Evgenij Evtušenko - Elegia di New York

/ Articolo / Evgenij Evtušenko - Elegia di New York
  • Condividi

Sto rileggendo un vecchio libro della collana Lo Specchio della vecchia Arnoldo Mondadori Editore (1974). Il libro, di Evgenij Evtušenko, si intitola “Le betulle nane”. Il testo che ho scelto di ricopiare è Elegia di New York.

buona lettura.

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

 

 

*

Elegia di New York

Di notte al Central Park, intirizzito,

senza un padrone,

sottovoce ho parlato con l’America.

Stanchi eravamo entrambi di discorsi.

 

 

Ho parlato all’America coi passi.

Non mentono alla terra i passi stanchi.

Essa mi rispondeva coi cerchi

di foglie morte

cadute nello stagno.

 

 

E la neve sedeva imbarazzata

sui bar che prolungavano baldorie,

sopra le vene rigonfie del neon,

della città assonnata sulla fronte,

su un candidato dal sorriso vigile

che aspirava ad entrare ad ogni costo

dove non mi ricordo, ad ogni modo

in qualche posto, ma alla neve dove

non importava affatto.

 

 

E nel parco cadeva senza furia

e, come sopra zattere screziate,

cautamente scendevano i cristalli

su foglie che affogavano pian piano,

su un palloncino rosa e tremolante

attaccato da mano di fanciullo

contro il tronco di un pino con il chewing-gum,

che strusciava la guancia sonnolento

contro le stelle,

su un guanto scordato,

sullo zoo, liberatosi dagli ospiti,

su una panchina con la scritta mesta:

“Riservato ai bambini

smarriti”

 

 

Con smarrimento i cani,

leccavano la neve,

presso vasi di ghisa in mezzo agli alberi

che le foreste avevano smarrito,

guizzavano scoiattoli

con le perline smarrite degli occhi.

 

 

Tenendo dentro a sé, gelosi, cupi,

una domanda silenziosa, un mònito,

giacevano lastroni di granito,

figli smarriti di antiche montagne.

 

 

Masticavano zebre oltre la gabbia

smarrendo il loro sguardo nelle tenebre.

Trichechi alzando il muso dalla vasca

prendevano coi baffi i fiocchi al volo.

 

 

Con tutta la pietà a loro permessa

- figli smarriti dell’oceano – amari,

nebulosi guardavano i trichechi

- figli smarriti della terra – gli uomini.

 

 

Ero solo. Oltre il folto in lontananza,

quasi pupilla fissa della notte,

innanzi a un volto invisibile appesa,

rossa, una lucciola di sigaretta

nuotava.

 

 

Laggiù, fuggendo la città confusa,

lungo gli scogli e le macchie dell’edera,

invisibile andava

lo smarrimento di qualcuno in cerca

di smarrimento simile.

.

Sotto la nevicata muta e bianca

congiungendomi a sé nel suo mistero

vicino a me l’America sedeva

nel posto riservato

ai bambini smarriti.

*

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

Indietro