I finanziamenti all'Università, 1980-2009

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Si discute molto sul finanziamento all'Università, ma con pochi dati. Questo post ricostruisce l'andamento della spesa in termini reali dal 1980 al 2009 e dimostra...

A parole, sono tutti d’accordo sul ruolo essenziale dell’istruzione e della ricerca per lo sviluppo e per il futuro del nostro paese. I professori universitari, sostenuti da una parte consistente dell’opinione pubblica, denunciano una cronica mancanza di fondi e accusano il governo di ignorare nella prassi delle assegnazioni di bilancio i principi da esso stesso enunciati. La Finanziaria 2008 prevede meccanismi di tagli semi-automatici, solo in parte colmati da stanziamenti una tantum nelle finanziarie 2009 e 2010. Senza ulteriori interventi, nel 2011 le università non avranno da pagare gli stipendi. Il governo nega che la catastrofe sia incombente e piuttosto si propone di cambiare le regole per utilizzare al meglio le risorse già disponibili (il ben noto decreto Gelmini dovrebbe andare in questa direzione).

Il dibattito si caratterizza per i toni violenti e la mancanza di solide basi quantitative. Al massimo si citano confronti internazionali sulla spesa per l’università in rapporto al PIL o al numero di studenti. In effetti, nel 2004 (ultimi dati disponibili), la spesa per studente iscritto risulta molto bassa rispetto alla media dei paesi OCSE. Perotti (2008) ha però sostenuto che il confronto dovrebbe essere fatto sul numero degli studenti equivalenti a tempo pieno, per tener conto dell’elevatissimo numero di studenti fuori corso che caratterizzano l’università italiana. Secondo i dati dell’ultimo rapporto del Comitato Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario (CNVSU 2009 tab 1.1), il numero di studenti “regolari” (in corso) è equivalente al 57% degli iscritti. Secondo i calcoli di Perotti, l’Italia spenderebbe (per studente a tempo pieno) circa il 70% degli Stati Uniti, poco meno della Svizzera e della Svezia e più degli altri paesi OCSE. L’opportunità della correzione proposta da Perotti è stata messa in dubbio da molti professori universitari ed il dibattito si è arenato di nuovo.

Questo post adotta un approccio diverso. Affronta il problema in prospettiva storica, sulla base di una serie a prezzi costanti (euro del 2008) della spesa statale per l’università. La serie della spesa totale è riportata nella Figura 1 (si rimanda alla Nota metodologica in fondo al post per i dettagli sulle fonti dei dati e le definizioni delle variabili).

 

Figura 1. Spesa totale a prezzi 2008 (milioni di euro)

 

spesa statale per l'università a prezzi costanti

 

Come si vede nella figura, dal 1980 al 2008 la spesa totale in termini reali è quasi triplicata (l'aumento è del 176%). Questo aumento è concentrato in due periodi relativamente brevi, dal 1984 al 1990 (+80%) e dal 1994 al 2001 (+47%), mentre negli altri anni la spesa è rimasta quasi costante. Nello stesso periodo è però aumentato anche il numero degli studenti iscritti, da un milione nel 1980/1981 a 1,8 milioni nel 2006/2007 (+70%). Il numero degli studenti “regolari” (in corso) è aumentato meno – solo del 35%. Quindi la spesa per studente è aumentata meno di quella totale – del 103% se si considerano gli studenti regolari e “solo” del 60% se si considerano tutti gli iscritti, come la Figura 2 illustra. In particolare la spesa per studente è rimasta pressoché stabile nell’ultimo decennio.

 

Figura 2. Spesa per studente a prezzi 2008 (euro)

spesa per studente

 

L’incremento della spesa corrisponde abbastanza strettamente a quello del numero di docenti, passato da 16000 nel 1980 a 61500 nel 2008, un aumento del 226%. La legge 382/80 stabilizzò circa 15000-16000 precari (quorum ego), promossi a ricercatore, ed aumentò di circa 10000 unità il numero complessivo di ordinari ed incaricati (promossi ad associati). In quei cinque anni il numero di professori, ricercatori inclusi, è quindi aumentato di 1,5 volte. Dal 1985 l’aumento del corpo docente è stato più lento, “solo” del 45% - mentre il numero di ordinari è più che raddoppiato, passando dal 20% ad oltre il 30% del totale.

