Niente links alle fonti, richiederebbero troppo tempo.
- Crescita, 1994-2007. La più grande crescita della Spagna democratica (dal 1960 al 1972 crebbe ancor di più, ma veniva dal medioevo), ha generato 8 milioni di nuovi occupati (da 13M a 21M circa), con una crescita media del reddito pro-capite di poco inferiore al 2.0% annuo.
- La crescita dell'occupazione è stata dominata dal lavoro scarsamente produttivo ma non è limitabile ad esso. A spanne: degli 8 milioni di nuovi occupati, circa metà erano meno produttivi della media precedente. Il resto era in media o poco sopra. Risultato: durante questi anni la produttività del lavoro spagnolo è cresciuta pochissimo, a volte niente, e lo stesso vale per il salario medio o marginale. Lo stesso non vale, ovviamente, per gli inframarginali ma, quando si guarda alla media, si vede un paese dove cresce l'occupazione ma non cresce la produttività.
- La dipendenza dal ladrillo (mattone). Sostanziale; se determinante o meno lo diranno i prossimi anni. La mia opinione è no, ossia che la Spagna sarebbe cresciuta anche senza il boom delle costruzioni (e del turismo) e che possa crescere di nuovo anche ora che quei due settori sono maturi. Chi sostiene che questa crescita è stata "falsata" o "dannosa", cerca di fare la storia economica di un paese inventandosi condizioni iniziali che non aveva e non poteva avere. La crescita economica si fa con i fattori di produzione a disposizione, non con quelli che sarebbe bello avere. La Spagna doveva crescere anche attraverso sole e mattone, perché quelli aveva ed una forza lavoro di ex contadini appena istruiti. Non si arriva alla frontiera tecnologica se non risalendo la scaletta tecnologica; magari si riesce a saltare qualche scalino, ma saltarne tanti è impossibile.
Il sole ed il mattone hanno determinato circa un terzo della crescita totale: questo non vuol dire che fosse tutta aria fresca, il sole e le spiaggie in Spagna ci sono e le case, in buona parte, ci volevano (vedi sotto). A Rimini e Jesolo vivono ancora bene di turismo, sessant'anni dopo la sua esplosione. Il settore delle costruzioni, inteso in senso ampio, ha generato circa uno e mezzo dei due milioni e passa di nuovi disoccupati che la Spagna è venuta accumulando negli ultimi due anni e qualcosa. L'aggiustamento, per così chiamarlo, è stato quindi brutalmente concentrato su quel settore. D'altro lato, 6 degli 8 milioni di nuovi posti di lavoro creati nel periodo 1994-2007 sono ancora lì, a prova che non si trattava di una crescita effimera. Però era una crescita "povera", determinata dalle condizioni iniziali ed incapace di "spiccare il volo". Il problema della Spagna, simile a quello dell'Italia, è come creare aumenti di produttività generalizzati e sostenuti.
- La bolla immobiliare. La grande crescita nell'offerta di case era, sino al 2005, perfettamente giustificata. Nel giro di dieci anni circa la Spagna ha aggiunto quasi 6 milioni di nuovi abitanti alla sua popolazione, ai quali vanno aggiunte svariate centinaia di migliaia di anziani del nord Europa (Germania ed Inghilterra in particolare) che hanno deciso di passare sulle coste spagnole fette sostanziali dell'anno e lì hanno comprato casa. Questi erano quasi tutti adulti, per cui stiamo parlando di circa 3 milioni di nuove famiglie. Se si fanno i calcoli, questo copre l'offerta addizionale di case sino a tutto il 2005. La bolla appare chiaramente nel 2006 e continua per tutto il 2007, da cui il circa un milione di case invendute sul mercato spagnolo a fine 2009. Di quanto sono sopravalutate le case spagnole? La situazione è molto a macchia di leopardo, come peraltro anche negli USA ma forse anche di più. Nei centri delle grandi città, di quasi niente: i prezzi di Madrid e Barcelona sono tuttora, ceteris paribus, inferiori a quelli di Roma e Milano. In alcune speculazioni della costa sud-est o in alcune "urbanizaciones" del sud e sud-est, anche del 50%, o più.
- Le cause e le vittime della bolla. La causa principale non sembra molto diversa da quella USA: i tassi reali in Spagna sono rimasti pericolosamente bassi anche dopo il 2003, perché l'inflazione spagnola si è mantenuta, sino al 2008, sostanzialmente superiore all'europea. L'aumento dei tassi nominali, praticato dalla BCE, ha avuto scarso impatto; contraddizioni di una politica monetaria uniforme in un'area altamente eterogenea. I tassi sono stati ridicolmente bassi a partire dal 2001: anni di successi hanno alimentato un'euforia che, in certe zone, sembra tuttora sospesa nell'aria come l'alcol dopo una sbornia. A differenza della Fed, però, il Banco de España ha fatto abbastanza bene il suo lavoro, laddove ha potuto. Grazie soprattutto ad una normativa (dettagli disponibili su richiesta) introdotta dal precedente governatore (Jaime Caruana, ora al BIS) le banche spagnole sono state tenute sotto attento controllo ed escono dalla crisi tanto solide quanto vi erano entrate, certamente anche di più in termini relativi.
