La tesi di fondo di FG è ben riassunta in questo suo paragrafo
Era necessaria (e possibile) una sintesi più ambiziosa, uno scambio coraggioso fra un liberismo deciso e una forte redistribuzione a favore del lavoro dipendente, dei giovani e delle famiglie più in difficoltà.
Nel resto dell'articolo FG sostiene che: tale redistribuzione Prodi non ha compiuto e PER QUESTA RAGIONE non ha potuto (voluto?) adottare politiche liberiste. Da qui il fallimento del governo, che è quindi colpa sua. È stato lui (Prodi) a tradire il patto di scambio su cui, secondo FG, si fondava la coalizione che l'aveva condotto al governo.
Che il governo Prodi abbia redistribuito molto (o cercato di farlo) ma non nelle tasche del lavoro dipendente più povero (che coincide a mio avviso con i lavoratori del settore privato esposto alla concorrenza estera) o in quelle dei lavoratori giovani non coperti dal sindacato, concordo. I dati che sostengono questa argomentazione li hanno prodotti sia FG che altri in vari articoli sulla voce.info, quindi non li ripeto. Non vi è dubbio alcuno che il governo ora dimissionario non abbia liberalizzato nulla e, più in generale, si sia ben guardato dall'approntare una qualche azione di politica economica improntata a criteri anche solo vagamente "liberali" o "favorevoli all'iniziativa privata". Per chi non ne fosse ancora convinto, consiglio la lettura degli articoli che si trovano qui, per poi continuare verso testi più solidi, se ne dovesse ancora riscontrare la necessità.
Insomma, sono perfettamente convinto che entrambi i fatti riportati da FG siano veri. Ciò che contesto sono, da un lato, il nesso causale (per liberalizzare l'economia è necessario e possibile che lo stato redistribuisca reddito) e, dall'altro, il controfattuale politico (la cosidetta sinistra radicale avrebbe favorito o anche solo permesso liberalizzazioni a cambio del tipo di redistribuzione che FG suggerisce). Essi sono, a mio avviso, entrambi falsi o, ad essere più onesto e meno tranchant, molto dubbioso il primo e falsificabile il secondo.
Comincio dal controfattuale politico, che mi sembra il più semplice da negare. L'evidenza, infatti, è univoca: tutte le azioni di redistribuzione (visto che l'indulto è redistribuzione a favore dei delinquenti il governo Prodi non ha fatto praticamente altro che redistribuire) erano state esplicitamente richieste dalla "sinistra radicale" (comunisti, come giustamente si chiamano loro). Non ricordo una singola richiesta di redistribuzione che sia stata negata. Dalle tasse sui "ricchi" della prima finanziaria, alla "controriforma
pensionistica", dal rinnovo del contratto per i dipendenti pubblici
alle spese a pioggia della seconda (ed ultima) finanziaria, sino all'indulto, il panorama
è uniforme: tutte proposte ed idee dei comunisti al governo. L'ultima idea (far finta di risolvere attraverso trasferimenti fiscali il problema dei salari che non crescono) era stata anch'essa accettata. L'unico "dettaglio" rimasto da risolvere era l'individuazione del limone da spremere fiscalmente, che sarebbe probabilmente consistito nei salari "alti" o, con ardita partita di giro, nei consumi di tutti, inclusi quelli con i salari bassi. Dall'altra parte i medesimi comunisti, non da soli ma anche loro, hanno sempre osteggiato qualsiasi liberalizzazione, anche le più minori e simboliche. Non solo lo hanno fatto, lo hanno teorizzato nel loro programma elettorale ed hanno continuato a farlo esplicitamente attraverso i loro "intellettuali", un campione delle cui incoerenti elucubrazioni anti-mercato, ed a favore di un sempre maggiore intervento statale nell'economia, potete trovare qui. In sostanza, il controfattuale politico non regge: Prodi ha fatto le redistribuzioni richieste dai comunisti e non ha fatto le liberalizzazioni che i comunisti, fra gli altri, non volevano. Quello era il patto, e lui lo ha mantenuto per stare al potere.
