Dovevo partire per un convegno di "giovani economisti" a Forlì e avevo acquistato il biglietto online la sera prima. L'unica opzione disponibile era il ritiro del cartaceo alle macchine self-service in stazione.
Mi metto in fila davanti a una di queste macchine. Davanti a me c'erano due coppie di turisti, la prima della fila spagnola, la seconda, credo, francese. Mentre la coppia spagnola sta acquistando il biglietto si avvicina un signore italiano, sulla quarantina, brizzolato, aspetto distinto, accento marcatamente veneto. Parla anche un discreto inglese: si avvicina alla coppia spagnola indicando il tabellone delle partenze e dice: "my train is leaving right now", sperando di poter saltare la fila.
La ragazza spagnola fa spalluccia e dice qualcosa che non sento ma immagino: siamo tutti qui per prendere un treno che parte tra poco. Il distinto signore si fa da parte ma resta in agguato: quando arriva il turno della coppia francese, lui con mossa rapida sgomita e si inserisce con un gentile "pardon..." (un vero poliglotta!) e inizia la sua operazione alla biglietteria automatica.
La coppia francese si guarda sorpresa ma lascia correre. Io no: un po' perché il mio treno parte tra quindici minuti e un po' -- soprattutto -- perché detesto il sopruso e la maleducazione. Dico al distinto signore: "Scusi, ma che modi sono? Non vede quanta gente c'è in fila? Qui stiamo tutti perdendo il treno."
Lui è piuttosto sorpreso, ma cede. Si fa da parte e mi scruta borbottando "E va bé, dai, cosa sarai mai...", come per minimizzare. Io, a mia volta, mi sorprendo che cerchi di giustificarsi e gli faccio notare che invece no, non è una cosa innocua: "Lo vede quante persone aspettano il proprio turno? Che paese è questo dove non rispettiamo neppure la fila?"
Apriti cielo. Quest'ultimo inciso, che -- lo ammetto -- dev'essere suonato eccessivamente moralista, ha fatto scattare qualcosa. Perché il distinto signore si è allontanato per una decina di secondi (durante i quali altri italiani in fila dietro di me hanno caldamente approvato quello che avevo fatto e detto e hanno espresso il loro sdegno verso il nostro connazionale maleducato), ma poi è tornato alla carica.
Prima, calmo calmo, mi si affianca, indica di nuovo il tabellone e, mi dice: "Lo vedi quel treno che è appena partito? Era il mio. E io l'ho perso per colpa tua, deficiente." Non mi scompongo ma faccio notare che, per definizone, deficiente è semmai colui che non rispetta le persone passando avanti a tutti nella fila -- intendendo una deficienza quantomento di buona educazione, una sottigliezza che non credo il distinto signore abbia colto.
Poi, vistosamente alterato, urla che lui è in giro da tre giorni per lavoro. Gli dico che anch'io sono in giro per lavoro. Mi guarda sdegnato e mi dice che allora devo vestirmi per bene, più un paio di insulti di contorno. Come dargli torto qui: avevo pantaloni sopra al ginocchio, polo e sandali (senza calzino, senza calzino!) -- lui doveva avermi scambiato per un turista e non lo sa che io a lavoro ci vado così piuttosto spesso dalla primavera inoltrata all'inizio dell'autunno. Ma che importa: uno a lavoro ci va vestito come vuole, no? Si allontana mandomi in vari posti. E vabbé, si sara sfogato.
Macché. Dopo un'altra decina di secondi (mannaggia a 'sti francesi che non si spicciavano a comprare il biglietto) torna per l'incursione finale. Mi dice che tanto ormai deve aspettare due ore il prossimo treno (dico io, ma se era proprio vitale prenderlo quel treno, salta su e paga quel che si deve pagare per acquisto di biglietto a bordo -- si, sono tra quelli che credono che "a fine is a price") e quindi vuole dirmele tutte. Inizia a urlarmi in faccia insulti di ogni sorta, grado, genere e colore, con argomenti deliranti, tra cui: "l'Italia è un paese di merda perché ci sono quelli come te," un goffo tentativo di ritorcermi contro l'accusa che gli avevo implicitamente mosso -- e sono sicuro che fosse convinto di quello che diceva. E giù un'altra raffica di insulti urlati a squarciagola nell'atrio.
Naturalmente non rispondo alla provocazione ma visto lo stato di alterazione del fu distinto connazionale e temendo che possa passare a qualcosa di peggio, chiedo ai due francesi -- che nel frattempo avevano finito -- di chiamarmi per favore quei due poliziotti là che avevo intravisto passare poco prima di fronte ai binari (per chi non conosce Firenze SMN, c'è un grande atrio-biglietteria comunicante con porte a vetro con la zona dove terminano i binari).