Non vale lo stesso per le casse di risparmio, pubbliche. Anzi più che pubbliche: controllate direttamente dai politici. In Spagna si parla esplicitamente di "cajas del PSOE, cajas del PP, eccetera". Le casse di risparmio sono l'epicentro della crisi spagnola. Protette e sospinte dal potere politico attraverso "sussidi impliciti" che hanno loro permesso d'essere particolarmente aggressive, sono cresciute moltissimo dalla metà degli anni '90. Le cajas sono circa una cinquantina (48, se ricordo bene) ed oggi controllano più della metà del risparmio spagnolo. Sono ovviamente una grande potenza ma almeno una ogni cinque è di fatto fallita. Da quanto ne sappiamo le due più grandi, Caja Madrid e Caixa, non sono tanto mal ridotte come le altre, ma tutto è incerto perché è oramai plateale che le cajas stanno facendo gigantesche operazioni di abbellimento dei propri conti. Luis Garicano sta documentando questi fatti con grande tenacia sul blog nadaesgratis, quindi rimando lì coloro che vogliono maggiori dettagli.
- L'italianizzazione. I problemi cominciano qui ed hanno un solo e semplice nome: la politica che non è all'altezza della situazione, il populismo, la negazione della necessità di drastiche riforme. Esattamente come in Italia, dalla seconda metà degli anni '70 in poi. Le cajas sono un perfetto esempio: il Banco de España dovrebbe intervenire su quella decina che sono probabilmente cotte e forzare tutte le altre a presentare conti trasparenti. Sembrava volerlo fare, due anni fa quando la crisi si fece evidente, ma poi ha tirato i remi in barca perché il potere politico ha detto "ferma tutto". Quest'ultimo dovrebbe privatizzarle, attuando in modo corretto e completo il processo che Draghi (se non erro) aveva disegnato per le italiane (e che, pur nella sua parziale applicazione, ha prodotto una situazione molto migliore della spagnola). Nè PSOE, né PP vogliono sentir ragioni (ultimamente quest'ultimo sembra considerare la cosa un pelo di più, ma non sono ottimista). La strategia attuale è "dare sussidi a quelle che che si fondono" ...
Questo atteggiamento da struzzo è generalizzato, purtroppo, e dura da un decennio. In Spagna (ma un discorso analogo varrebbe per l'Italia) ogni grande ondata di crescita (1959-72, 1985-93, 1994-2007) è stata il risultato di grandi riforme precedenti; riforme sempre dello stesso tipo: più apertura, più mercato, più competizione, meno stato, più meritocrazia. A partire del 2000, sedendosi sugli allori di "España va bien" e troppo occupato da 9/11 a partire dall'anno dopo, Aznar ha smesso di riformare. Zapatero, il vincitore per caso, ha fatto lo stesso, anzi ha trasformato il "far nulla parlando a vanvera" in arte. Per tre anni il governo di ZP ha negato che la Spagna avesse smesso di crescere, quando i dati ufficiali dicevano l'esatto opposto: è riuscito ad essere rieletto nel mezzo d'una recessione fulminante! Ora continua ad annunciare riforme che non intraprende ed a far trucchi con i conti pubblici.
L'uomo funziona come BS: l'idea è buona se e solo se le inchieste d'opinione dicono che porta voti, altrimenti non si fa; i ministri si scelgono in base al fatto che siano amebe che dicono sempre di sì oppure, se donne, che siano anche magre e bionde (no: non se le porta a letto prima, a quel livello la Spagna non è ancora arrivata); la politica economica è una questione di mostrarsi ottimisti ed accusare la cospirazione internazionale (sì, ci prova regolarmente anche ZP) ... risultato: in Spagna son dieci anni che non si riforma nulla, fatta eccezione per la legge matrimoniale. Dall'inizio della crisi non è stato preso un provvedimento strutturale che sia uno, solo spesa "keynesiana" e, ultimamente, l'aumento dell'IVA! Ah, ZP ha anche approvato una "Ley de Economia Sostenible" che sembra scritta da un Voltremont al soldo di Iberdrola ed Abengoa.
- Cosa ci sarebbe da riformare, oltre alla cajas? Le quattro grandi palle di cemento ai piedi dell'economia spagnola sono:
(1) Scuola ed università: massificata più dell'italiana ma mediamente stracciona peggio dell'italiana perché ha ancora meno "eccezioni". Va rapidamente e drasticamente "californizzata", le precondizioni ci sono.
(2) Sistema di finanziamento delle autonomie: ha funzionato per vent'anni perché si riformava continuamente in direzione federale. Ora è paralizzato da più di un decennio e si è avviato un meccanismo italico di "succhiare" alla tetta centrale, senza dover mai vedere il conto.
(3) Mercato del lavoro, totalmente dualistico. Rigidissima la parte controllata dai sindacati, priva d'ogni protezione e con un sistema che incentiva a licenziare dopo tre anni il resto. Il nemico qui è il sindacato, UGT molto più di CC.OO., diventato difensore di privilegi e nulla più. La loro CEOE è come la Confindustria: danno aria alla bocca, poi corrono a chiedere sussidi a Miguel Sebastian e Cristina Garmendia ...
