A furor di indignazione popolare è stato deciso di ritoccare verso l’alto i prezzi sul menù del ristorante del Senato, la celeberrima buvette. La vicenda è ben nota e la riassume qui Sergio Rizzo. Noi, invece di concludere con la solita sferzata agli sprechi cercheremo di imparare qualcosa, andando a colmare le lacune dei ragionamenti “parziali” (aggettivo perfettamente calzante, come vedremo) fatti da molti attori della politica e osservatori trovati sui tradizionali mezzi di informazione.
In breve, i prezzi del suddetto menù oscillavano tra il 10% e il 20% del prezzo di mercato. Il resto era sussidiato, tassando il contribuente. Rimosso (in parte) il sussidio sono successe quattro cose:
(1) Si è ridotto questo particolare costo della politica a carico del contribuente.
(2) Il ristorante del Senato si è semi-svuotato.
(3) La società che gestisce il ristorante del Senato ha iniziato a licenziare personale.
(4) I clienti fuggiti sono migrati verso i concorrenti circostanti.
Chi ha un po’ di esperienza delle cose di questo mondo non troverà di che stupirsi. Vorremmo solo sottolineare la lezione più ampia che questo caso insegna, e per questo ci vuole un po’ di pedanteria, perdonateci. Intanto azzardiamo una previsione, succederà una quinta cosa:
(5) I concorrenti circostanti inizieranno ad assumere personale.
Gli effetti (1), (2) e (3) sono effetti di “equilibrio parziale”, cioè relativi all’equilibrio di un particolare mercato (quello dei pasti dei senatori, nel caso dal quale stiamo traendo ispirazione) senza considerare l’equilibrio in altri mercati interconnessi a quello che si sta analizzando. Come vedremo qua sotto, ragionare in equilibrio parziale può essere pericoloso perchè è sempre possibile “tirare per la giacchetta” il modello che stiamo utilizzando (dimenticandoci di beni sostituti, di altri settori produttivi, di altri tipi di input, etc.). Sta ovviamente all’onestà dell’osservatore mettere in piazza tutte le assunzioni che si fanno: noi cercheremo di farlo al meglio!
Gli effetti (4) e (5), invece, sono effetti di equilibrio generale, cioè relativi all’equilibrio di tutti i mercati messi insieme. Questi sono più difficili da cogliere e proprio per questo, nel caso in cui vadano in una direzione indesiderata a chi sta cercando di fare un punto parziale, sono quelli più facili da spazzare sotto al tappeto dallo scaltro (ma intellettualmente disonesto) barricadero della buvette.
Gli effetti di equilibrio parziale sono dunque quelli più immediati da cogliere, e sono illustrati nella figura qui sotto. Il mercato dei pasti dei senatori è semplice da analizzare. Si tratta di un mercato in cui la domanda è piccola relativamente all’offerta e il mercato piuttosto concorrenziale (ci sono 315 senatori in Italia e oltre 3300 posti dove mangiare a Roma; d'accordo, alcuni sono lontani dal Senato, ma anche volendo star vicino c'è solo l'imbarazzo della scelta). Possiamo quindi rappresentare la domanda come una funzione decrescente del prezzo (pensatela come una distribuzione cumulata di disponibilità a pagare: alcuni senatori sono disposti a pagare molto per un pasto, altri un po’ meno, altri un po’ meno ancora e così via) e l’offerta come una funzione costante rispetto alla quantità (cioè i ristoranti, bar, etc. sono disposti a fornire a tutti i senatori che lo vogliono un pasto ad un dato prezzo determinato dalla tecnologia di produzione dei pasti; gli economisti chiamano questa funzione di offerta “infinitamente elastica”). Per non complicarci la vita immaginiamo che la quantità di pasti sia una variabile continua.
L’equilibrio di mercato è caratterizzato da un prezzo p* per unità di pasto e una quantità q* di pasti consumati dai senatori al prezzo p* per ogni unità di tempo, ad esempio un giorno.
Ora introduciamo un sussidio: un senatore può mangiare alla buvette del Senato pagando un prezzo s che è solo una frazione del prezzo di mercato. Nel caso specifico, era più o meno s = 0,2p*. Questo è il prezzo per la domanda. Il prezzo per l’offerta (quello che intascano i gestori della buvette) continua ad essere p*, il prezzo di mercato. Il risultato, come si vede nella figura, è che la domanda al prezzo s è pari a m, maggiore della domanda q* che si realizzerebbe al prezzo p*.
Assumiamo ora che ogni ristorante o bar produca pasti utilizzando solo lavoratori. Questo input è trasformato in output mediante la funzione di produzione q = an, dove a è la produttività di un lavoratore ed n il numero di lavoratori impiegati.
