FG si sbaglia, ovvero: l'errore dei "liberali di sinistra"

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Francesco Giavazzi si sbaglia nella sua analisi delle cause del fallimento del governo Prodi. L'errore è il medesimo che minava le tesi sostenute nel libro sul liberismo di sinistra. Questa volta l'ipotesi chiave è resa molto più esplicita; quindi è più facile vedere perché non tiene.

La tesi di fondo di FG è ben riassunta in questo suo paragrafo

 

Era necessaria (e possibile) una sintesi più ambiziosa, uno scambio coraggioso fra un liberismo deciso e una forte redistribuzione a favore del lavoro dipendente, dei giovani e delle famiglie più in difficoltà.

 

Nel resto dell'articolo FG sostiene che: tale redistribuzione Prodi non ha compiuto e PER QUESTA RAGIONE non ha potuto (voluto?) adottare politiche liberiste. Da qui il fallimento del governo, che è quindi colpa sua. È stato lui (Prodi) a tradire il patto di scambio su cui, secondo FG, si fondava la coalizione che l'aveva condotto al governo.

Che il governo Prodi abbia redistribuito molto (o cercato di farlo) ma non nelle tasche del lavoro dipendente più povero (che coincide a mio avviso con i lavoratori del settore privato esposto alla concorrenza estera) o in quelle dei lavoratori giovani non coperti dal sindacato, concordo. I dati che sostengono questa argomentazione li hanno prodotti sia FG che altri in vari articoli sulla voce.info, quindi non li ripeto. Non vi è dubbio alcuno che il governo ora dimissionario non abbia liberalizzato nulla e, più in generale, si sia ben guardato dall'approntare una qualche azione di politica economica improntata a criteri anche solo vagamente "liberali" o "favorevoli all'iniziativa privata". Per chi non ne fosse ancora convinto, consiglio la lettura degli articoli che si trovano qui, per poi continuare verso testi più solidi, se ne dovesse ancora riscontrare la necessità.

Insomma, sono perfettamente convinto che entrambi i fatti riportati da FG siano veri. Ciò che contesto sono, da un lato, il nesso causale (per liberalizzare l'economia è necessario e possibile che lo stato redistribuisca reddito) e, dall'altro, il controfattuale politico (la cosidetta sinistra radicale avrebbe favorito o anche solo permesso liberalizzazioni a cambio del tipo di redistribuzione che FG suggerisce). Essi sono, a mio avviso, entrambi falsi o, ad essere più onesto e meno tranchant, molto dubbioso il primo e falsificabile il secondo.

Comincio dal controfattuale politico, che mi sembra il più semplice da negare. L'evidenza, infatti, è univoca: tutte le azioni di redistribuzione (visto che l'indulto è redistribuzione a favore dei delinquenti il governo Prodi non ha fatto praticamente altro che redistribuire) erano state esplicitamente richieste dalla "sinistra radicale" (comunisti, come giustamente si chiamano loro). Non ricordo una singola richiesta di redistribuzione che sia stata negata. Dalle tasse sui "ricchi" della prima finanziaria, alla "controriforma

pensionistica", dal rinnovo del contratto per i dipendenti pubblici

alle spese a pioggia della seconda (ed ultima) finanziaria, sino all'indulto, il panorama

è uniforme: tutte proposte ed idee dei comunisti al governo. L'ultima idea (far finta di risolvere attraverso trasferimenti fiscali il problema dei salari che non crescono) era stata anch'essa accettata. L'unico "dettaglio" rimasto da risolvere era l'individuazione del limone da spremere fiscalmente, che sarebbe probabilmente consistito nei salari "alti" o, con ardita partita di giro, nei consumi di tutti, inclusi quelli con i salari bassi. Dall'altra parte i medesimi comunisti, non da soli ma anche loro, hanno sempre osteggiato qualsiasi liberalizzazione, anche le più minori e simboliche. Non solo lo hanno fatto, lo hanno teorizzato nel loro programma elettorale ed hanno continuato a farlo esplicitamente attraverso i loro "intellettuali", un campione delle cui incoerenti elucubrazioni anti-mercato, ed a favore di un sempre maggiore intervento statale nell'economia, potete trovare qui. In sostanza, il controfattuale politico non regge: Prodi ha fatto le redistribuzioni richieste dai comunisti e non ha fatto le liberalizzazioni che i comunisti, fra gli altri, non volevano. Quello era il patto, e lui lo ha mantenuto per stare al potere.