(4) Pensioni. Non generose come le italiane, ma quasi. Problemi simili: non hanno lo scandalo dell'invalidità ma, in compenso, non hanno nemmeno fatto la riforma finta fatta da Dini nel 1995, quella che non si attua mai.
-Defaults e PIIGS. No, la situazione della finanza pubblica spagnola NON è neanche lontanamente quella dell'Italia o della Grecia. Probabilmente è paragonabile all'irlandese, solo che gli irlandesi hanno implementato tagli molto più drastici e decisi. Di per se, ossia su basi puramente economiche, non vedo alcun rischio di default spagnolo. È vero, il debito spagnolo è molto a breve ed è vero che il crollo delle transazioni immobiliari ha fatto sparire dalle entrate fiscali qualcosa come il 6% del PIL (sì, del PIL!) in un anno in cui il PIL stesso è diminuito "solo" di circa il 4% ... Ma il debito spagnolo raggiungerà il 50% del PIL quest'anno, quindi non è confrontabile a quello di Italia e Grecia. La loro caduta del PIL è inferiore alla nostra (-4% versus -6%) e il loro tasso di occupazione è ancora maggiore del nostro, nonostante il salto nel numero dei disoccupati (in Italia la popolazione attiva è bassissima e noi facciamo trucchi con la CIG). In termini di ripresa, rebus sic stantibus, la Spagna ha le stesse prospettive dell'Italia: una finta ripresa con poca crescita.
Il debito spagnolo, quindi, è certamente più sostenibile di quello italiano. Il deficit fiscale di quest'anno - 11% del PIL, da attribuirsi per almeno la metà alle dissennate politiche "keynesiane" di ZP - si può facilmente tagliare, se si vuole. Qui sta la parola chiave: se si vuole.
La tentazione, lo ripeto, è di imitare l'Italia che a partire dalla prima crisi del petrolio e poi per tutti gli anni '80 fece finta che tutto andava bene indebitandosi e spendendo, postponendo le riforme necessarie sino a far incancrenire la situazione ed arrivare poi alla paralisi di questi anni, in cui più niente sembra riformabile. La classe politica spagnola, quella socialista al governo in particolare, è chiaramente tentata di fare lo stesso e lo sta facendo dal 2006-07 almeno, con i risultati che vediamo. Nel PP vi sono due anime: la aznariana, pentita degli errori fatti tra il 2000 ed il 2004, vuole rigore, riforme, liberismo slanciato, ma è minoritaria, piena di contraddizioni, a volte velleitaria altre strumentale e sgradevole (leggi, Esperanza Aguirre) mentre "los marianistas" (seguaci di Mariano Rajoy), il ventre molle e governativo del partito, vuole accomodare, smussare, glissare, anche perché uno dei suoi punti di forza (Valencia) è dentro al ladrillo e simili disastri sino al collo. Comune ai due partiti è una bassa qualità del personale politico. La corruzione di casta, in Spagna, è anni luce lontana dall'italiana, anzi direi che è bassissima anche a livello assoluto. Ma la qualità del personale politico è mediamente infima, quasi come quella dell'italiano.
Quello che, a mio avviso, impedirà comunque di tirarla lunga come l'Italia è la congiuntura internazionale. L'Italia degli anni '80 trasse vantaggio da una situazione mondiale che iniziava a diventare virtuosa e che le permise di galleggiare a traino, indebitandosi per quasi vent'anni. Questa opzione non è disponibile per la Spagna e, dopo la botta dei subprime, l'indebitamento facile è passato di moda per almeno un decennio. Quindi l'aggiustamento fiscale va fatto entro un anno o due al più, nel senso che deve essere completato per le prossime elezioni oppure i mercati finanziari massacreranno il debito spagnolo. Ora c'è un periodo di bonaccia, in attesa di vedere cosa succede con il debito greco, ma in assenza di azioni concrete, la tempesta tornerà: non c'è FME che possa garantire il debito spagnolo.
ZP lo sa e la cosa lo fa disperare (non esagero), ragione per cui sta facendo l'impossibile per attirare il PP nella trappola del "pacto de solidaridad", in modo da renderlo corresponsabile di quanto il governo scelga di fare. Il PP si nega, e il balletto mediatico continua da mesi.
Insomma, politics as usual while the ship sinks. Se la Spagna vuole farsi molto male basta che la sua società civile permetta a quella politica di italianizzarsi. Italianizzarsi è facile e anche piacevole all'inizio. I cazzi amari arrivano vent'anni dopo.
Grazie per la spiegazione.
Una domanda: quanto incide il lavoro nero?
Un'osservazione: la spagna e' cmq meglio messa poiche' mezzo paese non e' ostaggio della mafia.
Parecchio. Ad occhio e croce come nel Nord Italia. Il Sud Italia non lo so più giudicare, non lo conosco più.
Si', la criminalità organizzata non controlla 1/3 del paese, la differenza si vede.