Il primo dato rilevante è che stiamo andando o ben a una candidatura di Trump, se la maggioranza del GOP si arrende al "manifest destiny" di quest'uomo improbabile, o a una convention molto conflittuale e divisa, da cui svariate persone, a questo punto, hanno la possibilità di emergere come i candidati di un GOP comunque spaccato in vari pezzi. Per i dettagli dei diversi sentieri che portano a uno di questi due finali, rimandiamo a questa pagina, che viene regolarmente aggiornata. Gli altri due outcomes, Cruz o Kasich candidati via primarie, sono ora diventati impossibili.
Michele. Fra noi due sono io quello che, negli ultimi sei mesi, si è fatto maggiormente (di gran lunga, infatti) trasportare dal proprio wishful thinking argomentando che, nonostante le ragioni socio-economiche del "trumpismo" fossero reali e ben visibili, Trump alla fine non sarebbe stato il candidato GOP. Questa mia previsione-speranza si basava sul fatto che da un lato non ho alcuna voglia di votare Hillary Clinton e, dall'altro, che l'intera vita di Donald Trump è lì a testimoniare che un uomo del genere alla Casa Bianca sarebbe un rischio enorme non solo per gli USA ma per l'umanità intera. E non scherzo, se necessario posso elaborare. Ero convinto (devo dire che al 25% lo rimango tutt'ora) che l'elettorato USA fosse nella sua grande maggioranza "sgamato" a sufficienza per riconoscere DT per quello che è: un bluff, un mentitore, un avventuriero senza scrupoli, uno istrione corrotto e corruttore, psicologicamente non molto stabile e profondamente ignorante di questioni socio-economiche, un egocentrico che ha usato soldi e potere per appagare il proprio ego e nient'altro, insomma un BS moltiplicato per 10, o 100. Invece no, per una ragione o per l'altra (che forse dovremmo discutere) il bluff dura e si rafforza. Quindi la mia previsione-desiderio deve fare i conti con il fatto che 7,5 milioni di elettori GOP hanno, sinora, dato il loro voto a DT. Vale però la pena di notare che più di 12 milioni di elettori dello stesso tipo hanno votato contro DT (sin dall'inizio le primarie GOP sono state, per scelta di DT, un referendum pro o contro lui). E, ultimo pezzo di carne al fuoco, aggiungo anche che i due front runnerscontinuano a rimanere invisi ad una grande percentuale di cittadini USA, una situazione per nulla usuale.
Francesco. Sono sostanzialemnte d'accordo con te. Poco male se poi, un giorno, mi dovrò smentire (del resto che noia quei tipi sempre coerenti: a me piace - piuttosto - essere assortito, semmai ben assortito) ma i risultati di martedì 15/3, di fatto, non cambiano il mio giudizio complessivo su Trump e sulla situazione generale di queste primarie americane. Semmai l'aggravano. Dunque, Trump è sempre più in dirittura d'arrivo, il campo dei contendenti tra i repubblicani si assottiglia - dacché Rubio, a seguito della "batosta" in casa, si è ritirato - e il partito è in una crisi d'identità mai vissuta in precedenza. Ma davvero vogliono puntare su Kasich, o su Cruz? A proposito, oggi alcuni "maggiorenti" del partito si sono riuniti per formare un fronte comune anti-Trump:
... a group of conservative leaders redoubled their efforts to stop Trump - as POLITICO's Katie Glueck, Shane Goldmacher and Nolan D. McCaskill report a mega group of conservative leaders aimed at stopping DONALD TRUMP met today and "called for the formation of a GOP 'unity ticket' to stop Donald Trump from becoming the 2016 Republican nominee." This group "huddled on the second floor of the Army and Navy Club in downtown Washington, D.C. The agenda was "twofold: first, trying to block Trump's nomination and second, if that should fail, mounting a third-party bid." http://politi.co/1pwZICe. And if action isn't enough, here's former George W. Bush speechwriter Michael Gerson going the myopic route: He says the GOP is already staring into the abyss: http://politi.co/1Z6ozIM" [Nota a margine, questa l'ha copiata su Twitter l'ineffabile Rampini qualche giorno fa :) MB]
Insomma sono tutti segnali che indicano quanto oggi non sia più azzardato parlare di Trump quale fenomeno, inteso come questione politica reale nel contesto americano. Anzi, è interessante notare come tutti gli appelli pubblici, le varie riunioni più o meno segrete di politici, di manager e affini per arginare l'avanzata del newyorkese, le manifestazioni contro e le risse ai suoi dibattiti pubblici, siano servite - almeno fin ora - a ben poco. Azzardo una previsione: Trump potrebbe aumentare il numero degli endorsement da parte di qualche personaggio politico di spicco (già lo ha incassato da Giuliani) o da parte di esponenti della cultura, come è già successo con la storica femminista Camille Paglia. È la legge dei "bastian contrari", ci sono sempre in ogni società. Fa un po' "figo" stare dalla parte sbagliata. È "cool" puntare a sfasciare il sistema. Lo stesso che ti ha permesso di avere voce in capitolo. Ma altra cosa è credere che Trump possa diventare presidente degli Stati Uniti. A meno che, durante la seconda fase della campagna elettorale, nella sua strategia non avvenga una virata importante. Ma a tal punto, cui prodest?