Veniamo al nesso causale. Molti credono esista, sia nei fatti che nella logica che lega le regole del gioco ai risultati finali, una relazione causale del tipo [+libero mercato]=>[+povertà]. Se tale relazione causale fosse vera sarebbe giustificato sostenere che non si può liberarizzare senza redistribuire perché in assenza di redistribuzione salterebbe la coesione sociale. Non mi sembra questo il nesso causale che sottende l'argomento di FG, né egli l'ha mai sostenuto, quindi evito di discuterlo. L'evidenza prova che tale nesso è completamene falso, con buona pace degli eterni confusi - o cialtroni, a volte la differenza è minima - che predicano la grande menzogna della povertà frutto del mercato e della concorrenza.

Più probabilmente FG potrebbe avere in mente qualcosa del tipo [+libero mercato]=>[+diseguaglianza]. Dubito però che questo sia il caso, a meno che FG non abbia cambiato idea dall'anno scorso a questo. Infatti, la tesi sostenuta da lui e AA ne Il Liberismo è di sinistra, è che l'implicazione giusta è quella opposta: il libero mercato riduce la diseguaglianza. Sono quindi alquanto perplesso: FG ha cambiato opinione e ritiene ora che l'introduzione di maggior libero mercato nell'economia e nella società italiana aumenterebbe la diseguaglianza e - cosa ancor più importante - lo farebbe sfavorendo i giovani ed il lavoro dipendente? Come ho già argomentato nella mia discussione del libro in questione io dubito si possa affermare in modo univoco che il libero mercato accresce o diminuisce la diseguaglianza in generale, ma non importa. Ciò che importa, per il momento, è che l'esitenza di tale nesso sarebbe in diretta contraddizione con molte delle cose che FG è andato sostenendo da anni. Forse ha cambiato idea, nel qual caso lascio a lui l'opportunità di spiegarcene la ragione.

Nel caso FG mi prendesse sul serio, cosa che mi auguro, vorrei anche chiedergli perché sembra suggerire che occorra redistribuire verso i giovani ed i lavoratori dipendenti per compensare un'ipotetica liberalizzazione dell'economia. Poiché la liberalizzazione dell'economia italiana passa necessariamente attraverso una

riduzione di spesa pubblica e tasse ed un'eliminazione di vari

privilegi monopolistici sia di natura pubblica che privata,

essa favorirebbe economicamente il lavoro dipendente ed i giovani.

Concludo con due osservazioni di natura più generale che probabilmente esulano dal contenuto specifico dell'articolo di FG.

(I) Sia la teoria economica che l'esperienza storica suggeriscono che il liberismo ha una relazione oscillante, e comunque imprevedibile, con la diseguaglianza. Ne genera continuamente di nuova, ma contemporaneamente ne elimina anche molta. I soggetti favoriti o sfavoriti da tali movimenti non sono sempre gli stessi: grandi fortune spariscono e professioni protette perdono spesso i loro privilegi, mentre molti svantaggiati finiscono per guadagnarne. Soprattutto: tali movimenti tendono ad essere abbastanza imprevedibili. Questo implica che, anche se le diseguaglianze che la competizione crea si potessero ridurre attraverso strumenti redistributivi, sarebbe necessario farlo sempre "ex post", ossia compensando i perdenti una volta che gli effetti di equilibrio economico generale d'un intervento liberalizzatore si fossero determinati. Chi siano i perdenti si scopre solo quando la gara è finita, mentre in Italia non è ancora cominciata. Da chi a chi avrebbe dovuto redistribuire il governo Prodi, o qualsiasi altro governo, per attenuare gli effetti di liberalizzazioni che non ci sono mai state?

