poco o niente e quel poco l’ha già fatto. Mentre è stata utile per sventare l’eventualità che il panico del 2008-09 trasformasse la crisi in un crollo tanto drammatico quanto generalizzato non può certo generare la domanda di case e televisori che non c’è, né può rendere competitive ed efficienti imprese che non lo sono. Questo il punto a cui eravamo giunti nella prima parte: ecco perché occorre aumentare la spesa pubblica, era stata la risposta. La spesa pubblica crea immediatamente e direttamente posti di lavoro, risolvendo alla radice i fattori di crisi testé individuati. Giusto? Sbagliato.

Un vantaggio dello scrivere un editoriale a puntate, distanti una settimana l’una dall’altra, è che nel frattempo succedono delle cose rilevanti per il tema in discussione. Questo è anche il nostro caso, il che ci permette di usare esempi freschi nella mente del lettore invece di ricorrere alle, altrimenti più oneste ma frequentemente più ostiche, statistiche. Un esempio l’abbiamo già utilizzato: i sussidi alla rottamazione altro non sono che uno dei tanti modi in cui si realizza la spesa pubblica “keynesiana” - mi dispiace: avendo troppo rispetto per il defunto JMK, dovrete sorbirvi le virgolette ogni volta che sarò costretto a far riferimento alle imbarazzanti versioni correnti delle sue teorie. Un incentivo alla rottamazione altro non è che una maniera di pagare una parte della nuova macchina per mezzo di debito pubblico al fine di “stimolarne” la domanda: l’effetto si è visto. La domanda è aumentata sino a quando l’incentivo fiscale era disponibile ed è poi crollata drammaticamente; il famoso “moltiplicatore keynesiano” dicono sia stato intravisto da alcuni pellegrini in viaggio verso il santuario di padre Pio, sghignazzava. Il risultato medio è che non è cambiato nulla, ma è peggiorata la vita dei lavoratori del settore: prima gli straordinari, poi la cassa integrazione, infine le tasse per pagare gli incentivi. Se questa è la crescita economica che le politiche “keynesiane” producono: grazie, ma no, grazie.

Ma la spesa pubblica “keynesiana”, si dirà, non consiste in sussidiare le imprese; essa richiede trasferimenti alle famiglie con un’alta propensione al consumo. Trascuriamo il fatto che l’affermazione precedente è sia insensata che falsa. Insensata, perché non conta chi riceva formalmente il sussidio: è l’elasticità della domanda che determina se il sussidio va al consumatore o al produttore. Falsa, perché gli stimoli “keynesiani”, ovunque nel mondo, consistono regolarmente in un aumento abbastanza generalizzato della spesa pubblica con scarsissimi interventi mirati alle famiglie veramente più bisognose. Facciamo comunque finta sia vera e consideriamo un esempio nostrano: il Ministero dell’Economia ci informa che la spesa per invalidità è aumentata, negli ultimi 4 anni, del 22%. L’Italia, evidentemente, è sempre più un paese di sfigati; con una particolare concentrazione dei medesimi al Sud, ci informa il suddetto ministero. Ma non è questo il punto. Neanche a farlo apposta, 19 di quei 22 punti (pari a circa 2,5 miliardi di euro) sono stati realizzati nel 2009 rispetto al 2008: un (neanche tanto: per la social card si spese circa 1/5, se non ricordo male) piccolo stimolo fiscale all’italiana giusto nell’anno della crisi. Bene, c’è qualcuno disposto a sostenere che questo aumento tutto “keynesiano” della spesa pubblica ha avuto effetti benefici sulla crescita economica del paese? Che da qualche parte il famoso moltiplicatore ha generato posti di lavoro durevoli e produttivi? Attendo, paziente, argomenti favorevoli all’espansione di questo particolare tipo di spesa “keynesiana”.

Ma guardiamo più lontano, ossia alla notizia che la grande ripresa americana, stimolata dagli stimoli obamiani, sembra non essere tale e che quest’ultimi, in particolare, hanno generato o ben una crescita temporanea ed illusoria dell’occupazione (gli occupati a raccogliere i dati censuari) o aumenti dei prezzi in alcuni settori. Quest’ultimo caso è quello rilevante, perché è quello che vale nella maggior parte dei casi. Quando un governo aumenta del, diciamo, 10% la spesa pubblica tende a farlo in quei settori ed in quei comparti in cui è presente ed offre beni e servizi, o li acquista. I governi non acquistano case al mare ed appartamenti in città, quindi lo stimolo fiscale non ha generato, né poteva generare, posti di lavoro addizionali per i dipendenti del settore costruzioni. Idem per quelli impiegati nel settore dei beni durevoli e così via. Poiché, nel caso specifico dello stimolo obamiano, si è deciso di trasferire una parte sostanziale dello stimolo al settore sanitario è cresciuta la domanda di personale in quel settore. Poiché muratori, carpentieri, imbianchini, idraulici ed anche agenti immobiliari non si trasformano in infermieri specializzati ed otorinolaringoiatri nel giro di sei mei o un anno, sono aumentati i salari e gli stipendi in quel settore, tra un 7% ed un 12%, a seconda delle specializzazioni. Niente, male per un paese in cui i salari si stanno riducendo! L’occupazione, invece, è aumentata di molto meno e, cosa importante, non è aumentata di più di quanto ci si aspettava dovesse aumentare comunque, visto il trend di crescita del settore sanitario. Morale: lo stimolo “keynesiano” ha solo generato un trasferimento di reddito dal resto dell’economia agli imprenditori e dipendenti del settore sanitario.

Rimane il caso: opere pubbliche socialmente utili, altro cavallo di battaglia dei “keynesiani” rinnovati. Per i quali ho solo tre parole di commento: Ponte sullo Stretto. L’ha appena promesso di nuovo, nelle sue rinnovate balle agli italiani. Professor De Cecco (anche Marcello ha firmato l'appello dei 100 e se nomino sempre gli stessi poi arrivano qui i loro paladini armati di forconi): è questa la spesa anti-austerità che ci farà uscire dalla crisi? No perché siamo capaci tutti di fare grandi discorsi sulla "spesa pubblica produttiva" ma poi, quando è ora di spenderli, i soldi si spendono sulla Tirrenia!

Qui sta la morale: gli aumenti di spesa pubblica non possono risolvere nessuno dei tre fattori di crisi elencati all’inizio. Non possono creare domanda per muratori e carpentieri, ma alleviare al più i costi di transizione da un lavoro all’altro. Per questo ci sono i sussidi di disoccupazione, che con gli stimoli “keynesiani” c’entrano come i cavoli a merenda. Ancor meno possono contro il secondo fattore di crisi: solo l’innovazione tecnologica e la riduzione di costi (e quello fiscale è un grande costo, specialmente in Italia) può permettere alle imprese europee di mantenersi competitive e generare crescita. Che io sappia nessuna spesa pubblica ha mai sortito quest’effetto. I tagli invece sì: che sia per caso che l’austera Germania cresce a razzo? Ah, sì, perché la notizia del mese ovviamente è che l'austera Germania cresce come nessun altro ...


Se la politica monetaria ha fatto quanto in suo potere per evitare le conseguenze più gravi della crisi finanziaria e se ulteriori aumenti di spesa pubblica sono non solo improponibili ma potenzialmente dannosi, dobbiamo concludere che non ci rimane altro che piangere? Riponete i fazzoletti: molto è possibile fare, come lo è sempre stato. Contrariamente a ciò che il ministro del Tesoro promette da lungo tempo, la politica non può violare le leggi economiche creando ricchezza a base di ciance. Essa può, però, determinare se l’agire di tali leggi finisca per causare lo sviluppo o il declino d’un paese. La politica non può miracoli, ma è la differenza fra Argentina e Corea, del Sud.