Michele. Beh, a lui prodest. DT, a questo punto, sta chiaramente puntando a vincere e, in questa corsa, il premio per la vittoria è gigantesco. Fare il presidente degli USA non è esattamente una soddisfazione da poco per uno che al potere ci tiene. Quindi virerà, nel caso dovesse profilarsi per lui una vittoria alla convention repubblicana. Ma, sino ad allora, l'immagine dell'insurgent contro i poteri stabiliti paga molto di più. A questo, infatti, devono fare attenzione i maggiorenti del GOP: per paradossale che possa sembrare e in analogia a BS, DT è riuscito a rappresentarsi come "uno del popolo" e la "voce di chi non ha voce", dell'America tradita da tutti questi immigrati d'ogni tipo e colore e da tutte queste minoranze mezzo finocchie, mezzo vegane, mezzo intellettualoidi, che parlano con accenti strani e sono diventate quasi maggioranza nel "nostro" paese. Ma questi, ripeto, sono una minoranza persino fra gli elettori repubblicani. La strada di DT verso la presidenza richiede che lui riesca a convincere due altri gruppi sociali ed ideologici a turarsi il naso. Il primo gruppo è composto di quell'elettorato GOP "moderato" che ora non ha più Rubio o Bush e che deve decidere se puntare su Kasich - a very very long shot, però una persona convincente - o turarsi il naso e salire sul carro del vincitore. Perché se una fetta sostanziale degli orfani di Rubio e Bush non sale sul carro di DT, arriveremo ad una convention divisa in cui lui dovrà cercare di comprarsi Cruz offrendoglii la vice-presidenza e un ticket Trump-Cruz è, francamente, una delle cose più improbabili che io riesca a pensare.
Francesco. Ora - per ora - Trump è sostanzialmente un formidabile strumento attraverso il quale esprimere il dissenso e il malessere per notevoli fasce di popolazione deluse da Obama sul piano politico, e frustrate da politiche economico-fiscali che premiano, comunque, i soliti ricchi. Qui in Florida, per esempio, una intera generazione di cubani (i più giovani piuttosto, sperano di tornare in patria per fare affari) ha votato Trump per mandare un messaggio di forte disappunto a Obama: con i dittatori non si tratta. Rubio evidentemente era un messaggero troppo debole. Ma da qui a votare Trump ... Anche di questo - sulla scelta di candidati opachi, senza carisma e poco convincenti - si dovrà interrogare il partito repubblicano se non vuole diventare lo spazio dove si concentrano soltanto "folgorati" dalla religione (una cosa é coltivare una certa religiosità della vita, un'altra acquisirne i precetti per trasferirli nella politica), protezionisti ottusi e frustrati di ogni genere. Il partito repubblicano che conosco (che ricordo) era un'altra cosa, in economia, nel senso della libertà d'impresa, eccetera. Che oggi sia il partito di Trump e Cruz fa, effettivamente, una certa impressione ma è anche vero che io negli USA ci vivo solo da quest'anno quindi l'evoluzione "post Reagan" non l'ho potuta seguire e tu mi racconti che a questa radicalizzazione si è arrivati passo passo in un processo che dura dal 1992, ossia dalla fine della presidenza di Bush Senior.