Veniamo al nesso causale. Molti credono esista, sia nei fatti che nella logica che lega le regole del gioco ai risultati finali, una relazione causale del tipo [+libero mercato]=>[+povertà]. Se tale relazione causale fosse vera sarebbe giustificato sostenere che non si può liberarizzare senza redistribuire perché in assenza di redistribuzione salterebbe la coesione sociale. Non mi sembra questo il nesso causale che sottende l'argomento di FG, né egli l'ha mai sostenuto, quindi evito di discuterlo. L'evidenza prova che tale nesso è completamene falso, con buona pace degli eterni confusi - o cialtroni, a volte la differenza è minima - che predicano la grande menzogna della povertà frutto del mercato e della concorrenza.
Più probabilmente FG potrebbe avere in mente qualcosa del tipo [+libero mercato]=>[+diseguaglianza]. Dubito però che questo sia il caso, a meno che FG non abbia cambiato idea dall'anno scorso a questo. Infatti, la tesi sostenuta da lui e AA ne Il Liberismo è di sinistra, è che l'implicazione giusta è quella opposta: il libero mercato riduce la diseguaglianza. Sono quindi alquanto perplesso: FG ha cambiato opinione e ritiene ora che l'introduzione di maggior libero mercato nell'economia e nella società italiana aumenterebbe la diseguaglianza e - cosa ancor più importante - lo farebbe sfavorendo i giovani ed il lavoro dipendente? Come ho già argomentato nella mia discussione del libro in questione io dubito si possa affermare in modo univoco che il libero mercato accresce o diminuisce la diseguaglianza in generale, ma non importa. Ciò che importa, per il momento, è che l'esitenza di tale nesso sarebbe in diretta contraddizione con molte delle cose che FG è andato sostenendo da anni. Forse ha cambiato idea, nel qual caso lascio a lui l'opportunità di spiegarcene la ragione.
Nel caso FG mi prendesse sul serio, cosa che mi auguro, vorrei anche chiedergli perché sembra suggerire che occorra redistribuire verso i giovani ed i lavoratori dipendenti per compensare un'ipotetica liberalizzazione dell'economia. Poiché la liberalizzazione dell'economia italiana passa necessariamente attraverso una
riduzione di spesa pubblica e tasse ed un'eliminazione di vari
privilegi monopolistici sia di natura pubblica che privata,
essa favorirebbe economicamente il lavoro dipendente ed i giovani.
Concludo con due osservazioni di natura più generale che probabilmente esulano dal contenuto specifico dell'articolo di FG.
(I) Sia la teoria economica che l'esperienza storica suggeriscono che il liberismo ha una relazione oscillante, e comunque imprevedibile, con la diseguaglianza. Ne genera continuamente di nuova, ma contemporaneamente ne elimina anche molta. I soggetti favoriti o sfavoriti da tali movimenti non sono sempre gli stessi: grandi fortune spariscono e professioni protette perdono spesso i loro privilegi, mentre molti svantaggiati finiscono per guadagnarne. Soprattutto: tali movimenti tendono ad essere abbastanza imprevedibili. Questo implica che, anche se le diseguaglianze che la competizione crea si potessero ridurre attraverso strumenti redistributivi, sarebbe necessario farlo sempre "ex post", ossia compensando i perdenti una volta che gli effetti di equilibrio economico generale d'un intervento liberalizzatore si fossero determinati. Chi siano i perdenti si scopre solo quando la gara è finita, mentre in Italia non è ancora cominciata. Da chi a chi avrebbe dovuto redistribuire il governo Prodi, o qualsiasi altro governo, per attenuare gli effetti di liberalizzazioni che non ci sono mai state?