Per capire ciò che è possibile, occorre rimuovere dai nostri occhi antichi filtri di polpa suina ed interrogarsi su quali scelte collettive abbiano determinato la situazione corrente e quali la possano modificare. Ripeto i fatti: certe cose non le vuole più nessuno, occorre farne altre; siccome i valori degli assets sono crollati siamo più poveri di quanto pensavamo; siccome le cose che facevamo o non le vuole più nessuno o altri le fanno meglio di noi, le nostre prospettive di crescita del reddito sono peggiorate, si sono atrofizzate, insomma sono pessime. Occorre, quindi, ritornare a crescere. Per crecere occorre: trovare cose da produrre che altri vogliano e produrle meglio della concorrenza. Poi occorre anche venderle, ovviamente ...  Occorre, insomma, una ristrutturazione industriale non dissimile da quella che fece seguito alle due crisi petrolifere degli anni ’70. La riconversione di cui abbiamo disperato bisogno è probabilmente maggiore, sia quantitativamente che qualitativamente, di quella d’allora; essa richiede una sostanziale mobilità intersettoriale del lavoro e l’adozione di processi d’innovazione continua, sia in fabbrica che nel tessuto sociale. Questi, non altri, i processi che la politica deve permettere e favorire. Ora come ora, e da almeno tre decenni, la politica sta invece impedendo che questi cambiamenti si realizzino. Anzi, diciamocela tutta: alla politica, sia a destra che a sinistra, non gliene può fottere di meno di questi processi, non li vedono, non li capiscono. Quando han fatto tanto hanno fatto le lenzuolate di Bersani, altrimenti si sono occupati di raccattar puttane per se stessi e per gli amici russi e libici con cui fanno affari sottobanco. Questo, sino ad ora, è stato il contributo della politica alla riconversione industriale italiana.

Ma il mondo produttivo non aspetta né BS, né Voltremont, né tantomeno Bersani ed il suo fido Fassina (l'avete letto sull'Unità della settimana scorsa il proclama economico del Fassina per il PD che va in campagna elettorale? Dovranno farne lettura obbligatoria al DAMS, corso per apprendisti clowns). Processi di riconversione sono in corso in tutti i paesi del mondo, a velocità e con risultati diversi. Le politiche che contano sono quelle del lavoro e contrattuali, dell’istruzione superiore, dei servizi di (trasporto, comunicazione, finanza, legali), della ricerca scientifica, della regolazione dei mercati e dell’eliminazione dei monopoli. Tutti terreni, questi, su cui sia questo governo, che il precedente, che il precedente, che il precedente ancora ... hanno fatto quasi nulla e - quando hanno fatto qualcosa, come nel caso della recente “riforma universitaria” - hanno fatto un passo avanti e due indietro. In questo quadro la politica fiscale conta nella misura in cui riesce a ridurre sia la propria complessità che il proprio carico su imprese e lavoratori. Quella della spesa conta nella misura in cui riduce e razionalizza per davvero la spesa pubblica. Altri due terreni, questi, su cui i governi italiani prendono in giro i loro cittadini da vent’anni almeno, promettendo tagli e riduzioni che mai arrivano e che, guarda caso, sempre si materializzano nel loro opposto. Come nella recente manovra, che è riuscita ad aumentare sia la spesa che l’imposizione raccontando al popolo d’aver fatto l’opposto! I recenti avvisi “obliqui” di Barroso non si devono al caso.

Per i lettori che amano la teoria economica, il concetto chiave, qui, è quello di "vantaggio assoluto", non comparato. Per dettagli, leggete Ronald Jones, circa 1990: in un mondo in cui i fattori si muovono tutti e le condizioni naturali contano ben poco nel determinare i vantaggi comparati, questi ultimi diventano endogeni e determinati dalle policies. Se le policies sono tali da rendere i "costi fissi d'installazione" bassi, i fattori mobili (che sono quelli critici: capitale, know-how, tecnologia, lavoro altamente specializzato) arrivano e determinano/creano vantaggi comparati nelle produzioni che essi controllano. Se non arrivano rimani a produrre cacca, o pizze per i turisti.

Che l’economia tedesca abbia ripreso a crescere (trainata da produzioni di alta qualità, costi ridotti, prodotti innovativi e così via) si deve al fatto che i processi virtuosi menzionati sopra erano lì già in corso da prima dell’esplosione della crisi la quale li ha solo accelerati. Tale accelerazione è attribuibile anche ad atti concreti del governo tedesco, che includono sia le cosidette misure di austerità (ridurre il peso fiscale sulle aziende significa renderle più competitive, un fatto apparentemente incomprensibile in Italia come provano gli editoriali del Sole 24Ore), sia le misure tese a favorire la mobilità del lavoro, la cooperazione fra imprese e lavoratori nella riduzione dei costi, la ricerca produttiva, la riqualificazione del sistema universitario. Il dinamismo dell’economica tedesca non è frutto del caso ma il prodotto di scelte politiche coraggiose, compiute anni orsono e mantenute durante e dopo la crisi finanziaria. Il contrario, insomma, delle chiacchere, delle vuote promesse, delle ideologiche polemiche nostrane.

Con accenti diversi lo stesso vale sia per quanto avviene in Spagna - dove la resistenza all’adozione di politiche virtuose è stata maggiore ma dove, ora che son state adottate, iniziano a dare dei frutti – che in Francia, Inghilterra, eccetera, sino agli Stati Uniti. Quest’ultimi, per lungo tempo leader mondiali nella capacità di adottare politiche economiche che favoriscano la riconversione impresariale, la mobilità del lavoro e l’innovazione tecnologica, hanno iniziato a perdere tale leadership. Iniziata sotto la presidenza di GW Bush - a colpi di protezionismo e difesa di monopoli, spesa pubblica clientelare, abbandono dello sforzo per la difesa della concorrenza in molti settori fra cui quello finanziario – l’involuzione è continuata con l’amministrazione Obama. Questa ha non solo mantenuto svariate delle precedenti politiche economiche ma vi ha aggiunto del proprio: spesa pubblica addizionale, una riforma della sanità che rafforza, anziché debellarli, monopoli e privilegi, ed un’ulteriore giro di vite in difesa di quella particolare forma di monopolio costituita da copyright e brevetti. Sopra tutto questo aleggia, da almeno tre decenni, un lento ma inesorabile processo di dequalificazione del meccanismo di formazione della forza lavoro: il sistema scolastico USA è alla frutta e la forza lavoro "mediana", in questo paese, fa, tanto per essere onesti, pena: non sanno fare nulla. Non sorprende, quindi, che l’economia USA fatichi a completare il giro di boa ed a ripartire: la mobilità intersettoriale della forza lavoro sembra paralizzata ed il processo d’innovazione tecnologica altamente rallentato.

Gli annunci, come l’ennesimo di Bernanke, sul fatto che la FED continuerà a fare tutto il possibile per evitare una ricaduta nella recessione, sono encomiabili ma non hanno altro effetto reale che tranquillizzare per un poco i mercati mentre il lento processo di riconversione avviene. Ben Bernanke può emettere moneta sino ad acquistare l’intero sistema economico USA, ma se le aziende esistenti non recuperano produttività e non se ne creano di nuove, la ripresa stabile non verrà. QUi sarà il caso di chiarire una cosa: le imprese USA hanno, oggi come oggi, dei livelli di redditività altissimi. I margini di profitto sono ai massimi storici, letteralmente: 36,4%, il massimo dal 1947! Questo segnala che QUELLA parte della recessione è finita, che i salari sono bassi e stanno probabilmente scendendo ed i profitti alle stelle. Il problema è che queste stesse imprese non trovano conveniente espandersi e, se lo fanno, non trovano conveniente farlo con forza lavoro locale: quindi non stanno creando occupazione qui, negli USA. Questo, il problema, non la mancanza di domanda aggregata!

Lo stesso problema affronta l’economia italiana, solo svariate volte peggio. La crisi del 2008 s’è cumulata ad una stagnazione produttiva che durava da un decennio: il 3 Agosto l’ISTAT ci ha informato che la produttività del lavoro, in Italia, è oggi uguale a quella del 1997 mentre quella totale dei fattori è allo stesso livello del 1994! Mentre la politica si perde nelle proprie interne miserie, l’economia italiana lotta da sola con tale orrenda malattia; di questa lotta impari, il caso FIAT costituisce il simbolo più polemicamente visibile. Un simbolo su cui vale la pena riflettere in termini concreti e non ideologicamente populisti, come invece gli sciacalli della politica, d’un lato e dall’altro, sembrano voler fare.