(II) La riflessione economica e politica sugli strumenti della redistribuzione (intesa nel senso che correntemente viene dato a questa parola nella cultura di sinistra) mi sembra troppo incompleta e reticente per poter sperare che si possa fare redistribuzione del reddito ed efficace liberalizzazione allo stesso tempo. Se affrontato seriamente il discorso si farebbe troppo lungo, quindi semplifico brutalmente. Redistribuire usando tassazione marginale crescente, forme "scandinave" di stato del benessere e redditi minimi garantiti a tutti - i tre metodi costantemente proposti dalla "sinistra liberale" italiana - crea enormi incentivi alla frode ed al parassitismo ed altrettanti disincentivi al lavoro, all'innovazione, alla competizione. Inoltre, data la struttura della spesa pubblica italiana, aumenterebbe il carico fiscale a livelli inverosimili. In un paese che, come l'Italia, premia tutto fuorché il merito, la competenza, l'efficienza e la capacità produrre, credo occorra inventarsi cose completamente diverse dal tradizionale "tassa e trasferisci" della socialdemocrazia scandinava per raggiungere l'obiettivo di ridurre i costi sociali delle liberalizzazioni, ammesso e non concesso che tali costi esistano. Forse su questo vale la pena discutere, e se Francesco ne ha voglia sarei ben felice di farlo in compagnia sua e di altri, qui od altrove.

Chiudo con una conclusione politica.

Prodi ha fallito perché non poteva non fallire. È bene che abbia fallito, perché stava facendo danni seri, sia al paese che a qualsiasi residua speranza di liberalizzazioni e di riforma meritocratica. Non esiste mediazione di sorta che possa rendere il liberismo compatibile con i valori e gli obiettivi della sinistra italiana, "radicale" o meno che essa sia. Il liberismo si fonda sul riconoscimento che gli esseri umani sono non solo liberi ma diversi, e che i piani redistributivi non funzionano se non sono "incentive compatible" e non soddisfano agli "informational constraints". La cultura di cui sono permeati i leaders della sinistra italiana nega questi principi, anzi non li capisce nemmeno. Non hanno gli strumenti per capirli: la loro è una cultura comunista con dosi abbondanti di sociologismo tedesco e cattolicesimo alla don Milani, il tutto ricoperto da una patina recente e provinciale di marketing tecnocratico stile "manualetto Franco Angeli". L'idea dei "liberali di sinistra" o della "sinistra liberale", è un ossimoro. Prima viene abbandonata e sostituita da "liberali e basta", meglio è per tutti.

 

 

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Commenti

Ci sono 12 commenti

Che Prodi abbia fatto la redistribuzione chiesta dalla sinistra radicale mi pare una forzatura. i provvedimenti menzionati hanno due limiti: 1) erano tutti di portata quasi trascurabile; 2) come sostine FG, erano indirizzati male. Dire che Prodi ha fatto il suo nell'ambito del patto politico con la sinistra radicale non mi convince. la frase "Prodi ha fatto le redistribuzioni richieste dai comunisti e non ha fatto le liberalizzazioni che i comunisti, fra gli altri, non volevano. Quello era il patto, e lui lo ha mantenuto per stare al potere" mi trova dunque in disaccordo.

ma non concordo neanche con la tesi di FG. la sinistra radicale mi sembrava ancora disposta a dare tempo a Prodi (segno che a loro andava ancora bene) in vista dei tesoretti da distribuire.

c'erano due obiettivi nel programma: redistribuire e liberalizzare. il primo non è stato fatto sostanzialmente perché non c'erano le risorse e quindi quel che si fa passare per redistribuzione erano specchietti per le allodole. il secondo non è stato fatto perché anche questo Governo non aveva forza sufficiente a rompere le barriere poste dalle varie lobbies trasversali che le ostacolano (esempio: la liberalizzazione delle licenze dei tassisti non era osteggiata dalla sinistra radicale, ma non è passata o è passata in una versione molto annacquata).

insomma, non concordo con la tesi di MB. il liberismo può essere di sinistra, nel senso che anche il PD potrebbe volere le liberalizzazioni. ma anche il PD, come FI, non hanno la capacità di smontare la ragnatela di resistenze che c'è nella società. perché? perché vivendo tutti di politica, hanno tutti bisogno di essere rieletti.

 

Io condivido in buona parte l'articolo. Sarebbe però da far precedere quasi ogni frase con "date le condizioni possibilli" e poi sviluppare la critica, se no si parla del sesso degli angeli. Allora la critica sarebbe inquadrata diversamente.