Arrivano i due poliziotti, racconto brevemente cosa è successo, recuperano il tizio che nel frattempo cercava di confondersi in un'altra fila. Lui si fa tutto calmo e di nuovo distinto, racconta di avermi fatto gentilmente (sic!) notare che stava perdendo il treno ecc. ecc. Poi, rivolgendosi alla polizia, fa un'osservazione che rivela quello che le mie forse incaute parole hanno fatto scattare: "Questo ragazzino mi ha fatto la morale, dicendo che è incivile non fare la fila." Loro gli fanno notare che questo non costituisce un reato, mentre gli insulti si. Mi chiedono, in disparte, se voglio denunciarlo. Figuriamoci! Io voglio solo sbarazzarmene il più presto possibile. La polizia annota gli estremi dei nostri documenti, mi chiedono che treno devo prendere. Quell'Eurostar, dico indicando il tabellone, e mi accorgo che (sempre quando non ci vuole!) il mio treno è in ritardo di venti minuti.
Ora, io sarò anche un mona (che è la cosa più gentile che quel concittadino mi abbia urlato in faccia) però per me la fila è sacra perché -- come molte altre cose -- esprime qualcosa di molto più profondo del rispetto di una norma: esprime il rispetto per le persone. Evidentemente lui non la vedeva così e si è stizzito che qualcuno abbia cercato di imporgliela, questa forma di rispetto.
La polizia ci saluta e si allontana. Io vorrei partire e non vedere più quel personaggio, ma non posso a causa del ritardo. Per evitare che ricominci o cerchi vendetta, "scorto" la polizia che rientra all'ufficio della Polfer. Loro capiscono e mi lasciano fare. Li' aspetto quei venti minuti, ma con la sensazione che il tizio non mi abbia affatto perso d'occhio. E infatti quando mi allontano dalla Polfer e mi dirigo al mio binario sbuca da qualche parte e me lo trovo dietro che mi segue su un binario che ovviamente non è il suo.
A questo punto mi sono un po' inquietato -- non si sa mai con chi si ha a che fare in queste circostanze. Fortunatamente scorgo altri due agenti più avanti lungo il binario: affretto il passo e li raggiungo chiedendo se c'è personale di polizia a bordo treno (inizio a temere che il tizio sia persino disposto a salire sul mio treno pur di consumare la vendetta -- ma più realisticamente si sta divertendo a intimorirmi). Mi chiedono perché, racconto cosa è successo prima indicando il tizio che nel frattempo si era seduto tranquillo su una panchina davanti alla mia carrozza. Loro mi dicono di stare tranquillo, di salire a bordo che lo tengono d'occhio loro. Salgo sul treno, altri dieci minuti di ritardo in partenza, poi finalmente si chiudono le porte, spero per sempre, tra me e questo personaggio.
Nei successivi cinquanta minuti da Firenze a Bologna rifletto sull'accaduto e giungo alle seguenti conclusioni:
(1) L'Italia è un paese dove cercare di fare enforcement di norme basilari di buona convivenza può essere pericoloso. Rispettare la fila è solo un esempio. Altri esempi sono i limiti di velocità, le precedenze per altri veicoli e soprattutto i pedoni, i divieti di sosta sui passaggi pedonali e alle fermate degli autobus, la raccolta su suolo pubblico degli escrementi degli animali domestici, il non lanciare dal finestrino dell'auto mozziconi di sigarette accesi, il non lasciare carte e quant'altro per terra. Eccetera. Queste norme -- alcune delle quali sono molto importanti per la sicurezza -- le vediamo quotidianamente violate. Avete mai provato a farne rispettare qualcuna in qualche modo? Raccontatelo. Sono curioso di sapere quanto è comune quello che mi è successo.
(2) In retrospettiva, ho pensato che sarebbe stato meglio non dire niente a quel personaggio, come avevano fatto i francesi: ma guarda tu se devo guastarmi l'umore, esaurire la mia razione quotidiana di adrenalina e essere intimorito per uno così! Che passi pure davanti a tutti, cafone è e cafone resta. Poi mi sono reso conto che è proprio su questo sentimento che prosperano le mafie, le estorsioni, e molti altri mali che affligono l'Italia.
(3) La cosa peggiore non è quello che ha fatto e detto quel tizio, ma quello che non hanno fatto e non hanno detto le altre persone che sostavano nell'atrio -- ed erano tante -- soprattutto quelle che stavano dietro di me e che pochi secondi prima approvavano. Cioé, ho avuto la sfortuna di incontrare uno squilibrato, ma il fatto che tutte le altre persone "normali" che avevano assistito alla scena dall'inizio si siano estraniate quando era ovvio da che parte stava la ragione mi pare preoccupante. Il tizio non avrebbe certo potuto prendersela con dieci persone come se l'è presa con una.
Per quanto piccolo sia il mio campione, per me la conclusione è irresistibile: questa è l'Italia. Una cronica deficienza di senso della convivenza e di rispetto delle regole e delle persone. E non è retorica. Lascio ai lettori il confronto con quello che succede in altri paesi. Su come siamo arrivati fin qui e su come si può cambiare si può discutere: io resto convinto che la diffusione dell'inciviltà con tutto quello che ne consegue è proporzionale alla tolleranza per quelle che appaiono come innocue violazioni delle regole di convivenza. Altro che esercito nelle città. Tanto per iniziare basterebbe pretendere un po' di buona creanza.
Hai fatto benissimo, altrochè !!!
Se posso permettermi hai sbagliato solo a non legnarlo di brutto ma questo dipende dal carattere e tu sei, evidentemente, un signore.
Ti faccio i miei complimenti.