Il problema non è se la FIAT abbia violato o meno, con il suo comportamento a Melfi, il dettaglio di una legge: si’, l’ha violato. L’ha violato intenzionalmente per comunicare che tale legislazione – il modello di relazioni industriali che essa sottende e che i tribunali del lavoro perpetuano – è oggi incompatibile con lo sviluppo economico nazionale. FIAT, alla pari di centinaia d’altre imprese, si ristruttura per competere nel mondo post-2008. Sia a Melfi che a Pomigliano, essa non ricatta nessuno: offre invece ai suoi dipendenti l’occasione per un rapporto di collaborazione basato su criteri altri da quelli che hanno (s)governato le relazioni industriali italiane dal primo dopoguerra ad oggi. Solo da tale nuova collaborazione può venire l’innovazione continua che costituisce la conditio sine qua non per prosperare. Rara eccezione nella storia secolare e per’altro poco encomiabile di questa impresa, il discorso FIAT è oggi un discorso di progresso e di crescita. Esso chiede alle parti interessate, ed al paese tutto, di capire che the times, they are a-changin’. It may not be for the best, aggiungo io ...

 

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QUi sarà il caso di chiarire una cosa: le imprese USA hanno, oggi come oggi, dei livelli di redditività altissimi. I margini di profitto sono ai massimi storici, letteralmente: 36,4%, il massimo dal 1947! Questo segnala che QUELLA parte della recessione è finita, che i salari sono bassi e stanno probabilmente scendendo ed i profitti alle stelle. Il problema è che queste stesse imprese non trovano conveniente espandersi e, se lo fanno, non trovano conveniente farlo con forza lavoro locale: quindi non stanno creando occupazione qui, negli USA. Questo, il problema, non la mancanza di domanda aggregata!

 

 

Uhm, oggi e' lunedi', ed io non ho capito bene questo passaggio. La gran parte dei profitti li stanno facendo sul mercato USA o sulle esportazioni? Ed ancora, tali profitti quanto e' stimabile (anche una stima rough) siano funzione di posizioni lontane dalla concorrenza perfetta/circonvenzione di incapaci (penso alla Microsoft/Apple, per non fare nomi)?

Prego scusare la forma espressiva dislessica

PS: ho pure scritto 'oggi e' lunedi''...il bank holiday mi ha proprio stordito

 

In attesa di una risposta da MB ti fornisco il mio esempio personale.

Lavoro per una multinazionale "americana" che ha il grosso delle sue attivita` di manufacturing in Asia, clienti in tutto il mondo ma soprattutto negli USA, azionisti principali negli USA e in alcuni paradisi fiscali.

Redditivita` 50% (non scherzo)

Disinvestimenti: ininterrotti da cinque anni, soprattutto in USA e in Europa.

Ma ti assicuro, non gode di alcuna posizione di privilegio monopolistico.

Articolo molto chiaro e molto istruttivo, su cui sono praticamente perfettamente d'accordo, sia per le cause del boom creditizio (con origini ventennali) sia per la necessità della riforma strutturale dell'economia USA (e la conseguente inutilità della nozione di domanda aggregata).

Domanda su un dato che non conoscevo e che però non riesco ad inquadrare nel resto della situazione macroeconomica.

 

QUi sarà il caso di chiarire una cosa: le imprese USA hanno, oggi come oggi, dei livelli di redditività altissimi. I margini di profitto sono ai massimi storici, letteralmente: 36,4%, il massimo dal 1947! Questo segnala che QUELLA parte della recessione è finita, che i salari sono bassi e stanno probabilmente scendendo ed i profitti alle stelle.

 

Se i margini di profitto (immagino lordi: profitti netti + costo del capitale) sono così alti (e in che settori? industria pesante, costruzioni, finanza, healthcare, beni di consumo, industria estrattiva, servizi?), cosa frena le aziende dall'assumere e dall'espandere la produzione?

Si tratta di profitti di breve termine, che quindi non influenzano gli investimenti di lungo termine? O peggio ancora, si tratta di profitti di breve termine, che tolgono risorse agli investimenti più "lunghi", in modo da creare crowding out dei settori più "capitalistici"?

Si tratta di settori con elasticità dell'offerta nulla, che non possono assumere perché non sanno come "sfruttare" questo 40% di ROI (immagino sia il ROI)? E perché? Non riesco ad immaginare un settore dove in un annetto non si possa mettere in piedi un po' di capacità produttiva extra.

C'è un problema strutturale nel mercato del lavoro, che è pieno di persone senza arte né parte, da ri-formare completamente, in un processo lungo (nel tempo) e costoso (in termini di capitali)? (in questo caso, direi che c'è stato un picco del tasso naturale di disoccupazione, cosa molto verosimile)

Si tratta di un picco dell'avversione al rischio, che ha raggiunto enormi proporzioni, o per motivi psicologici (il tipo di spiegazioni che non mi piace), o perché tutti si aspettano che da qui a pochi anni ci sarà un aumento cospicuo delle tasse per tenere in piedi i bilanci pubblici ("regime uncertainty meets ricardian equivalence")?

O magari la redditività altrove (in Cina?) è ancora più alta del 40%, così che il 40% non basta? Ma allora perché c'è ancora gente che detiene moneta?

Le banche non potrebbero ricapitalizzarsi semplicemente regalando valanghe di soldi presi allo 0% e guadagnando il 40% in un anno sul capitale, una cosa enorme, per ogni valore di buonsenso del premio del rischio? Qualsiasi bank balance sheet effect si risolverebbe in un annetto con questi dati.

Ultima possibilità che mi viene in mente (ma solo per mancanza di immaginazione e conoscenza della teoria economica, temo): non è che quel 40% (profitti lordi, spero, cioè inclusivi del reddito del capitale) non è sufficiente ad attrarre una quantità sufficiente di fattori produttivi per tenere in piedi il sistema di capitali fissi (e che richiedono continue cure) precedentemente in essere, perché questo "sistema" accumulato negli anni è troppo grande, e perché il consumo non è sceso abbastanza?

Insomma, ci sono tanti problemi che possono esistere, tutti più o meno verosimili, e sarebbe interessante saperne di più.

PS Alcune di queste domande sono state scritte in lingua austriaca (la teoria economica, non la variante del tedesco), quindi temo siano un po' difficili da interpretare. Però la questione mi sembra molto importante.

Il paper a cui ci si riferisce è per caso:

THE THEORY OF INTERNATIONAL FACTOR FLOWS: THE BASIC MODEL 
Ronald W. JONES and Isaias COELHO  
Stephen T. EASTON*

Journal of International Economics, 1986 ?

Grazie.

Michele mica è  questo il paper di Ronald W. Jones a cui ti riferisci.

Innanzitutto, standing ovation (o quasi). Sono un profano e visceralmente attaccato al modello marx-sraffian-keynesiano superfisso, (o almeno non lo vedo come il male assoluto, come se fosse una specie di love child tra il Lato Oscuro della Forza e Sauron), ma almeno nell'articolo di Boldrin ci sono delle indicazioni di policy ragionevoli a prescindere.