Il ministro Gelmini potrebbe interpretare l’espansione quantitativa come prova di un’insopprimibile tendenza dei professori a moltiplicarsi senza reale necessità, e quindi giustificare la politica della lesina di Tremonti. E’ però possibile un’interpretazione alternativa, più favorevole alla corporazione. Si potrebbe infatti sostenere che il grande incremento della spesa negli anni Ottanta sia stato necessario per adeguare il numero di professori al boom del numero di studenti, aumentato da circa duecentomila alla fine degli anni Cinquanta a sei-settecentomila dieci anni dopo (prima del ’68) ad oltre un milione nel 1980 (ISTAT 1985 tab. 4.6). In questo caso, il il livello del 1980 avrebbe dovuto essere molto basso in confronto agli anni precedenti e/o al livello di spesa di paesi a reddito simile. I dati per verificare tale ipotesi non sono di facile reperimento. Sono disponibili solo le cifre per il 1957-1959 (Cannati e Mussari 2003): allora la spesa totale era di 333 milioni (di euro 2008), pari ad un decimo di quella del 1980 e ad un ventesimo di quella attuale. La spesa per studente “regolare” risultava essere allora di 1750-1800 euro, esattamente la metà di quella del 1980 ed un quinto di quella del 2000 (e del 2008). Quindi la spesa del 1980 non sembra essere stata particolarmente bassa.

L’incremento del numero di studenti spiega quindi una parte consistente dell’aumento della spesa totale, ma non tutto. I dati disponibili permettono di individuare quattro fasi nell’evoluzione di lungo periodo della spesa per studente (“regolare”)

a) l’aumento dal 1959 al 1980 (un periodo che è giocoforza considerare unitario) riflette soprattutto l’aumento del costo unitario del personale – in sostanza degli stipendi. Il costo pro-capite dei professori (e del personale non docente) è aumentato di 2.5 volte, il numero di professori (ordinari ed incaricati) per 100 studenti è diminuito di un terzo

b) il boom dei primi anni Ottanta è strettamente legato all’immissione in ruolo dei precari e dei professori incaricati. Esso ha contemporaneamente fatto calare del 40% la spesa unitaria per docente (i ricercatori erano pagati molto meno dei professori) ed ha fatto ritornare il numero di professori ufficiali (la terminologia del tempo per indicare associati ed ordinari) a 3.5, lievemente sopra  il livello della fine degli anni Cinquanta. In altre parole, il solo incremento del numero di ordinari e la stabilizzazione degli incaricati sarebbe stata sufficiente per riequilibrare l’offerta didattica (assumendo che essa fosse in equilibrio nel 1957-1959). Gli ex-precari, divenuti ricercatori, erano un sovrappiù – ed infatti la legge 382/80 negava loro il diritto di tenere corsi ufficiali. Tale diritto sarebbe stato riconosciuto solo nel 1990, e solo sotto forma volontaria.

c) La crescita della spesa degli anni Novanta è stata in gran parte determinata dall’incremento del costo unitario per professore, passato da circa 90000 euro nel 1985 al massimo storico di oltre 150000 nel 1998 per il combinato effetto di aumenti degli stipendi reali e della proporzione di professori ordinari sul totale (salito dal 20% al 25%). Invece l’offerta didattica non è aumentata, nonostante l’apporto dei ricercatori. Infatti, nello stesso periodo, il rapporto docenti/100 studenti è calato da 3.5 a 2.9 esclusi i ricercatori e da 5.5 a 4.7 inclusi i ricercatori.

