Il problema non nasce oggi – questi magri e rissosi mesi, però, ne accentuano la percezione - e riguarda l'evidente disparità di trattamento che ai cittadini dello Stivale riserva lo Stato, sulla base del solo luogo di residenza. Non poche voci si levano, da tempo, a contestare tale situazione, ed un certo numero di comuni di confine – a partire da Lamon, che assurse alle cronache nazionali nel 2005 manifestando la volontà di passare al vicino Trentino – ha ormai indetto locali referendum al fine di ottenere il distacco dalle regioni d'appartenenza per approdare all'agognato nirvana, lì a pochi passi. È avvenuto anche a Cortina, che villaggio sperduto e derelitto non si può definire ma, d'altra parte, non si capisce quale colpa abbia da scontare per meritare meno, ad esempio, di Ortisei, così simile per collocazione geografica e tipologia di attività economiche prevalenti.
Sono note le ragioni storiche che condussero all'introduzione delle regioni a statuto speciale, ed in particolare le vicende di un territorio che – di fatto – italiano non era. Si direbbe, però, che ormai sia tempo di ritenerle non più attuali, non solo perché le condizioni son cambiate col passar degli anni, ma soprattutto se si vuole davvero intraprendere la strada del federalismo, che non può prevedere figli e figliastri. Chi teme di perdere i privilegi acquisiti, invece, si appella alla propria specificità – negando, ovviamente, l'altrui – e paventa l'attacco alle autonomie, garantite dalla Costituzione (Titolo V, art.116), ed ai finanziamenti stabiliti nello Statuto speciale (Titolo VI).
Si tenta, dunque, di motivare l'evidente iniquità cianciando di tutela delle minoranze, come se mai fossero esistite altre e simili particolarità nella storia della penisola, luogo delle diversità sancite dai campanili. Solo a titolo d'esempio – da veneto – vorrei far notare come la Serenissima Repubblica abbia oltre che una storia millenaria anche una lingua ed una letteratura e che, se io parlassi con un valdostano o un siculo, tutti utilizzando strettamente l'idioma dei propri avi, il risultato sarebbe una perfetta esemplificazione della Torre di Babele. Insomma: invocare solo le specificità che fan comodo pare essere alquanto pretestuoso. Intendiamoci, l'obiettivo è sempre, comprensibilmente, accapparrarsi quante più risorse sia possibile ottenere – sarebbe sciocco stupirsi di ciò – e si utilizzano a tal fine tutte le armi disponibili: il guaio è che alcuni territori ne abbiano facoltà, a scapito di altri.
Parafrasando il buon vecchio Montanelli, si direbbe che tutti siano specifici, ma alcuni più di altri .….
È bene chiarire subito un possibile malinteso: non si tratta di un prelievo di risorse dal Veneto – limitiamoci alle due zone confinanti citate, ma il discorso si può estendere ad altre – per destinarle alla provincia di Bozen. Semplicemente la seconda ottiene dallo Stato di mantenere sul territorio il 90% delle imposte raccolte in loco, mentre il primo contribuisce, con le sue, al funzionamento (beh, parola impegnativa, questa …..) di tutto l'ambaradan romanocentrico, compreso il fastidioso ripianamento di deficit altrove generati a causa, troppo spesso, del ben noto clientelismo volto a mantenere il consenso elettorale. A qualcuno, davvero, ciò pare corretto?
Una frequente obiezione a chi contesta i privilegi delle regioni a statuto speciale è la seguente: a maggiori risorse lasciate in loco corrispondono più ampie competenze – e quindi spese superiori. Pur essendo vera la cosa, è facile rispondere che anche altri territori preferirebbero le medesime condizioni, anziché esser limitati alle attuali deleghe, dovendo pure fare i conti con le continue diminuzioni dei trasferimenti da Roma, che ogni legge finanziaria mette regolarmente in atto.
Alcuni dichiarano - non poche son le “facce di bronzo”, a partir da Kaiser Durni - che si meritano risorse aggiuntive perché le impiegano meglio di altri. Affermazione proterva, oltre che non supportata da riscontri obiettivi. Accettando il ragionamento in questione, io potrei pretendere dallo Stato denari a fondo perduto – sotto forma di restituzione d'imposte pagate - in base al fatto che la mia azienda ha un bilancio positivo! Le mie capacità di gestione si son mostrate quindi superiori a quelle di altri, a maggior ragione nell'attuale congiuntura dove le imprese in difficoltà abbondano …
E poi, a ben guardare, tutta questa efficienza non sembra così evidente. Certo, a paragone della Sicilia, qualunque amministrazione pubblica può ben figurare, ma è come sparare alla Croce Rossa! Sta di fatto che, sì, i servizi funzionano (pur se, talvolta, si configurano anche come sprechi, ad esempio nel caso degli automezzi pubblici sulle strade di montagna, spesso vuoti o quasi …), ma in loco si contano 70 dipendenti pubblici per ogni 1.000 abitanti (dati 2007, CGIA di Mestre), mentre in Veneto – per rimanere al citato termine di paragone – son solo 47,5: è dunque “tutt'oro ciò che luccica” o, piuttosto, molto dipende dalle risorse spendibili?
C'è, infine, una considerazione - forse maliziosa, ma tutt'altro che improbabile - alla quale non è opportuno sfuggire. L'ammontare di risorse che l'Alto Adige trattiene (analisi, peraltro, ampliabile agli altri “statuti speciali”) si direbbe persino in eccesso rispetto al costo dei servizi che dovrebbe coprire, dal momento che consente ai locali amministratori anche la concessione di agevolazioni ai residenti ed alle attività economiche, che in altre zone non sono possibili. Si pensi, a puro titolo d'esempio, ai libri di testo (ed ora anche il trasporto pubblico) gratis per gli studenti, od ai contributi per il rinnovo dei locali commerciali ed il miglioramento delle strutture ricettive, di cui tutti gli operatori di mia conoscenza hanno, in momenti diversi, usufruito. Ciò significa che, anche non volendo abbassare le spese dello Stato centrale (comprensive della discutibile, inefficiente e discrezionale componente “solidaristica” e dei consueti sprechi burocratico-politici) sarebbe possibile ridurre dal 90% al – poniamo – 70-80% la quota delle imposte pagate in loco che vi rimangono, senza incidere sulle necessità dei servizi al territorio ma solo sui citati esborsi aggiuntivi. Consentendo, così, ad altre regioni di trasferire al centro qualche soldino in meno e riducendo la percezione d'iniquità degli italiani ivi residenti ...
Quest'ultima osservazione rende ragionevole supporre che la vera motivazione delle resistenze opposte al riconoscimento delle altrui richieste di pari trattamento risieda nella possibilità, rebus sic stantibus, di comperare il consenso elettorale. Se, dalla sera alla mattina, TUTTE le regioni italiane diventassero autonome e con le stesse prerogative dell'Alto Adige, delle due l'una: o lo stato centrale dovrebbe tagliare drasticamente le proprie spese o la quota di imposte che l'Alto Adige (e gli altri) potrebbero trattenere dovrebbe scendere dall'attuale 90% ad un numero inferiore!
Tutto il resto è fuffa.
Anche io sarei curioso di vedere cosa succederebbe se tutte le regioni italiane diventassero a statuto speciale.
Fornirebbe un ottimo incentivo all'efficienza per alcune amministrazioni locali.
Proprio per questo motivo credo che non succedera' mai, considerato anche il potere politico recentemente esercitato dall' On. Lombardo ed il solito immobilismo italiano.