E anch'io stavo pensando alla ripresa tedesca, sembra la prova del pudding che siano giuste...se solo potessimo clonare Frau Merkel la voterei con tanta foga da spezzare la matita.

e adesso due osservazioni critiche (offro il petto alle pallottole del buon prof. che magari si è convertito al Secondo Emendamento)

 

La ricchezza, ed il reddito, di quasi tutte famiglie si sono ridotti: non solo le case valgono di meno, ma valgono di meno anche i patrimoni finanziari (banche ed aziende, alla fine, sono possedute dalle famiglie) e per molti il reddito futuro è diventato inferiore a quello precedentemente atteso. Questo implica la sparizione di una quota sostanziale di domanda di svariati beni e servizi: non li vuole più nessuno

non equivale, by and at large alla tesi dei cento sul sottoconsumo? da profano, la frase di sopra "walks like a duck and quacks like a duck" con la tesi del sottoconsumo

e

creare un nuovo posto di lavoro alla frontiera tecnologica costa oggi, negli USA, nell'ordine di $100K, costava 1/10 due recessioni fa ...

somiglia tanto a una di quelle "contraddizioni insanabili" del barbuto di Treviri, quella faccenda della composizione organica del capitale (è vero, nel modello marxiano era legata al calo del saggio di profitto, mentre i profitti sembrano fiorire, ma again, se non diventano merci prodotte e vendute e/o posti di lavoro quei profitti alla fine sono virtuali come i gettoni del monopoli, vebleniano conspicuous consumption dei super ricchi in escort e coca escluso. Ripeto, son un profano a cui hanno fatto leggere Napoleoni e Sweezy da piccolo, abbiate pietà :-)

 

 

 

Io che sono un VERO profano, applaudo all'analisi ma accidenti: arrivo in fondo al pezzo che vorrei preparare le valige, (e mi succede sempre più spesso...)

La prego Boldrin, in uno dei prox post, date un pò di speranza a noi residenti stanziali:-(( che in fondo lavoriamo come somari, (o forse lo siamo), paghiamo uno sbardavello di tasse e veniamo pure mazzulati mane e sera da disonesti e/o incapaci preoccupati solo del loro particulare.

 

La stampa anglosassone (FT e The Economist in particolare: quacuno ha una teoria sul perché?)

 

Be', mi pare evidente: UK e US si sono improvvisamente trovati nel ruolo dei debitori (sia nel settore pubblico che in quello privato), e con real assets pesantemente sopravvalutati. E se uno ha un mutuo da pagare favorisce politiche di "soft money" essenzialmente inflattive, per far diminuire il valore reale dei suoi debiti: nell'America di fine ottocento i fautori del bimetallismo avevano la loro base politica prevalentemente tra i farmers del Midwest indebitati fino al collo (oltre che, piu' banalmente, negli stati produttori di argento). Dalla parte della "sound money" adesso ci stanno, al posto che allora avevano i banchieri dell'East Coast (la Malvagia Strega del'Est nell'allegoria populista di Frank Baum), i paesi con surplus commerciale come Germania e Cina, che a forza di praticare "vendor financing" si sono trovati a essere creditori in misura crescente.

Concordo per la standing ovation A PRESCINDERE (alla totò) del modello economico di riferimento, per quanto riguarda l'andarsene via io personalmente sto facendo il lavaggio del cervello a mio figlio oltre a fargli fare degli stutdi che lo rendano competitivo (non avrà nessuna casa in eredità).

Lavaggio del cervello?!

Bell'articolo ma c'e' una cosa che mi piacerebbe capire:

"Questo implica la sparizione di una quota sostanziale di domanda di svariati beni e servizi: non li vuole più nessuno"

Cosa significa in termini di politica economica? Se il reddito e' calato e la domanda si e' ridotta anche se rivoluzionassi la struttura produttiva e ne migliorassi grandemente l'efficienza a chi potrei vendere questi prodotti? Nel caso di un solo paese (economia chiusa) i settori/le aziende "efficientate" spiazzerebbero i produttori marginali e probabilmente la disoccupazione complessiva aumenterebbe. Nel caso di piu' paesi (economia aperta) potrei conquistare quote di mercato e quindi nel breve periodo aumentare il reddito nazionale ma nel medio/lungo a forza di essere cosi' bravo il reddito dei compratori si ridurrebbe dato che metto fuori mercato la concorrenza. Qual'e' la ricetta? ristrutturiamo (e null'altro) tanto nel lungo periodo saremo tutti morti?

Nel caso di piu' paesi (economia aperta) potrei conquistare quote di mercato e quindi nel breve periodo aumentare il reddito nazionale ma nel medio/lungo a forza di essere cosi' bravo il reddito dei compratori si ridurrebbe dato che metto fuori mercato la concorrenza.

Ma il modello superfisso non era bandito? :)

Se vendo il prodotto A nel paese X vuol dire che sono più bravo a farlo (qualità migliore e/o miglior prezzo) dei produttori locali, e finché sono così bravo mi conviene dirottare risorse nella produzione di A fino, al limite, alla saturazione del mercato.  Chiaramente più domanda di A soddisfo io, meno potranno soddisfarne i produttori del paese X, con conseguente chiusura di aziende produttrici.

Il punto di questo discorso è che se io produco A, non produco B, e io ho bisogno di B!  Qualcuno dovrà soddisfare la nuova domanda di B che si è creata nel momento in cui ho smesso di produrlo, visto che ho dirottato le mie risorse sulla produzione di A.  Visto che nel paese X si è appena liberata della capacità produttiva e hanno pure risorse in più perché prima coprivano la loro domanda di A spendendo 10 e adesso la coprono spendendo 9, potrebbero sfruttare questa opportunità per iniziare a produrre un sacco di B e vendermelo.

Credo che anche tu puoi immaginare che chi produce A e B dovrebbe essere in vacanza tutto l'anno per comprare sufficienti quantita' di cacche e pizze.

PS

Io piuttosto direi "qui o si fa la cacca o si muore!" :-)

Sulla politica monetaria credo siano tutti d'accordo (salvo gli austriaci incalliti). Ha evitato il peggio ma non può fare tantissimo.

Sulla politica fiscale, qui si divaricano le strade.

La proposte sulla competitività, sulla riorganizzazione industriale, sulle innovazioni tecnologiche (che serma dall'articolo dipendano molto dal fatto di non avere situazioni di monopolio o rendite di posizione normative) e così via. Tutte queste cose aiutano nel "gioco a rubamazzetto" e risolvono i problemi "in un solo paese".

Il problema che pongono i "250" ,e non solo, è più che altro globale, non nazionale. Tutti i paesi hanno avuto un aumento della disoccupazione ed una diminuzione del tasso di crescita. Non mi sembra che ci siano variazioni rilevanti, negli ultimi anni, nelle bilance delle partite correnti dei vari paesi.

I pacchetti di stimoli proposti o invocati dovrebbero essere "coordinati" (questo annullerebbe, anche se pur soltanto parzialmente, gli aumenti dei tassi d'interesse sui titoli di stato, in quanto le posizioni relative e le bilance in conto corrente non cambierebbero, mentre l'effetto è sicuro nel caso di politiche espansive nazionali perchè peggiorano la situazione in conto corrente). 

La spesa "keynesiana" funziona soltanto se non ci sono i cosiddetti "colli di bottiglia" che lo stesso JMK prevede nella teoria generale. L'esempio della spesa obamiana nella sanità è emblematico. Non si nega l'efficacia di essa, ma soltanto il fatto che sia indirizzata in settori dell'economia in cui non vi è una "capacità produttiva inutilizzata", nella quale l'offerta di lavoro è quindi inelastica (perchè come spiegato, il muratore e l'agente immobiliare non si improvvisano infermiere e medico in qualche mese). La critica, quindi, sembra essere di merito (è attuato male) ma non di metodo (efficacia in casi di capacità produttiva sottoutilizzata).

Sulle infrastrutture vale la stessa regola. Si attacca il fatto di spendere i soldi per la Tirrenia. Se fossero potenziate le infrastrutture in ragione della dislocazione dei distretti industriali ed in funzione delle nuove rotte commerciali e se si avesse un'idea della direzione in cui questo paese debba andare, investendo in infrastrutture di conseguenza, allora tutto avrebbe un senso. Cito un articolo sul blog di Rampini del 30 agosto "Quando la crisi si curava col Golden Gate" nel quale parla dell'uscita del libro di uno storico americano Kenneth Starr. Certo, oggi non basta costruire una semplice autostrada o un semplice ponte per aumentare la competitività di un sistema, ma all'epoca si. Bisognerebbe investire sui "ponti del nuovo secolo", es. l'alta velocità (che, al solito, in Italia è costata il triplo che altrove), rendere più fluidi i collegamenti tra diverse tipologie di trasporti ecc...