d) l’ultimo decennio si caratterizza per una crescita del numero di docenti, molto più rapida di quella degli studenti. Questo è illustrato nella figura 3, che riporta la dinamica del rapporto docenti/studenti in Italia dal 1950 in poi. Il numero totale di professori è aumentato da circa 50000 a circa 60000 (+20%), mentre il numero di non-docenti rimaneva stabile o in lieve calo. In particolare l’incremento si è concentrato nella fascia degli ordinari, passati da circa 13000 a circa 20000 (+45%). Sono stati assunti circa 6000 nuovi ricercatori. E’ quindi diminuito lievemente il costo unitario per docente, mentre il numero di docenti (ricercatori inclusi) ha toccato il massimo storico di 5.9. Dal 1999 al 2008 le spese per personale a prezzi costanti sono aumentate del 20%.

 

 

Figura 3. Docenti in rapporto agli studenti

 

rapporto docenti/studenti

 

Riassumendo, questa semplice analisi suggerisce l’alternanza di periodi di espansione del corpo docente (soprattutto i primi anni Ottanta, ma anche l’ultimo decennio) e di crescita del suo costo pro-capite, a sua volta determinata dalle promozioni e dai meccanismi automatici. I professori italiani ricevono collettivamente un aumento percentuale fissato sulla base dell'incremento dei salari nella pubblica amministrazione ed individualmente scatti di anzianità biennali (indipendenti dalla performance scientifica o didattica. Nelle precedenti fasi di espansione, gli incrementi di spesa per il personale, di qualsiasi origine, sono stati bilanciati da un massiccio aumento di trasferimenti statali. Nell’ultimo decennio, invece, i trasferimenti (in termini reali) sono aumentati poco in totale e sono rimasti stabili per studente. La situazione dei bilanci dell’università è corrispondentemente peggiorata. Ciascuno può giudicare sulla saggezza di questa politica.

 

Nota metodologica

La serie considera solo i finanziamenti statali in senso stretto – dal Ministero dell’Università o dell’Istruzione, escludendo sia quelli delle autorità locali sia quelli statali attraverso il CNR. Esclude anche ovviamente tutte le risorse proprie degli atenei (tasse, entrate da patrimonio, entrate da convenzioni con terzi).

La serie delle spese è ottenuta da tre fonti differenti. Per il periodo 1980-1995 si utilizzano i dati di Catturi e Mussari 2003, a loro volta tratti da fonti ISTAT. Essi si riferiscono alla spesa totale, allora gestita in gran parte dal ministero, che, prima dell’autonomia, pagava direttamente gli stipendi dei docenti. Per il periodo 1994-2006 si utilizzano i dati del rapporto del Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU e 2002 2009).

La fonte riporta per tutto il periodo le cifre del cosidetto FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario), utilizzate autonomamente dalle università – in gran parte per pagare il costo del personale. Fornisce dati sulle spese finalizzate (soprattutto per ricerca ed edilizia) solo dal 2001. I dati per il 2007 e 2008 si riferiscono al solo FFO e sono tratti dal sito del CUN.

http://www.cun.it/media/70638/mo_2008_01_10_002.pdfTutti i dati espressi in prezzi correnti e, fino al 1995, in lire, sono stati trasformati in milioni di euro a prezzi 2008 con l’ indice dei prezzi al consumo ISTAT

Date le differenti definizioni di spesa, per costruire una serie omogenea nel tempo è stato necessario trasformare le due serie (Catturi-Mussari e CNVSU-CUN) in indici con base 1995=100. Tale indice è stato poi moltiplicato per il valore della spesa totale (FFO e finalizzate) nel 2006 per ottenere una serie della spesa. Si noti che tale procedura introdurrebbe distorsioni se il rapporto fra FFO e spesa totale fosse cambiato nel tempo. In realtà, è rimasto stabile negli anni 2001-2006 all’85% del totale dei finanziamenti ministeriali.

