Economia, un po' di numeri

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Prima delle vacanze

Mentre Matteo Renzi è impegnato fra un whatsapp e un instagram a incoraggiare gli atleti italiani alle olimpiadi di Rio, la ministra Boschi a spiegarci le mille ragioni per cui bisogna votare si alla riforma costituzionale (“votare no è irrispettoso verso il parlamento, il terrorismo si combatte con la riforma costituzionale, i veri partigiani votano si”, sarà 3 volte Natale e festa tutto il giorno), i volenterosi tecnici del MEF a risolvere in maniera fantasiosa e articolata l’ennesimo problema di sostenibilità dei conti della terza banca del Paese, ci avviciniamo a grandi passi verso un doppio appuntamento con la politica economica nazionale: l’aggiornamento del DEF e la Legge di stabilità, rinominata Legge di Bilancio.

 

Nel mese di febbraio scorso avevamo fatto qui un’analisi dello stato dei conti pubblici sulla base di quanto contenuto nel DEF 2015. Avevamo rilevato che le previsioni contenute nel documento di aprile e nell’aggiornamento del settembre successivo disegnavano uno scenario troppo ottimistico e avevano come base per le proiezioni una favorevole congiuntura internazionale.

Poco più di un anno fa il quadro generale era caratterizzato da positivi fattori esogeni: i) il prezzo del petrolio ai minimi ii) le misure espansive della BCE iii) il calo degli spread e la conseguente riduzione della spesa per interessi.

Dopo più di 12 mesi questi 3 fattori sono ancora presenti ma ad essi si sono aggiunti altri elementi che generano in prospettiva cupe preoccupazioni: la crescente instabilità geopolitica del vicino oriente, il fallito golpe turco, le elezioni americane, la diffusione di isolati, ma non meno pericolosi, fenomeni di terrorismo, la Brexit.

La crescita del Pil registrata a fine 2015, salutata con ovazioni dalla stampa mainstream e dal governo, nascondeva elementi di debolezza e non di forza. Ammesso pure che la si voglia definire ripresa e non effetto rimbalzo di un corpo in caduta che finalmente tocca il suolo, a generare quel +0,8% era stato l’aumento imponente delle scorte (+0,5%); senza questo aumento l’economia italiana, unica fra i Paesi UE, sarebbe ancora in stagnazione.

Oggi (secondo trimestre 2016) il quadro generale segna un rallentamento dell’economia globale (+0,3% nel secondo trimestre contro +0,6% del primo), con una diminuzione del reddito disponibile per consumi e, per quanto riguarda l’Italia, una preoccupante contrazione della produzione industriale (-0,4%), dei fatturati (-1.1%) e degli ordinativi (-2.8%). Fonte Istat Nota mensile Luglio

L’attesa di crescita per il 2016 era secondo il governo dell’1,2%.

Se la crescita congiunturale sin qui realizzata si confermasse allo 0,3% trimestrale, il Fondo Monetario Internazionale prevede un incremento del Prodotto interno lordo nel 2016 dell’1%.

Cosa significa quest’aggiustamento al ribasso dello 0,2%? Che gli obiettivi di riduzione del debito pubblico, fermo al 132,7%, con deflattore del Pil all’1%, verrebbero mancati, facendo venir meno le condizioni in base alle quali al governo Renzi è stata concessa flessibilità aggiuntiva sul fronte del deficit.

Per centrare gli obiettivi il governo sarebbe costretto a:

  1. Rinegoziarli con la Commissione Europea, circostanza già vista molte altre volte e che causa perdita di credibilità
  2. Apportare, finalmente, profondi tagli alla spesa pubblica e/o procedere ad ulteriori vendite di patrimonio pubblico (chiamarle privatizzazioni non ci sembra il caso)
  3. Rinunciare ai promessi tagli di Ires e Irpef
  4. Rinunciare alla rimodulazione delle pensioni per uscita anticipata dal mondo del lavoro che sembra costerà nel 2017 1,5 miliardi
  5. Applicare le clausole di salvaguardia contenute nelle Leggi di Stabilità 2015 e 2016 per le quali è stata a più riprese promessa la sterilizzazione.

In ordine ai punti 1. e 2.,  nelle raccomandazioni inviate al governo nel maggio scorso la Commissione rileva che gli obiettivi di ricavare lo 0,5% annuo per il periodo 2016-2018 appaiono molto ambiziosi e il percorso di avvicinamento ai target previsti dalla regola del debito è insufficiente. “Nel complesso – si legge - in base alla valutazione del programma di stabilità 2016 e tenuto conto delle previsioni di primavera 2016 della Commissione, il Consiglio è del parere che l'Italia rischi di non ottemperare alle disposizioni del patto di stabilità e crescita.”

Nelle raccomandazioni è anche confermato l’invito a spostare la tassazione dai fattori produttivi al patrimonio per ottenere un recupero di competitività delle imprese. Uno dei fattori principali della crescita (grafico 2), l’export, segna un rallentamento, seppur il saldo è ancora ancora in territorio positivo.

A meno di fattori straordinari lo stato dei conti pubblici italiani appare dunque in deterioramento. In definitiva le ipotesi di ripresa dell’economia stanno sempre più allontanandosi e il bilancio di questi anni di governo Renzi si mostra come una collezione di promesse non onorate (al netto di quelle che prevedono l’uso degli 80 euro) e di occasioni mancate.

Come il governo uscirà dal cul de sac nel quale si è cacciato è un mistero. E’ possibile che le tensioni geopolitiche e uno stato di salute non rassicurante dell’intera Europa facciano chiudere più di un occhio alla Commissione; il pericolo quindi non è un irrigidimento delle valutazioni da parte delle autorità comunitarie, bensì che il Paese non riesca ad uscire ancora per molti anni dalla spirale recessiva nella quale scelte di politica economica sbagliate e nodi strutturali mai affrontati, ad esempio il deficit di produttività, l’hanno gettato.

Torneremo ad occuparci dei conti pubblici a fine settembre, dopo la nota di aggiornamento al DEF. Dopo le domande senza risposta del post di febbraio, siamo curiosi di leggere quali altre promesse vi leggeremo.

 

 

 

 

 


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