Comunque, sulla spesa obamiana, ci sarebbe da obiettare che se i salari sono aumentati nel settore sanitario, questi soldi li dovranno pur spendere (non sto richiamando la trickle down economics, poichè un infermiere dovrebbe avere un'alta propensione marginale al consumo).

Poi è ovvio che per migliorare la situazione competitiva dell'Italia bisogna ridurre i costi e riposizionarsi merceologicamente, ma qui si parla dell'economia mondiale e di stimoli coordinati.

Questo articolo, a mio avviso, è compatibilissimo con le posizioni degli odierni economisti "keynesiani" perchè si preoccupano di due piani diversi. Microeconomico quello di MB (vedendo gli stati come aziende in competizione) e Macroeconomico quello dei "keynesiani".

 

 

Come nella recente manovra, che è riuscita ad aumentare sia la spesa che l’imposizione raccontando al popolo d’aver fatto l’opposto! I recenti avvisi “obliqui” di Barroso non si devono al caso.

Si parla di questa manovra? Perchè avrebbe aumentato la spesa?

Sì quella. Per le ragioni ben articolate da Mario Baldassarri essa consiste in due aumenti: uno della spesa e l'altro delle tasse. Siccome il secondo è maggiore del primo, i furbetti dei due quartierini ("destra" e "sinistra") han deciso di chiamarla "taglio".

Go, figure ... l'italiano è cambiato assai dai tempi miei!

 

Una analisi di quello che sta succedendo in FIAT nei termini riportati nel post è praticamente introvabile nei media/blog/dibattiti italici (escludendo Marchionne a Rimini, però parte in causa). Quanti nell'opinione pubblica e politica hanno capito cosa c'è in gioco a Melfi e Pomigliano ? Possibile che un evento così cruciale per il futuro italiano passi nell'indifferenza della politica, totalmente distratta dai processi brevi e dai sistemi elettorali "alla tedesca", e nell'incomprensione dell'opinione pubblica, che lo vive come la classica lotta tra padrone "sfruttatore" e operai "lazzaroni" ?

In verità qui ne avevamo già parlato..

E' colpa di quello che da noi chiamano "primato della politica", che porta come effetto il cretinismo parlamentare gia' lamentato da Engels:

La malattia del cretinismo parlamentare è un'infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, - guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di intieri nuovi continenti, scoperta dell'oro di California, canali dell'America centrale, eserciti russi, e tutto quanto ancora può in qualsiasi modo pretendere di esercitare un'influenza sui destini dell'umanità,- non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all'importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l'attenzione dell'onorevole loro assemblea.

interessante articolo di Muenchau pubblicato un paio di giorni fa dal FT

 

Edit:  the core of the argument is that

 

 

The improvement in Germany’s economic growth is driven not by productivity gains but by real devaluation.

 

 

 

 

Interessante teoria ... tu che ne pensi?

P.S. Per chi non avesse accesso ad FT, ecco il testo. La parte più interessante è la firma ...

 

One of the weirder experiences for anyone who lives in the eurozone is a visit to a German supermarket. I had the pleasure the other day, and found the general price level there to be a little over half of what it is in Belgium, Italy or Spain. This, of course, is just an unscientific guess. I also found price differences of some 30 per cent when comparing certain categories of goods on various Ebay sites in the eurozone.

These differences go some way to explaining the eurozone’s divergent economic performance, and give a pointer as to what to expect in the future. The really intriguing aspect of the divergences is not how they happened, but why they are not correcting themselves. We know how they happened: Germany entered the eurozone at an uncompetitive exchange rate and embarked on a long period of wage moderation. Macroeconomists would say Germany benefited from a real devaluation against other members. But while real exchange rates tend to move around, one would not normally expect extreme misalignments to be persistent. In this case, one would expect Spanish and Italian consumers to abandon their expensive retail stores and swamp German internet sites with mail order purchases, especially for durable goods. Eventually there would be some price realignment.

It is not happening.

You would also expect some pressure for realignment from the labour market. As the German export sector returns to full capacity, one would expect wage costs to rise by more than the eurozone average.

This is not happening either.

The reason for the lack of demand-side adjustment is that Europe’s internal market is not fully functioning, certainly not at the consumer level. I spoke to an executive of one of Germany’s mail order companies and asked him why people in Belgium, where I live, cannot buy his extremely cheap products. He told me that national tastes were so different as to preclude a European-wide mail order service. My response was that the Belgians, and the Italians, probably share the Germans’ taste for low prices, and would probably shop if only given an opportunity. Despite some recent improvements it remains surprisingly hard to shop cross-border.

While adjustment of the product side is prevented by an imperfect single market, adjustment on the labour market side is prevented by a complete absence of market integration. You would expect German workers to seek higher wages outside the country. But this is not happening, as the European labour market remains almost perfectly fragmented. That means German wage moderation can persist uncorrected for a long time. Nominal wages are effectively frozen, and are set to rise by only small percentages in the next few years.

Taken together, this means the intra-eurozone imbalances will not only persist, but probably increase. This will make the economic adjustment for Spain, Portugal or Greece even more difficult than it already is. Those persistent imbalances, much more than the build-up of debt, are my deep cause of concern about the long-term health of the eurozone.

But from a German perspective, this strategy boosts growth in the short term. It is, of course, a beggar-thy-neighbour strategy. The improvement in Germany’s economic growth is driven not by productivity gains but by real devaluation.

So while I expect the German economy to perform better than the eurozone average, it is important to keep some perspective and not draw false inferences from the 9 per cent annualised growth rate during the second quarter. If you look at the period since the beginning of the financial crisis, Germany’s economic performance has been dismal. If you compare levels of gross domestic product between Germany and the US since the crisis, you find the US significantly outperformed Germany during that period. That situation may still be reversed if the US were to go into a double-dip recession. But the best judgment we can make now is that of Christine Lagarde, the French finance minister, in her recent interview in the Financial Times: Germany is recovering faster this year because it contracted faster last year, when GDP fell by 5 per cent. So far, this looks like classic dead-cat bounce.

Given its export-dependence, the performance of the German economy will ultimately depend on the global economy. As the US is heading for another downturn, it is hard to see how Germany can maintain its recent rates of growth. To do so would require a sudden increase in domestic demand. But I cannot see where that would come from.

The bottom line is that Germany’s economic performance will almost certainly improve relative to the eurozone average in the years ahead, but also that the current wave of enthusiasm is much exaggerated.

The real danger – to the eurozone, but ultimately to Germany itself – is the strains stemming from the policy of a real devaluation. I cannot see how southern Europe can ever fully reverse the misalignments in the real exchange rate. Nor are there any signs that the reforms in the EU’s product and labour markets will be sufficient to ensure that economic adjustment mechanisms can kick in. In other words, Germany’s economic strength is likely to be persistent, toxic and quite possibly self-defeating in the long-run.

munchau@eurointelligence.com

 

 

- Margini imprese USA: non so la risposta alla domanda sulla provvenienza. I dati sono Bloomberg. Erano già, i margini, ai max storici prima della crisi, sono calati un poco ed ora sono ancora più su. A mio avviso denota solo l'accentuarsi di condizioni di monopolio in vari mercati ed il fatto che la capacità delle imprese di ridurre molto rapidamente i costi in situazioni di "crisi" è venuta aumentando decennio dopo decennio. Altro non saprei dire.

- Non capisco come i "profitti a breve termine" (tutti i profitti sono a breve: vengono calcolati trimestralmente) possano togliere risorse agli investimenti ... In ogni caso, ribadisco che quando hai potere di monopolio il far profitti NON implica espandere la capacità, anzi. Quello succede solo se c'è concorrenza e free entry, non in generale. Quando hai qualche potere di monopolio o oligopolio, magari i profitti li massimizzi proprio restringendo la capacità produttiva ed assumendo poco o niente. L'idea fantastica secondo cui l'economia americana è un'economia con free entry e concorrenza nei settori che contano è dovuta, io credo, ad un sostanziale abuso di sostanze allucinogene: FIRE, energia, automobili e paraggi, trasporto aereo, copyright industries, software, sanità, distribuzione: se le sommi avrai (vado a naso) il 70% del PIL USA e sono tutti settori monopolizzati.