Il numero di lavoratori impiegati alla bouvette dopo l’introduzione del sussidio (pari a m/a) è maggiore del numero di lavoratori che sarebbero impiegati in assenza di sussidio (pari a q*/a). I salari dei lavoratori sono dati per la buvette: è troppo piccola per influenzarli. Il costo per il contribuente (in termini di maggiori tasse, non stiamo facendo analisi di benessere sociale qui ma il lettore specializzato sa già che il sussidio riduce anche il benessere sociale misurato dalla somma di surplus del consumatore e surplus del produttore) è pari all’area grigia, (p*-s)m: il Senato trasferisce p*-s (l’ammontare del sussidio) per ognuno degli m pasti consumati dai senatori in equilibrio.
Ora che il contribuente s’è fissato che l’area grigia va eliminata, il sussidio è stato ridotto. Per semplicità, immaginiamo che venga eliminato del tutto: l’equilibrio torna al punto (p*,q*): il contribuente non paga più l’80% del conto per il pranzo dei senatori, i senatori con più bassa disponibilità a pagare fuggono riducendo i pasti serviti ogni giorno dalla buvette della quantità m-q* e la buvette manda una lettera di licenziamento a (m-q*)/a dipendenti.
Tutto come da manuale, insomma. Eppure anche qui c’è chi sragiona. Per esempio, i sindacati prima chiedono che lo stato dimagrisca (e con esso i senatori mangiando a prezzi più elevati) e poi s’incazzano se questo dimagrimento conduce a licenziamenti.
Qual è (Saviano, tiè ;-P) la lezione che (ri)impariamo da questi effetti di equilibrio parziale? La lezione è la seguente: i sussidi, quando non correggono esternalità, distorcono la corretta allocazione delle risorse. I prezzi troppo bassi hanno generato domanda troppo alta per i beni e servizi prodotti dalla buvette e, corrispondentemente, occupazione sovradimensionata. È cioè possibile creare lavoro sussidiando particolari attività, ma il giorno che i sussidi scompaiono scompariranno anche quei posti di lavoro.
Il personale della buvette che ha ricevuto la lettera di licenziamento (cosa certamente spiacevole), insomma, non deve prendersela col cattivo mercato. Deve prendersela con la cattiva politica che ha creato posti di lavoro sussidiando i pasti dei senatori. Fosse stato per il cattivo mercato, i contribuenti non avrebbero offerto l’80% del costo del pasto ai senatori e questi lavoratori oggi avrebbero un altro lavoro, quello che adesso devono cercare.
Dove lo andranno a cercare? La buona notizia è che ci sono anche gli effetti di equilibrio generale. I senatori fuggiti mica si sono messi a fare il digiuno: sono migrati verso bar e ristoranti circostanti al Senato. Più probabilmente bar (pensiamo solo al pranzo, per semplicità) perchè la differenza tra i prezzi della buvette del Senato e dei ristoranti circostanti sarà adesso piuttosto bassa, quindi quelli disposti a pagare quei prezzi più elevati sono quelli che non se ne sono andati. Ne deduciamo che quelli che non vanno più alla buvette sono quelli che vogliono spendere, diciamo, non più di 10 euro per pranzo.
Aumenta la domanda per i bar circostanti, insomma. Questi ultimi, presumibilmente, assumeranno quindi nuovo personale. Ma i maggiori ricavi saranno sufficienti? Facciamo due conti. Come detto ci sono 315 senatori a Roma. Immaginiamo che prima andassero tutti alla bouvette. Dopo la rimozione del sussidio la metà se ne vanno, diciamo 157. Immaginiamo che questi si distribuiscano in modo uniforme tra i 9 bar più vicini al Senato (l’esempio è ad hoc, certo, ma andate avanti). Lì prenderanno un panino con insalatona, o un piatto di pasta, acqua, e il caffè. 10 euro, diciamo. Questi 167 spenderanno quindi 157×10 = 1570 euro al giorno, che per 4 giorni alla settimana fanno 1570 × 4 × 4 = 25000 euro al mese circa. Ovvero 2800 euro circa al mese in più per ciascuno dei 9 bar. Forse i 9 lavoratori della buvette che hanno ricevuto la lettera di licenziamento dovrebbero iniziare a cercare un nuovo lavoro proprio girato l’angolo del Senato.
Più realisticamente, c’è un lavoro là fuori da qualche parte per queste persone (forse nei ristoranti circostanti al Senato, forse in un ristorante in un’altra regione) ma adesso ci vuole tempo per cercarlo. Senza sussidio, non ci sarebbe oggi questa spiacevole riallocazione per queste persone e per le loro famiglie. Questa è l’altra lezione che impariamo, oltre al fatto che l'eliminazione del sussidio aumenta il benessere sociale misurato dalla somma di surplus del consumatore e del produttore. Prendere nota per quando arriveranno i dolori da riduzione dei sussidi alle imprese (incolperemo il cattivo mercato o la cattiva politica dei sussidi?), e per la prossima volta che qualcuno dirà che per risollevare l’Italia ci vuole una nuova, grande, politica industriale.
ESERCIZIO PER CASA: Se scriviamo “prezzo per un volo Milano-Roma” invece di “prezzo per ogni pasto” cosa viene in mente?
la chiosa finale è da applausi a scena aperta! complimenti.