 

Bibliografia

 

  • Catturi G. e R. Mussari (2003) Il finanziamento del sistema pubblico universitario dal dopoguerra all’autonomia, “Annali” del Centro interuniversitario per la storia delle Università italiane, 7 (2003) (http://www.cisui.unibo.it/home.htm)
  • CNVSU (2002) Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario I dati finanziari Prime elaborazioni Roma luglio 2002
  • CNVSU (2009) Ministero dell’università e della ricerca Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario Nono Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario Roma - dicembre 2008 -
  • ISTAT (1985) Sommario di statistiche storiche 1926-1985 Roma
  • Perotti R. (2008) L’Università truccata Einaudi Torino

 

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Commenti

Ci sono 23 commenti

La crescita della spesa va in larga parte imputata alla variazione della composizione demografica del corpo docente, per effetto dell'avanzare dell'Onda Anomala di personale immesso in ruolo negli anni '80 - come documentato, fra l'altro, da un ben noto studio di Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, "Lo Tsunami dell'Università Italiana", da essi ripreso anche in un libro recentemente uscito.

Del pari, la composizione demografica dei docenti si riflette anche nel fatto che, a parità di numeri totali, l'Italia deve fare posto ad una fascia di 65-75enni, del tutto marginale negli altri Paesi, giusta l'età di pensionamento, raramente derogata al di là di Chiasso, a 65. 

Poi, la spesa per un Ordinario anziano (ma anche di un associato o di un ricercatore) non è affatto esigua, giusta la progressione stipendiale (e visto quando costoro diventarono Ordinari) automatica: un Barone di lungo corso, insomma, ci viene a costare sovente più di 150.000 Euro, un occhio della testa rispetto, e.g., ai colleghi inglesi (vedasi la scala salariale, su cui si carica peraltro un fardello minore di contributi a carico dell'amministrazione). Oltre tutto, ad un nostro ricercatore (a vita) si continuano a dare scalini in salita, mentre ad un lecturer ad un certo momento la scala si ferma.

Se solo anche in Italia si decidesse di pensionare i Baroni a 65 anni (liberando quindi risorse per meno costosi, ma spesso non meno validi, giovani accademici), e di legare gli scatti a valutazioni più stringenti, si risparmierebbe parecchio sul lato della spesa.

Sul totale della spesa, poi, va ricordato come - contrariamente a quella scolastica - quella dell'istruzione superiore sia sempre all'ultimo posto fra i Paesi OCSE, lo 0.8% del PIL (vds. Education at a glance 2009, Tab B4.1, pag. 241). Questo per rimarcare l'impegno globale.

Insomma un totale di spesa esiguo (consistente con la natura di Paese poco avanzato) e una distribuzione e degli obblighi scriteriati.

RR

 

 

 

Se solo anche in Italia si decidesse di pensionare i Baroni a 65 anni (liberando quindi risorse per meno costosi, ma spesso non meno validi, giovani accademici), e di legare gli scatti a valutazioni più stringenti, si risparmierebbe parecchio sul lato della spesa.

 

Hai per caso i dati sulle eta' di pensionamento effettive in Italia e negli altri Paesi?  Secondo me il punto importante e' la crescita di anzianita' delle retribuzioni, se come avviene per es in UK e' meno impetuosa e si ferma dopo 10-12 anni allora e' non c'e' vantaggio ad anticipare l'eta' di pensionamento. Il problema italiano e' che negli ultimi anni di anzianita' si concentrano vantaggi abnormi. Va sottolineato che la pendenza e durata abnorme degli scatti di anzianita' ha come conseguenza anche salari miserabili per i giovani.

Buon giorno, sono un nuovo iscritto e del tutto a digiuno di economia, però lavoro nell'università.

Sono da tempo completamente in disaccordo col porre limiti di età ai docenti/ricercatori. Perchè mandare via uno che è capace anche se ha 95 anni? La cosa importante è ciò che fa non che età ha.

La storia che bisogna fare largo ai giovani è solamente uno slogan perchè:

1) Di giovani ce ne sono sempre meno mentre di vecchi sempre di più

2) Viene chiesto da più parti di aumentare l'età pensionabile, fissare una età di 65 anni va controcorrente.

3) "Si può essere bischeri anche a 20 anni" (frase attribuita ad Amintore Fanfani) perchè fargli posto.