- Siamo meno ricchi = sottoconsumo. Ma neanche per sogno! Se siamo meno ricchi è, anzitutto, perché PRODUCIAMO di meno, quindi abbiamo meno reddito. Non c'è nessun "sottoconsumo" (che più ci penso meno riesco a definirlo logicamente ...). Essere meno ricchi vuol dire che quello che sai fare vale meno di prima, gli altri non lo vogliono. A meno che con "sottoconsumo" non si intenda che Boldrin consuma meno di quello che vorrebbe consumare, il che è sempre corretto ...

- Idem per le contraddizioni, Claudio Napoleoni e le cattive letture ... dove sarebbe la contraddizione? Alla frontiera l'intensità capitalistica e tecnologica è maggiore e cresce, ci mancherebbe altro! Non vedo la "contraddizione" (quale?) né la caduta dei saggi di profitti (infatti, i margini sono alti). Vedo solo che per creare nuovi posti di lavoro ad alta produttività occorre investire parecchio ed avere la gente con il capitale umano adeguato. Se la gente che hai a disposizione, ossia i disoccupati, questo capitale umano adeguato non ce l'hanno non li assumi. Metti l'offerta di lavoro (la famosa "vacancy") magari, perché se ti capita l'ingegnere buono lo assumi e come e magari lo paghi extra. Ma se continuano a presentarsi ex-real estate agents che ti dicono che sono "in between jobs" tu li lasci in between jobs e non spendi 100mila dollarucci per vedere se, per caso, riescono a lavorare sulle molecole del nuovo composto che vorresti produrre. Marx, temo, non solo non c'entra nulla ma nemmeno capirebbe il problema ...

- Credo anche io, Enzo, che la stampa anglosassone stia impazzendo perché sono indebitati e gli si è rotto il giochetto. Devo dire però che il livello a cui FT e The Economist stanno arrivando con le loro prediche, il loro martellamento anti-tedesco e la continua richiesta di miracoli della politica è, davvero stucchevole.

- Sul ritorno del modello superfisso hanno già chiarito MarcoM e bzbiz, quindi non li ripeto. Ma QUELLO è il problema di fondo che la gente non sembra capire e su cui i politicanti alla ricerca di status da semidei marciano. L'idea che la ricchezza la crei spendendo quello che non hai, non producendola. E siccome solo il politico può spendere ciò che non ha (lui ha i marines, o carabinieri, alla fin fine, per appropriarsi in futuro delle tasse con cui pagare quello che ha già speso quando non ce l'aveva ...) allora tutti a chiedere al politico di spendere. Ed il politico, contento come una pasqua, a distribuire prebende a destra ed a manca! Questa profonda incapacità di capire il meccanismo dello scambio e della produzione efficiente mi sconvolge: se tu produci A ed io produco B e ce li scambiamo siamo entrambi più ricchi! Come si fa a non capirlo che è così che avviene la crescita economica?  E che perché questo accada occorre che (i) li produciamo A e B e, (ii), a te piaccia quello che produco io ed a me quello che produci tu!

- Un esempio ulteriore del modello supefisso e dell'incapacità di capire il meccanismo dello scambio sono frasi come:

 

La proposte sulla competitività, sulla riorganizzazione industriale, sulle innovazioni tecnologiche [...] Tutte queste cose aiutano nel "gioco a rubamazzetto" e risolvono i problemi "in un solo paese".

 

Una frase del genere vuol dire che non hai capito nulla, ma proprio nulla, di come funzionano i sistemi economici! Siamo SEMPRE in un solo paese, si chiama mondo! Come fa a crescere il "mondo", se non con le innovazioni e producendo? A chi cavolo esporta il "mondo"? A Marte?

Siccome non sono in grado (non ho il tempo) di riscrivere qui il manuale di base dello scambio e della divisione del lavoro, lascio perdere. Consiglio però la lettura del capitolo 3 di Tremonti, istruzioni per il disuso. Potrebbe aiutare, lo dico seriamente. Chi ha scritto la frase citata poc'anzi (ed i 250) forse non lo sa (sanno) ma ha (hanno) le STESSE ed IDENTICHE "teorie" economiche di Giulio Tremonti! IDENTICHE, sino all'ultima virgola.

- Come si fa a scrivere poi delle cose come

 

Comunque, sulla spesa obamiana, ci sarebbe da obiettare che se i salari sono aumentati nel settore sanitario, questi soldi li dovranno pur spendere (non sto richiamando la trickle down economics, poichè un infermiere dovrebbe avere un'alta propensione marginale al consumo).

 

e non rendersi conto di dire cose contradittorie???

1) Se il costo di un servizio, diciamo infermiera che ti fa la dialisi, cresce del 10% ed il servizio non cambia, l'unica cosa che è successa è che l'infermiera è più ricca e tu sei più povero! Se consuma di più lei (profumi di Chanel), consumi di meno tu (magliette di Lacoste). Cambia la composizione della domanda, non il livello! Hai solo redistribuito reddito da te a lei; il livello del medesimo, in media, è IDENTICO.

2) Se quel 10% in più non viene dalle tasche tue ma dal debito pubblico, senza invocare san Roberto Barro, chiediti: da dove vengono quei soldi in più? Chi li ha messi? È debito pubblico, quindi QUALCUNO li ha prestati! Se li ha prestati non li ha consumati, right? Idem come sopra, per quanto riguarda la domanda! Ora hai redistribuito reddito da chi, prima o poi, pagando le tasse pagherà quel debito all'infermiera in questione.

3) Se ci fosse il miracolo che tu sogni (il famoso moltiplicatore) SAREBBE ESATTAMENTE trickle down economics! In questo caso sono la stessa cosa! Lo so che dispiace scoprire, d'un botto, che si hanno le stesse teorie economiche di Geroge W. Bush e di Giulio Tremonti ma così è, piaccia o meno!

P.S. Non so chi sia questo storico citato da Rampini (Rampini è quello che scrive articoli su Repubblica riassumendo con tre giorni di ritardo e malamente i reports del NYTimes, per caso?). Cercando su Google, al nome che indichi si trova solo questo ... not a good starting point.

Volevo aggiungere due parole sui pericoli di mantenere i tassi a zero per lungo tempo facendo la promessa (che secondo il "modello" occorre fare la promessa, l'ha detto quel genio di Lars Svensson tanti anni fa dando consigli ai giapponesi ...) che tali rimarranno e che inflazioneremo costi quel che costi. Son cose dette e ridette anche qui su nFA, quindi era già un ripetersi. Ora vedo che Raghuram Rajan ha fatto suo l'argomento e, siccome ha più visibilità mediatica del sottoscritto, lo va ripetendo da pulpiti più visibili di nFA. Quindi mi astengo dal fare il papagallo di RR. Il problema comunque c'è. A mio avviso non è ancora dramatico, ma lo diventerà presto. Fra un po' saran due anni di tassi reali negativi e queste cose fanno danno, nella solita carsica maniera ...

Ah, i tassi a zero ed i soldi a go-go, poi, redistribuiscono anche alla grande e, contrariamente a ciò che sostengono i sinistri 250 ed i loro casposi guru che scrivono sul NYTimes, redistribuiscono dai poveri ai ricchi! Quando i tassi sono bassi ci cono soldi gratis per chi ha accesso ai mercati interbancari, non per tutti. Per il "proletariato" i tassi rimangono comunque alti; non so se l'avete notato questo piccolo dettaglio pratico, voi marxisti immaginari. Quindi, coloro che possono accedere a quelle forme di finanziamento hanno risorse in abbondanza con le quali investire (magari in commodities o in debito pubblico). Gli altri ciccia, si preparino a pagare le spese quando sarà l'ora ... i tassi bassi sono un trucco dei "padroni"! Meglio: sono il frutto del complotto dei bancari di Londra, NY, Tokyo, Frankfurt e financo Milano, per i quali le banche centrali lavorano: ma non vi hanno insegnato l'ABC del complottismo marxista-leninista? Svegliatevi una buona volta, o sinistri tonti!

