In un anticipo di vacanza in Sardegna - ad agosto me ne starò in ufficio a fare la guardia al bidone - sono passato in un paio di siti archeologici. Il primo è il nuraghe di Santu Antine, per arrivarci basta una breve deviazione dalla Carlo Felice, la statale che congiunge Cagliari a Porto Torres. Per 5 euro ho comprato il biglietto di ingresso (3 euro) e l'accompagnamento di una guida (2 euro), una delle tre ragazze che gestiscono uno piccolo spaccio nonché la biglietteria. La visita, poco meno di due ore, merita. Tuttavia la cosa che mi ha più colpito è stata la competenza e la dedizione della ragazza nell'illustrare alle uniche due persone della visita (il sottoscritto e la di lui consorte) la storia, i ritrovamenti, le ipotesi che gli studiosi di archeologia hanno prodotto nel tempo.
Esperienza analoga mi é capitata a Tharros. Ingresso più visita guidata, sempre 5 euro a testa. Anche qui una ragazza che, con competenza e passione, spiegava la storia e l'evoluzione nei secoli di una struttura prima fenicia, poi punica e successivamente romana.
Si capiva al volo che, in entrambi i casi, le ragazze amano il proprio lavoro; non gli ho chiesto quanto guadagnassero, non credo molto.
Mi hanno fatto tornare alla mente un bel libro di Primo Levi “La chiave a stella”, scritto a metà degli anni '80. L'autore incontra e dà voce a Tino Faussone, operaio specializzato piemontese che gira il mondo a piantare tralicci e a montare ponti, sempre accompagnato dalla sua chiave a stella, per sbullonare e sistemare ciò che deve essere messo a posto. Il libro è un elogio del lavoro, di quello ben fatto, del piacere che si prova nel farlo. E' un'attitudine che si incontra sempre meno frequentemente nei luoghi di lavoro. Eppure Primo Levi sostiene che
«Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.»
Le due ragazze che mi hanno fatto da guida secondo me questa verità la conoscono. Verità concreta e non astratta perché, per dirla alla Faussone
«Io credo che per vivere contenti bisogna per forza avere qualche cosa da fare, ma che non sia troppo facile; oppure qualche cosa da desiderare, ma non un desiderio così per aria, qualche cosa che uno abbia la speranza di arrivarci.»
probabilmente non e' solo una coincidenza che gli americani amino di piu' il proprio lavoro e riportino anche essere piu' felici degli europei (postmetto che per me la letteratura sulla felicita' fa acqua da tutte le parti. comparare americani e portoricani probabilmente non ha senso ma forse americani ed europei si perche' hanno simili istituzioni e background etnico/culturale).
Andrea, scusa, ma io sono di opinione opposta. Tu hai mai avuto a che fare con un elettricista, un tubista, un meccanico, in America? Io si, e l´esperienza e´ terrificante. Il lavoro lo fa male, in fretta, e magari pure a caro prezzo. Cito quanto mi e´ accaduto:
1) elettricista che monta il sistema anti-incendio esattamente SOPRA i fornelli. Quando gli faccio notare che il sistema parte ogni qual volta mi voglio fare un te, il nostro mi dice: ah, togli la pila quando cucini, allora - come se uno non avesse altro da fare che stare li a mettere e togliere le batterie del rilevatore.
2) quelli che mi hanno montato le tende non solo sono riusciti a fare 4 buchi nel muro in piu, ma poi, hanno pure fissato l´asta talmente male che questa ha ceduto. Risultato? Hanno sistemato l´asta con il nastro adesivo.
3) il tubista ha messo per 5 mesi di fila il tubo sbagliato, che quindi poi era costretto a rompersi dopo due settimane (con conseguente allagamento della cucina), pur di non ordinare quello giusto.
Ora, un indizio non fa una prova, ma la mia impressione e´ che nei lavori semplici, in Europa ci sia maggiore etica del lavoro.
Sulla felicitä americana da lavoro, in generale: conta che per gli americani lavorare tanto, troppo, e´ un valore. Non mi stupisce che quindi dichiarino di essere felici. Il livello di alcoolismo diffuso, perö, mi fa dubitare di questa loro immensa felicitä.
aa