4) Perchè non mettere un eguale limite anche per le cariche politiche?

Penso che occorra invece costruire un sistema che tiene o manda via in funzione delle capacità delle persone.

Secondo aspetto legato alla retribuzione. Nel confronto con i colleghi stranieri si cita spesso il costo Lordo per ogni docente, per lo Stato, che si riprende una bella fetta indistro, in realtà è molto minore o mi sbaglio. Non sarebbe più corretto fare confronti non tenendo conto delle tasse a meno degli oneri previdenziali?    

Sono da tempo completamente in disaccordo col porre limiti di età ai docenti/ricercatori. Perchè mandare via uno che è capace anche se ha 95 anni? La cosa importante è ciò che fa non che età ha.

Si possono avere tutte le opinioni che si vogliono, chiaramente.

In origine, illis temporibus, pare che fosse proprio come dice Lei, il ruolo di Professore era a vita. Poi fu messo il limite di età dei 70 anni, e istituito il "fuori-ruolo" fino a 75 (con emolumenti a carico del sistema universitario, si badi bene). Il tutto veniva giustificato con la peculiare specializzazione e "rarità" della professionalità docente. Col tempo, queste giustificazioni sono sembrate sempre più dei paraventi per evitare di mettere il naso in una situazione di interessi e poteri "soluti" da ogni controllo.

Ma una gestione oculata deve tenere presenti i costi ed i benefici, ed anche "guardare lungo", perchè una Università è fatta per stare lì per lustri e lustri, e la produzione e la trasmissione del sapere sono compiti da garantire continuativamente anche con una certa stabilità della politica delle risorse umane.

Il punto più delicato, in Italia, è la difficoltà di mettere in piedi una valutazione delle persone che discrimini "bene" gli elementi rilevanti per un giudizio di valore. Tant'è che il "+2" e' concesso o negato in blocco, tipicamente, a tutti i 70enni che lo richiedono (prima era sempre concesso, adesso con i problemoni delle varie Università, è anche negato). Se fosse per qualche superstar, non ci sarebbero remore a concedere le eccezioni. Ma gli insiders hanno sempre troppi vantaggi sugli outsiders, ed in Europa non vi sono eccezioni a politiche pubbliche esplicite e nette su questo punto - cioè sulla posizione di un limite generale di età (o fissazione di eccezioni ben delineate). Basta vedere le statistiche.

Di giovani ce ne sono sempre meno mentre di vecchi sempre di più

Di giovani qualificati scientificamente ce ne sono in proporzione molti di più, e invece, in Italia, la fascia docente ultra-65enne non ha neanche il dottorato (perchè non c'era) e in molti casi non ha una forza scientifica adeguata al ruolo. Rimane la docenza e la gestione, ma anche su queste due funzioni le nubi sono parecchie (da vedere nei dettagli).

Viene chiesto da più parti di aumentare l'età pensionabile, fissare una età di 65 anni va controcorrente

Se aumentasse per tutti a, che so, 67, aumenteremmo anche per i docenti.

"Si può essere bischeri anche a 20 anni" (frase attribuita ad Amintore Fanfani) perchè fargli posto

Ai bischeri non si vuole fare nessun posto; per contro ci sono parecchi bischeri nell'Accademia.

Perchè non mettere un eguale limite anche per le cariche politiche?

La politica è sempre stato un terreno piuttosto "refrattario" a limitazioni formali, ma nella pratica le assicuro che fuori dall'Italia non è ben vista la gerontocrazia politica. In Europa vi è una regola non scritta per cui le cariche esecutive hanno un limite a 70 anni. Cioè, ad esempio, non si accettano Commissari che sforino i 70. Il primo Presidente della BCE Duisenberg accettò un mandato limitato a 4 anni, tagliandolo volontariamente rispetto agli 8, e lo giustificò pubblicamente con l'età (benchè sappiamo che vi erano pressioni della Francia per organizzare il baratto per Trichet, ma in questo caso i Francesi poterono far valere anche la "regola" dell'età).