Con buona pace di RR ci ha pensato Caballero (il mio riferimento era forse troppo obliquo ...) a trovare la nuova scusa per generare disastri sociali mentre si fanno i favori agli amici bancari e poi scaricare la colpa sul destino saragattiano - cinico e baro per i giovani che non sanno chi Saragat fosse e quanto bevesse.

Se nel 2001-04 era il savings glut ad essere responsabile del tutto - c'è il savings glut, diceva BB per conto di Greenspan, io cosa ci posso fare? Sono i cinesi che risparmiano troppo, non io che tengo i tassi bassi. La parola "sterilizzazione", nel 2001-04 era stata abolita? Sembra di sì. Che successe al saving glut nel 2004-07? Evaporò, dicono ...  - ora c'è la scarsità dei safe assets. Questa è la nuova teoria: tutto è dovuto al fatto che ci sono pochi safe assets rispetto alla domanda.

Basta pensarci un attimo ed è una variante del saving glut (per essercene "pochi", di safe assets, deve essercene "tanta", di domanda dei medesimi: ossia tanto risparmio che vuole low but safe returns ... o no ?), ed è altrettanto ridicola. Ma è una buona foglia di fico per poter dire: noi non c'entriamo, e continuare a far avere overnight money a costo zero agli amici bancari. Così va il mondo, like it or not.

Non mi convincono del tutto, invece, gli argomenti di Narayana, ma siccome sono seri ci vorrebbe un altro articolo solo per lui. E quello meglio scriverlo in inglese, che Narayana l'italiano non lo sa.

Ah, la speranza: non me ne volere, ma quando sento quella parola penso agli indovinelli di Turandot e ci vedo a noi, quelli che non sono nel giro buono, nei panni di Liù ...

 

Condivido tutto , solo un dubbio :

Se siamo meno ricchi è, anzitutto, perché PRODUCIAMO di meno, quindi abbiamo meno reddito. 

Potrebbe spiegarlo meglio.

Mi è chiaro che produzione -> reddito da lavoro -> consumo sono un loop di cui bisogna stabilire il punto di partenza

In una situazione "market oriented" ( si produce quello e quanto richiesto ) mi parrebbe che il punto di partenza sia la domanda.

No domanda , no produzione.

Poi , come descritto di seguito , la domanda potrebbe mancare per distribuzione dei redditi troppo sbilanciata ( poveri --> banchieri ) o per incapacità di produrre i beni richiesti o perché l'aumento di prezzo di beni primari ( esempio sanità ) riduce la capacità di spesa per altri beni.

Nel primo caso non saremmo globalmente ma solo selettivamente meno ricchi , nel secondo potremmo importare ( nessuno richiede beni che non esistono ) , nel terzo saremmo meno ricchi non in termini monetari ma in potere di acquisto

In ogni caso la produzione ristagnerebbe per mancanza di domanda e quindi il ciclo virtuoso non parte

Ma se il costo di un servizio è pagato con debito pubblico per quale motivo dovrei essere più povero? Per le future tasse? E se la spesa in deficit ha frenato la discesa del Pil rispetto al livello in cui si fosse trovato con bilancio in pareggio le due cose non si compensano?

Se il debito pubblico è finanziato da risparmio che c'era già ma che non era investito in nessun'altra attività perchè si è in un momento in cui non ci si fida a prestare soldi a privati dove sta lo spiazzamento e la "mera" redistribuzione? Non vi è un aumento del'attività? (Sempre che siano spesi in settori in cui l'offerta di lavoro sia elastica e quindi dove vi sono risorse inutilizzate)

Sulla competitività. Quindi se la Cina aumenta la sua competitività nei nostri confronti noi aumentiamo in ricchezza, produzione ed occupazione? Da quel che so io la Cina esporterà di più, noi importeremo di più ma produrremo di meno in quei settori in cui ci fanno concorrenza e se non ci si "rispecializza" o si recupera il gap dovremo prima o poi riequilibrare le partite correnti tagliando i salari reali, pena indebitarci con l'estero. Quindi la Cina (un solo paese) migliora, gli altri no. La disoccupazione totale non è diminuita ma si è redistribuita da un paese all'altro. Dov'è l'errore? I vantaggi comparati? Bene, troveremo vantaggi comparati in produzioni a minore valore aggiunto che i cinesi ci lasceranno simpaticamente.

Guarda, io ci provo una volta ancora però facciamo un patto di "discussione onesta". Se tu continui a far finta di non leggere quello che uno scrive e ad ignorare tranquillamente i vincoli di bilancio e le identità contabili, lasciamo stare.

Nell'ordine:

- Sei più povero di CERTO per le tasse future, il debito va pagato (con interessi, btw) e QUALCUNO deve pagarlo. Questo è un costo CERTO. Poi c'è il mitico guadagno da moltiplicatore ma quello è INCERTO assai. Infatti, a rigor di logica non c'è ma sono disposto ad ascoltare se mi spieghi come funziona che la crescita del prezzo relativo dei servizi dell'infermiera (che paghiamo un 10%) genera reddito futuro sufficiente a compensare per le tasse certe che occorre pagare!

- Vedi, se il risparmio non era investito in nulla vuol dire che la gente lo teneva nella forma di soldi sotto il materasso. Questo è il famoso esempio che i "keynesiani de noantri" amano, ma fanno confusione. Perché? Perché se il signor X ha deciso che lui non si fida di assolutamente nessuno e non investe proprio i suoi risparmi e li tiene nascosti sotto il matterasso allora ... non li investirà nemmeno nel debito pubblico addizionale! Ammesso e non concesso che il signor X esista, che è una rarità a me tuttora sconosciuta, spero non sia completamente demente. Se tiene i soldi sotto il materasso e non li investe in debito pubblico (che già esiste quando tu ed Obama aumentate lo stipendio degli infermieri) mi spieghi PERCHÈ dovrebbe decidere di acquistare debito pubblico dopo che fate l'annuncio che sprecherete i soldi pagando gli infermieri il 10% in più? Cos'è, scemo? Detto altrimenti: SE davvero ci sono risorse nascoste e non utilizzate, non verrano fuori dal buco per farsi utilizzare solo perché emetti debito addizionale, che in giro ce n'è abbastanza per convincerli di già! QUINDI il debito addizionale dovrai venderlo a persone che i loro risparmi già sono disposti ad investirli, convincendoli che il debito è meglio di quell'altro investimento che stanno facendo. Ma, in questa maniera, sposterai solo risorse dall'investimento 1 al 2 (pagare di più le infermiere) senza cambiare di un filo il livello della domanda aggregata. In altre parole, non c'è scampo: o c'è crowding out o c'è il vincolo isoperimetrico del vecchio e stizzoso Roberto. In either cases, non c'è il miracolo di san Gennaro.

- La seguente frase pure denota una confusione logica ulteriore, quindi la discuto separatamente:

 

(Sempre che siano spesi in settori in cui l'offerta di lavoro sia elastica e quindi dove vi sono risorse inutilizzate)

 

Confusa per due ragioni. L'offerta di quasi tutto è elastica, basta pagarla di PIU'! Ma allora vuol dire che i prezzi sono flessibili e se i prezzi sono flessibili NON C'È alcun maledetto moltiplicatore (non chiedermi la prova, c'è nel manuale di Barro, verso la fine). Seconda ragione: ti rendi conto che dici che ogni volta che l'offerta di qualcosa è elastica vuol dire che ci sono risorse inutilizzate? Questa è una follia! A parte che, credo, tu voglia dire "elastica" nel senso di "upward sloping" e non nel senso tecnico di "elasticità di prezzo  maggiore di uno" (correggimi se sbaglio, ma allora davvero stiamo andando a farci le canne), bisognerebbe tu facessi uno sforzo per capire che l'offerta di quasi tutto è upward sloping. Non so, il numero di quadri di Leonardo probabilmente no, ma chi lo sa? Per un prezzo alto abbastanza qualcuno si metterà a cercare in soffitta, no?