Michele. Il fenomeno di distacco che descrivi è in parte interno al GOP ed in parte complessivo. Un fatto rilevante, per esempio, è che una fetta ampia dell'elettorato di Sanders voterebbe Trump, invece di Clinton, se Sanders non dovesse vincere le primarie, come sembra oramai ovvio. E se Trump è riuscito a diventare la sorpresa di cui tutti i media parlano, perché ha una maggioranza relativa dei voti e quindi la possibilità di essere il candidato, Sanders è altrettanto una sorpresa in termini di supporto popolare. La frequenza con cui il partito democratico usa i caucuses non mi permette un calcolo esatto di quanti siano gli elettori democratici che hanno sino ad ora votato per Bernie Sanders, ma la mia stima neanche tanto approssimata mi dice che siamo attorno a cifre simili a quelle di Trump, ossia tra i 7 e gli 8 milioni persone. E quando guardo la mappa degli USA noto che i 9 stati in cui Bernie ha vinto sino ad ora (Hillary ne ha vinti 18) sono tutti al nord, ossia stati "bianchi", in termini di popolazione. E questo vale in particolare per la sua vittoria in Michigan, di poco ma vittoria, che ha sorpreso tutti. Michigan, guarda caso, uno stato "vittima" della globalizzazione e delle linee di crescita che l'economia USA ha seguito negli ultimi trent'anni.
Francesco. D'altro canto - su questo insisto, anche se potrà sembrare folle o fantasioso - io credo che Hilary Clinton, di fatto, sia diventata il candidato di sintesi di mondi solo sulla carta distanti: quello liberal e borghese (e imprenditoriale) e quello dei cosiddetti "moderati" repubblicani. Se le "mezze vittorie" di Sanders la obbligheranno in seguito a strizzare l'occhio a sinistra, su questioni fondamentali Hilary, a mio modo di vedere, è molto più a "destra" di Obama e non ne prenderà l'intera ereditá. In politica estera, per esempio, già si può ben immaginare.
Ma se Trump - come io ritengo - é più effetto che causa, c'è ancora da capire bene quale siano i meccanismi che lo hanno prodotto. Certo, mi pare ci sia una diffusa corresponsabilità che va dagli errori di Bush, passa per Omama, fino ad arrivare all'indulgenza del partito Repubblicano nel far prendere la leadership a certi personaggi del tea Party e della destra che definirei bislacca. Sopratutto Trump è nato e trionfa a causa di mancanza di leadership, che anche da questa parte dell'Oceano si sta facendo grave al punto che, ad uno sguardo d'assieme, sembra che l'intera politica Occidentale sia diventata una specie di "B-movie" pieno di comparse e caratteristi incapaci di dare non solo una buona interpretazione, ma un senso compiuto alla storia.
La rottura del patto fiduciario tra eletti ed elettori e, appunto, la carenza di leadership coraggiose e capaci (soprattutto non prigioniere di un consenso continuo e su ogni scelta), temo ci stiano portando, non a delle dittature (gli anti corpi ci sono e forse tengono ancora), ma a una nuova forma di democrazia che chiamerei (almeno, al momento) post-democrazia. C'è, in buona parte dell'Occidente, una fame malata - quasi bulimica - di uomini che sembrano forti e che diano l'impressione (questa è sufficiente) di saper risolvere i vari conflitti sociali in campo, senza mediazioni. C'è molto risentimento tra i blocchi sociali (o tra quel che ne é rimasto) e tra generazioni, c'è molta frustrazione dovuta al gap sempre più ampio tra ricchi e poveri, diminuendo di peso la cerniera sociale della classe media.
E non è affatto consolante che l'America somigli all'Europa.
Francesco cosa ti fa pensare che il partito Repubblicano abbia avuto o abbia qualsiasi possibilità di scegliersi candidati migliori, o di contrastare l'ascesa di Trump? Quali politiche interne avrebbe potuto intraprendere? Le forze che hanno messo in gioco questi personaggi mi sembrano dominare qualsiasi giochetto di partito.
Sostanzialmente condivido l'opinione di Andrea che il partito repubblicano non poteva far molto per contrastare l'ascesa di Trump. Da un lato questo è la conseguenza di lungo periodo della ''Southern strategy'' iniziata con Nixon e continuata con Reagan, dall'altro i partiti in amerika sono entità molto meno strutturate che in Europa.
Però una cosa sì che poteva essere fatta, ed era cercare un sistema elettorale meno assurdo e forsennato di quello che risulta dalla combinazione delle regole elettorali dei differenti stati. Trump rischia di raggiungere la maggioranza dei delegati senza essere nemmeno lontanamente vicino alla maggioranza dei voti, grazie al fatto che gli stati ''proporzionali'' non sono veramente proporzionali, con soglie minime che possono arrivare al 20% dei voti. Bastava, in effetti, copiare le regole del partito democratico.