RR

 

 

Intanto ringrazio "Renzino l'Europeo" per il commento. Purtroppo spesso i forum pululano di maleducati e si viene ben presto scoraggiati nel tentare di usarli per quello che dovrebbero essere ovvero luoghi di confronto.

Ho letto la sua replica e non eccepisco sul fatto che il "+2" venga troppo facilmente elargito, che i bischeri nell'Accademia sono tanti, anzi troppi, o che di giovani qualificati scientificamente ce ne sono in proporzione molti di più ecc.

Oggi però trovo che troppe persone cavalchino lo slogan del "Largo ai giovani a tutti i costi". Io invece rispondo "Largo ai capaci senza guardare alla carta d'identità".

Se il problema è quello del minor costo di un giovane rispetto a un vecchio io alzo bandiera bianca. E' un terreno su cui non voglio neppure avvicinarmi. Se mi si dice meglio un giovane che un vecchio a parità di capacità e dinamismo allora si può ragionare.

Sul piano della valutazione io uso l'accetta. Parto dal presupposto che non esista il metodo di valutazione perfetto allora dico che i parametri da misurare sono tre:

1) Valutazione che gli studenti danno al docente;

2) Valutazione della produzione scientifica sulla base di parametri internazionali;

3) Valutazione dei finanziamenti ottenuti. 

Possiamo criticarli quanto vogliamo, ma se non è possibile trovare nulla di meglio allora intanto usiamo questi i quali devono essere oggettivi per non cadere nelle solite pastette.

Ovviamente a tale valutazione deve far seguito un adeguata politica di premi e punizioni altrimenti non serve a nulla.   

 

Un saluto a tutti

Oggi però trovo che troppe persone cavalchino lo slogan del "Largo ai giovani a tutti i costi". Io invece rispondo "Largo ai capaci senza guardare alla carta d'identità".

Guardi, anche il suo principio è eccellente, ma deve scontrarsi con il fatto che in Europa la regola (molto) generale è che ci sia un'età di pensionamento, o comunque regole stringenti che considerano l'età come parametro essenziale. Ci sarà una spiegazione per questo (e c'è), non crede?

Io mi interesso di politiche per l'istruzione superiore e la ricerca, e ritengo poco interessante, poco fruttuoso, muoversi al di fuori del quadro che ho citato. Comunque devo dirLe per onestà che una volta Barroso dichiarò che, a seguito di un incontro con Premi Nobel e scienziati eccellenti, era rimasto convinto anche lui della bontà del principio "americano". Io sono un "sostenitore" di Barroso, e potrei convenire in astratto che è così, ma a livello di sviluppo di politiche, e segnatamente nei vari Stati, non ci fu nessuna spinta in quella direzione. E neanch'io spingo. Ci sono altri drivers.

Se il problema è quello del minor costo di un giovane rispetto a un vecchio io alzo bandiera bianca. E' un terreno su cui non voglio neppure avvicinarmi. Se mi si dice meglio un giovane che un vecchio a parità di capacità e dinamismo allora si può ragionare.

Noi stiamo ragionando sui grandi numeri, e cerchiamo di formulare politiche di sistema. Dobbiamo cercare un equilibrio di esigenze, e anche di costi. Veda Lei, questa è la politica, ma vorrei dire anche l'amministrazione.

1) Valutazione che gli studenti danno al docente;

2) Valutazione della produzione scientifica sulla base di parametri internazionali;

3) Valutazione dei finanziamenti ottenuti. 

Sono tutte cose da tenere in considerazione, sempre. Ma nessuna è determinante né automatica. Per lo sviluppo di carriera abbiamo un insieme di buone pratiche e di modelli da proporre, una cassetta degli attrezzi, per chi vuole fare sul serio.

RR

 

 

"Se solo anche in Italia si decidesse di pensionare i Baroni a 65 anni (liberando quindi risorse per meno costosi, ma spesso non meno validi, giovani accademici), e di legare gli scatti a valutazioni più stringenti, si risparmierebbe parecchio sul lato della spesa."