Insomma, se i soldi che prendi a prestito (e, dal punto precedente, togli all'investimento che sta avvenendo in X) li investi in Y (che di solito non si investono ma semplicemente si spendono, come i dati ed il mio esempio delle infermiere mostrano) devono avere un qualche effetto positivo BISOGNA che il loro rendimento sociale (occupazione, reddito, misuralo come vuoi) sia MAGGIORE in Y che in X. MA QUESTO COME LO SAI? Non sappiamo nemmeno da DOVE vengano questi soldi, sappiamo solo che li prendiamo a prestito da qualcuno a cui va bene di comprare debito pubblico invece di CD della Ford o patate o una nuova AUDI o un'opzione su S&P500 o che diavolonesoio!!! E come facciamo a sapere che usarli per pagare il 10% in più le infermiere d'America aumenta il benessere sociale? O anche fosse che assumiamo un "disoccupato" con quei soldi, come sappiamo che questo disoccupato ora occupato in Y produrrà di più dell'occupato ora disoccupato che avremmo impiegato con le stesse risorse nel settore X?

- Alla terza non rispondo proprio, scusami. Davvero, ci sono così tanti errori logici che dovrei star sveglio sino alle tre. E domani devo lavorare. Ripeto, davvero, comprati il libretto su Tremonti e leggi, con attenzione, il capitolo 3. Oppure, fatti il seguente esercizio storico: com'è che tra il 1946 ed il 1980 QUELLO STESSO MECCANISMO ha permesso a USA ed EU di crescere ed arricchirsi entrambi, mentre ora con i musi gialli non dovrebbe funzionare? Dimmi, perché? Solo perché voi e Tremonti ce l'avete con i musi gialli?

 

Tom Sargent weighs in


 

 

 

Sargent: Yes, I was at Princeton then and attended the macro seminar every week. Nobu, Chris, Alan and others also attended. There were interesting discussions of many aspects of the financial crisis. But the sense was surely not that modern macro needed to be reconstructed. On the contrary, seminar participants were in the business of using the tools of modern macro, especially rational expectations theorizing, to shed light on the financial crisis.

Rolnick: What was Paul Krugman’s opinion about those Princeton macro seminar presentations that advocated modern macro?

Sargent: He did not attend the macro seminar at Princeton when I was there.

Rolnick: Oh.

 

Sull'inglese è un mio limite, un paper lo leggo, un libro no (per questioni di tempo più che altro).

Comunque se i prezzi sono flessibili ed i salari pure i 250 non hanno tante argomentazioni a loro favore.

P.s.

I professori "alternativi" non esistono. Anche a Giurisprudenza si segue il metodo Samuelson, la sintesi neoclassica e la contrapposizione monetaristi neo-keynesiani, monetary targeting inflation targeting. Inoltre c'è una sola materia di economia.

Sullo statico e dinamico anche Lunghini sostiene che la teoria neoclassica sia una "teoria della scelta" e che sia "atemporale". Comunque smetto di citare, magari chi cito è proprio uno di quei professori "alternativi". 

 

 

anche Lunghini sostiene che la teoria neoclassica sia una "teoria della scelta" e che sia "[...] atemporale".

 

Appunto ... tu che evidenza hai che Lunghini, di fatto, sappia di cosa sta parlando? Tutta l'evidenza a mia disposizione suggerisce che non lo sa, ma se ne esiste di nuova son disposto a considerarla ...

Concordo con il post. Quello che proponi è sicuramente quello che l'Italia deve fare rapidamente.

Ho una domanda.

Se consideriamo il sistema economico occidentale nel suo insieme, se tutti aumentasserro la produttività e riducessero i costi, il risultato sarebbe che il prezzo dei beni scenderebbe,essi  dovrebbero divenire più "appetibili" e se ne dovrebbero vendere di più. Ma che succede se abbiamo raggiunto un punto dove ad es. l'utilità marginale derivante dal possesso di una sedia in più è nulla e quindi malgrado la discesa del suo prezzo non sono interessato al suo acquisto?

Credo che l'unico modo per far ripartire l'economia mondiale sia far consumare quante più persone possibile come degli occidentali, allora sicuramente ci sarebbe spazio per piazzare i nuovi beni prodotti visto che si parte da una condizione di scarso benessere.

Ma siamo sicuri che è disponibile una quantità tale di materie prime ed energia tale da permettere una produzione su questa scala?

 

Ps: sorry se ho scritto fesserie.

Buon punto. Per quella ragione la crescita e' intimamente legata all'innovazione ed ai nuovi prodotti.
Quando hai la casa piena di sedie che costano oramai pochissimo magari hai voglia di un tavolo, di un pc da metterci sopra, di uno schermo tv ... elenco cose inventate gia', per farmi capire.

Il limite sono i bisogni umani. Se, davvero, un giorno la gente dira' "ne ho abbastanza, sto bene cosi', sono soddisfatto e non voglio ulteriori beni e servizi di nessun tipo" allora smetteremo di crescere.

Ma sono disposto a scommettere che almeno una classe di beni e servizi la gente vorra' sempre: cure mediche per star meglio e vivere piu' a lungo, medicine e cose del genere. Quindi, in un giorno molto lontano che io non vedro', la maggioranza delle persone sara' occupata nei servizi sanitari e collegati.

P.S. Well, a ben pensarci c'e' un altro tipo di "servizio" che a mio avviso gli umani domanderanno sempre ed il cui costo non e' comprimibile: il sesso. Un mondo di medici, gigolo e puttane ci aspetta :-)

Complimenti davvero. Un articolone che non condivido completamente (un po' di "Keynes", insomma, proviamo a conservarlo...), ma comunque molto molto convincente in moltissime parti, soprattutto quando si parla della politica monetaria e, alla fine, delle incapacità nostrane. Magari meno acidità ogni tanto, ma, si sa, il carattere è il carattere:-))

In fondo, il succo è "ci vuole la 'politica industriale'" (che, ovvio, è il contrario del dirigismo economico...)

Sulla Germania e il suo virtuoso modello, e sulla Fiat, mi permetto di suggerire la lettura di questo polemico pezzetto... forse sarebbe il caso di rifletterci.

"Come nella recente manovra, che è riuscita ad aumentare sia la spesa che l’imposizione raccontando al popolo d’aver fatto l’opposto!"

Il buon Tremonti dice, da qualche parte, che calando il PIL e standing still l'imposizione fiscale è naturale che la pressione fiscale aumenti.

"L’effetto reale più immediato della crisi esplosa tra il 2007 ed il 2008 consiste nella distruzione di aziende e posti di lavoro, specialmente a medio-basso valore aggiunto"

Che dire allora del business tutto italiano delle macchine erogatrici di caffè/spuntini/bevande/piatti-pronti, ora che hanno popolato un sacco di "negozi ad una luce" (e senza vetrina... A Milano ce ne sono parecchi)? D'accordo che, come insegnano all'Esselunga, il cibo è un affare sicuro, ma questo può essere un business sostenibile oppure solo qualcosa di effimero e sprecato??

3: okkey, ne avrete discusso già a lungo in redazione, ma non potreste mettere un alert per i nuovi messaggi???

http://www.repubblica.it/economia/2010/09/16/news/confindustria_dati-7128931/?ref=HRER1-1

non so se siano attendibili, sono sicuramente spaventosi (non a caso non sono al centro del dibattito).

C'è limbarazzo della scelta tra

L’ammontare delle risorse sottratte ogni anno alle casse dello Stato - afferma il centro studi di Confindustria nel rapporto d’autunno sugli scenari economici - ha raggiunto cifre sbalorditive: 125 miliardi secondo i calcoli del Csc elaborati a giugno, che alla luce dei nuovi dati sul sommerso diffusi nel frattempo dall’Istat appaiono nettamente sottostimati».

oppure

ritiene tuttora più probabile uno scenario ispirato a un prudente ottimismo, dove i rischi al ribasso sono bilanciati da possibili sorprese positive

ma la palma spetta senz'altro a

Secondo Confindustria bisognerà aspettare il 2013 per vedere l’economia italiana tornare a correre come nel 2007, prima della crisi.

ricordo che la crescita del 2007 fu un roboante 1.5% (eurostat).

A quanto le quotazioni di una nuova manovra?