Lo dico a futura memoria anche per ciò che riguarda il prossimo governo di centro-destra. Lo sforzo dovrebbe essere quello di cercare di sviluppare e pubblicizzare dei consigli che inducano verso uno Stato più liberale, ma senza perdere di vista il vincolo "date le condizioni possibili". Tanto per non restare nel vago (e un pò a casaccio) cito: gli elettori del Centro Sud della CDL, che pure loro vivono di assistenza e clientela, gli interessi elettorali di AN e UDC, rivolti a pensionati e pubblico impiego, gli interessi di rappresentanza capillare della Lega in Comuni Provincie e Regioni, la necessità di avere non dico sostegno ma nemmeno contrapposizione feroce da parte di ABI, Confindustria, Sindacati e tutto l'ambaradan dei monopoli falso-privati.

Sennò è meglio stare decentemente zitti, perchè, almeno per ciò che mi riguarda, mi sono veramente insopportabili le lezioncine liberali dei maestrini USA de "noantri" con grado di applicabilità pari a zero alla realtà attuale Italiana. 

 

 

Sull'Economist di questa settimana c'è una tabella che indica come negli ultimi anni sia aumentata la disuguaglianza (Indice di Gini) sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, a seguito del processo di globalizzazione (che intendo come termine simile a quello di "libero mercato"). Che libero mercato possa comportare più diseguaglianza mi pare dunque provato anche se sono d'accordo, come mi pare dica Michele, che potrebbe essere una diseguaglianza più "variabile".

Ciò premesso, il Governo Prodi poteva davvero trasferire un pò di più di risorse sull'ultimo decile (e diminuire la diseguaglianza) piuttosto che ai decili coperti dai Sindacati:un consistente  aumento delle pensioni minime, ad esempio, (dove mi pare scarso il rischio paventato da Michele di frodi e parassitismo),  e contemporaneamente aumentare  (e non diminuire) l'età pensionabile.

 P.S. L'indulto è stato approvato anche dalla destra e proposto, in prima istanza, più che dai comunisti da Giovanni Paolo II.

 

Il reddito non è un indicatore infallibile per la misura del benessere: gli indici tipo GINI mostrano che negli ultimi decenni il divario tra poveri e ricchi è cresciuto parecchio anche in occidente. Ma se guardi, ad esempio, al divario di consumo tra poveri e ricchi, la realtà è differente: (esempio banale) se un tempo la differenza era tra chi andava in macchina e chi a piedi, oggi è tra chi è in BMW e chi ha una Hyundai, o tra chi ha un iPhone e chi un Nokia da poche decine di euro/dollari. Se poi consideriamo quanto è  aumentato l'accesso al credito (e direi che questa estate abbiamo avuto un esempio piuttosto chiaro della cosa), direi che il coefficiente di GINI è sempre meno adeguato per rappresentare la disuguaglianza. Mi interrogherei anche su chi si debba prendere i meriti del fatto che io e briatore potremmo un giorno trovarci sulla stessa pista da sci a Cortina: io alloggiato in un B&B, prenotato in anticipo su internet con offerta a Campo di Sotto, lui al Miramonti: siamo entrambi sulla vertigine bianca a sciare (o a non sciare, visto che è bella ripidina). 20 anni fa una persona nel mio "decile" andava a sciare a montecampione o a foppolo, se andava bene. Eppure Gini parla di un'altra realtà...

Poi c'è anche da dire che, anche se aumenta l'indice di GINI, non è detto che comunque tutta la distribuzione del reddito non si sposti verso destra...non è detto che un aumento della disuguaglianza sia per forza negativo per chi è più "povero".

 

 

Sull'Economist di questa settimana c'è una tabella che indica come negli ultimi anni sia aumentata la disuguaglianza (Indice di Gini) sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, a seguito del processo di globalizzazione (che intendo come termine simile a quello di "libero mercato").

 

Ma è così importante la diseguaglianza in una realtà come quella dei paesi più sviluppati tra cui l'Italia ? Non andrebbe forse contestualizzato il concetto ? Parlare di diseguaglianza in astratto è infatti privo di senso (IMHO)

E' chiaro che se una sociatà si confronta con diseguaglianze per cui l'1% della popolazione possiede castelli, terreni, diritti di proprietà e mangia cinque volte al giorno, mentre il 99% mangia solo cicorie e fave lesse e vive in tuguri malsani, allora questa società non solo è ingiusta, ma è anche destinata a subire ripetute rivolte e prima o poi ad implodere.