(II) La riflessione economica e politica sugli strumenti della redistribuzione (intesa nel senso che correntemente viene dato a questa parola nella cultura di sinistra) mi sembra troppo incompleta e reticente per poter sperare che si possa fare redistribuzione del reddito ed efficace liberalizzazione allo stesso tempo. Se affrontato seriamente il discorso si farebbe troppo lungo, quindi semplifico brutalmente. Redistribuire usando tassazione marginale crescente, forme "scandinave" di stato del benessere e redditi minimi garantiti a tutti - i tre metodi costantemente proposti dalla "sinistra liberale" italiana - crea enormi incentivi alla frode ed al parassitismo ed altrettanti disincentivi al lavoro, all'innovazione, alla competizione. Inoltre, data la struttura della spesa pubblica italiana, aumenterebbe il carico fiscale a livelli inverosimili. In un paese che, come l'Italia, premia tutto fuorché il merito, la competenza, l'efficienza e la capacità produrre, credo occorra inventarsi cose completamente diverse dal tradizionale "tassa e trasferisci" della socialdemocrazia scandinava per raggiungere l'obiettivo di ridurre i costi sociali delle liberalizzazioni, ammesso e non concesso che tali costi esistano. Forse su questo vale la pena discutere, e se Francesco ne ha voglia sarei ben felice di farlo in compagnia sua e di altri, qui od altrove.
Chiudo con una conclusione politica.
Prodi ha fallito perché non poteva non fallire. È bene che abbia fallito, perché stava facendo danni seri, sia al paese che a qualsiasi residua speranza di liberalizzazioni e di riforma meritocratica. Non esiste mediazione di sorta che possa rendere il liberismo compatibile con i valori e gli obiettivi della sinistra italiana, "radicale" o meno che essa sia. Il liberismo si fonda sul riconoscimento che gli esseri umani sono non solo liberi ma diversi, e che i piani redistributivi non funzionano se non sono "incentive compatible" e non soddisfano agli "informational constraints". La cultura di cui sono permeati i leaders della sinistra italiana nega questi principi, anzi non li capisce nemmeno. Non hanno gli strumenti per capirli: la loro è una cultura comunista con dosi abbondanti di sociologismo tedesco e cattolicesimo alla don Milani, il tutto ricoperto da una patina recente e provinciale di marketing tecnocratico stile "manualetto Franco Angeli". L'idea dei "liberali di sinistra" o della "sinistra liberale", è un ossimoro. Prima viene abbandonata e sostituita da "liberali e basta", meglio è per tutti.
Che Prodi abbia fatto la redistribuzione chiesta dalla sinistra radicale mi pare una forzatura. i provvedimenti menzionati hanno due limiti: 1) erano tutti di portata quasi trascurabile; 2) come sostine FG, erano indirizzati male. Dire che Prodi ha fatto il suo nell'ambito del patto politico con la sinistra radicale non mi convince. la frase "Prodi ha fatto le redistribuzioni richieste dai comunisti e non ha fatto le liberalizzazioni che i comunisti, fra gli altri, non volevano. Quello era il patto, e lui lo ha mantenuto per stare al potere" mi trova dunque in disaccordo.
ma non concordo neanche con la tesi di FG. la sinistra radicale mi sembrava ancora disposta a dare tempo a Prodi (segno che a loro andava ancora bene) in vista dei tesoretti da distribuire.
c'erano due obiettivi nel programma: redistribuire e liberalizzare. il primo non è stato fatto sostanzialmente perché non c'erano le risorse e quindi quel che si fa passare per redistribuzione erano specchietti per le allodole. il secondo non è stato fatto perché anche questo Governo non aveva forza sufficiente a rompere le barriere poste dalle varie lobbies trasversali che le ostacolano (esempio: la liberalizzazione delle licenze dei tassisti non era osteggiata dalla sinistra radicale, ma non è passata o è passata in una versione molto annacquata).
insomma, non concordo con la tesi di MB. il liberismo può essere di sinistra, nel senso che anche il PD potrebbe volere le liberalizzazioni. ma anche il PD, come FI, non hanno la capacità di smontare la ragnatela di resistenze che c'è nella società. perché? perché vivendo tutti di politica, hanno tutti bisogno di essere rieletti.