Vi ricordate il film di Elio Petri, La decima vittima, con Marcello Mastroianni ed Ursula Andress (forse no, tenuto conto della evidente giovane età di chi partecipa a questa discussione). Nel mondo  utopico di Petri (che è poi quello di un racconto di fantascienza di Robert Sheckley) coloro che avevano superato una certa età (non mi ricordo se 60 o 65 anni) venivano soppressi. Nel nostro mondo distopico invece i "baroni" che vanno in pensione dopo i 65 ricevono come pensione circa quello che ricevevano come stipendio e in più una consistente liquidazione. La differenza per il bilancio dello stato è che la spesa viene addebitata come pensione e non come stipendio e che il pagamento della liquidazione viene anticipato (mentre per motivi demografici connessi all' età e alla mortalità a questa connessa una parte di coloro che restano in servizio finiscono per non riceverla). Non si vede bene quindi in cosa consiste il risparmio, se non nella possibilità (non interamente da escludersi) che la loro attività lavorativa produca un valore negativo. Il risparmio c'è invece in altri sistemi, come notoriamente quello britannico, dove i diritti pensionistici sono molto più modesti che da noi.

Pur non essendo minimamente un esperto in tema di pensioni, ritengo a prima vista che se un docente andasse "normalmente" in pensione a 65 anni anzichè a 70, si avrebbero 2 effetti: un montante minore e un aspettativa di vita maggiore al momento della pensione (da cui un coefficiente di trasformazione diverso). Il combinato disposto dei due fattori porterebbe alla corresponsione di una pensione di ammontare inferiore (sia allo stipendio che il docente avrebbe percepito nel periodo 65-70 anni, sia della pensione in tal guisa percepita dopo i 70). Quindi un risparmio sicuro per lo Stato e un sacrificio non infimo per il docente, che però dal punto di vista dei proponenti (gli amici dell'APRI), va inquadrato nella grave situazione di squilibrio generazionale già creatosi e potenzialmente ancor più devastante nel prossimo futuro.

Dal punto di vista generale, per i docenti si tratterebbe di un mero adeguamento alla prassi canonica europea (da cui l'assoluta mancanza di senso di colpa che i proponenti ed io stesso proviamo nell'esprimere queste idee) mentre dal punto di vista del bilancio dello Stato e del Finanziamento Ordinario delle Università si tratterebbe di destinare quei risparmi all'assunzione di giovani accademici e quindi ad una ristrutturazione interna della massa stipendiale, oggi oppressa dalla frazione di docenti in età avanzata. A dire il vero ci sembrerebbe che l'intera operazione meriterebbe di essere fatta anche se comportasse un qualche aggravio "globale" per la contabilità delle Amministrazioni Pubbliche, quale "aggiustamento di sistema" una tantum, che però rimetterebbe in carreggiata il finanziamento ordinario per il prosieguo dei successivi decenni. Sul dettaglio dei conti mi affido a Lei e ad altri suoi colleghi, ma del principio generale sono convintissmo...

RR

 

Non ricordo l'eliminazione degli anziani nella Settima Vittima di Robert Sheckley, dove mi pare si parlasse di violenza umana incanalata in un gioco, mentre ricordo sull'argomento l'Esame di Richard Matheson, anch'esso pubblicato in Italia nelle Meraviglie del Possibile. Il film di Elio Petri mi sembra fosse più farsa e meno tragedia, quindi non mi stupirei di un'eventuale contaminazione, però non la ricordo esplicitamente. In ogni caso, a mio gusto, meritano sia l'antologia che il film.

In base alle prime indiscrezioni della manovra di Tremonti, ai salari dei docenti e ricercatori universitari:

- per il 2011, 2012, 2013 non si applica l'adeguamento all'inflazione
- per il 2011, 2012, 2013 non si applicano gli scatti biennali.

Inoltre per la parte dello stipendio eccedente i 75.000 Euro lordi, vi tagliamo il 10%.