Se però una società si confronta con diseguaglianze per cui l'1% della popolazione posside jet privati, ville ai Caraibi et similia, mentre l'altro 99% si limita a 2 settimane al Valtur di Ostuni, vive in quattro vani ed accessori e va in pizzeria una volta al mese, allora la diseguaglianza non incide sui bisogni primari. In tale contesto, è molto meno grave e socialmente più tollerabile se chi ha già un jet privato se ne può permettere un altro, perchè magari ha fatto affari con l'import/export dalla Cina.

E' vero che ciò aumenterà la diseguaglianza, ma ciò che importa è che quelli senza jet possano continuare a godersi le due settimane al Valtur e magari aggiungere anche la settimana bianca, in altri termini che i loro redditi reali possano aumentare, che non gli si precludano opportunità, senza curarsi troppo del fatto che qualcuno già ricco è diventato più ricco.

Natuarlmente possono entrare in gioco anche considerazioni morali e/o religiose (tipo il ricco e la cruna dell'ago), ma in termini di pura soddisfazione economica, credo che il fatto che quest'anno Berlusconi (per fare un nome) possa non riuscire a comprarsi il nuovo Jet nulla toglie e nulla aggiunge alle mie due settimane al Valtur

 

Hai ragione, ma avanti di questo passo le differenze non saranno più solo economiche e culturali, ma diventeranno "di specie". Gli uni vivranno più a lungo, gli altri meno, gli uni saranno strutturalmente più intelligenti, gli altri meno, un pò quello che è successo 2-300.000 anni fa con la nascita dell'Homo Sapiens rispetto ad altri plantigradi.

Magari non c'è niente di male e fa parte della evoluzione darwiniana, ma mi sento vecchio per accettarlo e mi secca pensare di essere (o diventare) diverso da altri esseri umani. In ogni caso non voglio contribuire a fare che ciò accada un pò prima di quanto, forse inevitabilmente, accadrà.

 

A me sembra che il nesso da considerare sia: + libero mercato => + rischio.

Una comunità a lungo evolutasi nelle artificiose rassicuranti spire del welfare italico - che, tanto per esemplificare, garantiva sia il posto fisso a vita che la disoccupazione a vita, ma intanto garantiva... - è letteralmente terrorizzata anche solo da un pizzico di rischio in più. Persino la povertà che non peggiora è preferibile ad un rischio minimo di impoverimento relativo. I costi-opportunità sono per noi gravosissimi all' inizio, se ci propongono due tariffe telefoniche anzichè una non dormiamo la notte per la paura di aver fatto la scelta sbagliata...

Senza contare che le liberalizzazioni avvantaggiano un individuo che oggi è solo "statistico" (sarò forse io? Ho le qualità e la fortuna per essere io?) mentre colpiscono un individuo ben specificato e cosciente (dal lavoratore iper sindacalizzato, ai noti percettori di rendite). Il primo rimuginerà sulle sue sorti con un filino di speranza, il secondo invece farà un baccano d' inferno per bloccare tutto.

E' per questo che, devo ammetterlo, ho l' impressione che un po' di zucchero occorra per la pillola.

Dato il sadismo e l' invidia connaturata nel genere umano, forse il miglior modo per consolare chi si ritiene a torto colpito da forme di liberalizzazione, consisterebbe nel colpire anche il suo vicino con lo stesso bastone. Mal comune mezzo gaudio: questo principio sì che tiene conto anche del "fattore culturale" senza intaccare il "fattore istituzionale".

Quanto alle diseguaglianze interne ai paesi coinvolti nella globalizzazione, sarebbe corretto abbinarle con la dinamica delle eventuali diseguaglianze tra i paesi coinvolti nella globalizzazione. Solo così si puo' giudicare il feneomeno. La globalizzazione, come diceva Tabarrok in un bel dibattito, puo' essere difesa fino in fondo solo da chi ha a cuore la comunità internazionale prima ancora che le singole comunità.

 

 

 

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