- fino al 31/12/2010 si continuano ad applicare le attuali regole per il turn-over (al 50%, e di queste risorse il 60% vanno destinati all'assunzione di ricercatori)

- nel triennio 2011-2012-2013, invece, il turn-over scende al 20%, per tornare al 50% nel 2014 e del 100% nel 2015

- viene posta per tutte le amministrazioni, compresa l'università e gli enti di ricerca, una limitazione al 50%, rispetto a quanto speso per gli stessi contratti nell'anno precedente, anche del personale a tempo determinato, ivi compreso i co.co.co. Sono esclusi i contratti che non gravano sul Fondo di Finanziamento Ordinario (per esempio quelli che gravano su progetti di ricerca, ecc.)

- a conguaglio degli ingenti tagli già previsti dai decreti del 2008, a causa della nuova restrizione del turn-over, l'FFO viene ridotto di 24,3 milioni nel 2011, 72,5 nel 2012, 159,2 nel 2013, 260,8 nel 2014 e 299,5 nel 2015. Tuttavia ridanno 400 milioni per il 2011 e 350 milioni per il 2012 (per trasferire al futuro i soldi recuperati per quest'anno con l'ultima Finanziaria).

Si comincia a dare attuazione al dimagrimento da più parti richiesto, e in parte esposto anche in questo articolo.

RR

 

L’incremento della spesa corrisponde abbastanza strettamente a quello del numero di docenti, passato da 16000 nel 1980 a 61500 nel 2008, un aumento del 226%.

Oggi qualcuno cade dalle nuvole e deve ammettere che i ricercatori non sono docenti.

E P. Frassinetti (PdL) deve presentare l'emendamento per fare 9.000 nuovi Professori (con pieno assenso di Gelmini e Tremonti).

Allora ci avete raccontato qualche fola, in passato.

RR

 

Caro GF,

             ti segnalo che alcuni dati esposti nel pamphlet "l'universita' truccata" del prof. Perotti sono un po' artefatti e quindi vanno presi con le molle (avevo provato ad analizzare la questione con questo post, nel 2008).

Cio' avrebbe potuto essere considerato un utile espediente retorico per stimolare il dibattito se non fosse  che -in seguito- proprio questi dati sono stati rilanciati acriticamente dai media, alimentando un incredibile zoo di leggende metropolitane (di cui non e' certo il povero Perotti il solo responsabile).

A proposito di dati, mi sembra interessante il dato numerico, che conferma effettivamente quel che diceva Alberto Luisiani poco sopra (il costo e' fortemente condizionato dai ruoli: associati ed ordinari son cresciuti percentualmente di piu' rispetto ai ricercatori).

Un'ultima nota: il problema non sta tanto nei numeri, ma nella produttivita' di ogni singolo dipartimento. Se si vuole ridurre la spesa complessiva, bisogna andare a tagliare nei dipartimenti inefficienti (ammesso di sapere quali sono).

Finora questo non e' stato fatto (i tagli di tu-sai-chi son opera di macelleria messicana, con rispetto per i messicani).

Caro Carminat

E' possibile che Perotti sottovaluti il numero di studenti effettivo, mentre il rapporto OECD sicuramente lo sopravvaluta. In ogni caso ti deve essere sfuggito che io non uso i dati di Perotti ma una serie storica per l'Italia del rapporto studenti/docenti (http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/1704). Anche tendendo di tutti gli  iscrittii, fuori corso compresi, il corpo docente ricercatori compresi è ai suoi massimi storici. Il numero di soli professori  di I e II fascia per studente è in linea con la media storica.

Sono d'accordo sulla necessità di fare tagli mirati. Ma per questo ci  vuole una valutazione seria, ed i professori non la vogliono. Nel frattempo, i tagli non possono che essere indiscriminati. E comunque, ci andrei piano prima di parlare macelleria messicana. La spesa in termini reali non è diminuita fino al 2008, ed anche nel 2009-2010 è diminuita pochissimo. Il problema è la presenza degli scatti di anzianità e di adeguamenti collettivi degli stipendi che aumenta la spesa per personale in maniera continua.