Introduzione
Il mercato del lavoro è da sempre un tema centrale in economia politica. Data la sua importanza ad esso è stata prestata enorme attenzione che ha generato una letteratura teorica ed empirica sterminata. Però, per quanto sofisticati e complicati possano essere i modelli che si utilizzano, in questo come in tanti altri campi dell'economia è sempre utile tenere presenti le lezioni basilari dei modelli più semplici. Come minimo, è sempre utile esercizio quello di chiedersi perché riteniamo che il modello più semplice sia insufficiente e quali fenomeni addizionali speriamo di spiegare con modelli più complicati.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il modello economico più elementare è quello in cui il salario e l'occupazione sono determinati da domanda e offerta in un mercato concorrenziale. Le predizioni del modello sono semplici e chiare. Dovrebbero quindi essere prese come punto di partenza dei ragionamenti sull'argomento. Anche se si decide che il modello è troppo semplice e che varie complicazioni sono necessarie per spiegare ciò che si osserva, bisogna come minimo spiegare le ragioni di tale scelta, oltre ad articolare in modo compiuto un modello alternativo.
Ho deciso di scrivere questo post perché non vedo accadere nulla del genere. Al contrario, le dichiarazioni di molti commentatori lasciano trasparire un'ignoranza di fondo che lascia abbastanza sconcertati. Ben lungi dall'adottare modelli e schemi interpretativi più sofisticati, molti dei ragionamenti che vengono fatti, anche da esponenti politici e sindacali di primo piano, denotano una schietta ignoranza anche dei modelli economici più elementari. Spiegherò quindi con un certo puntiglio il modello elementare e le sue implicazioni. In un post successivo discuterò vari interventi di politici e sindacalisti.
Prima di continuare chiarisco che la discussione si incentra sul settore privato. La determinazione dei salari nel settore pubblico è un tema completamente distinto che viene continuamente e colpevolmente confuso con quello dei salari nel settore privato. Ad esso si applicano considerazioni completamente differenti che qui non ho il tempo di fare. Di certo, almeno dal lato della domanda di lavoro, il settore pubblico non ha concorrenti (solo l'Esercito assume soldati, in Italia, tanto per capirci) quindi il modello concorrenziale non è appropriato. Ed anche dal lato dell'offerta, visti i particolarissimi meccanismi con cui si accede ai vari tipi di impiego pubblico, molte persone sono di fatto escluse da quei tipi di impiego, pur avendo la capacità di svolgere le mansioni in questione. Tralasciamo quindi il settore pubblico e concentriamoci sul privato.
Il modello base
Partiamo veramente dalle fondamenta, ossia la determinazione del salario in un mercato concorrenziale del lavoro (''concorrenziale'' vuol dire che ci sono molti differenti lavoratori e datori di lavoro, e nessuno di essi ha molta influenza sul prezzo del lavoro, ossia sul salario). Ad ogni dato livello di salario ci sarà una data domanda di lavoratori da parte delle imprese (o, più in generale, datori di lavoro). La domanda di forza lavoro dipende negativamente dal salario, ossia tanto più alto è il salario tanto minore sarà la quantità di lavoro impiegata. Per esempio, consideriamo il mercato delle badanti. Se il salario di una badante fosse di 5000 euro al mese, solo le famiglie più ricche potrebbero permettersene una. Il risultato sarebbe un basso numero di badanti, ciascuna di queste assai ben remunerata. A un salario di 3000 euro chiaramente un maggior numero di famiglie sarà in grado di permettersi una badante. A 2000, il numero si espanderà ulteriormente. E così via, il ché spiega la pendenza negativa della curva di domanda di forza lavoro.
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A fronte di una domanda di forza lavoro c'è una offerta di forza lavoro ossia, per continuare l'esempio, un certo numero persone disposte a lavorare come badanti ad un determinato salario. La curva di offerta ha pendenza opposta a quella di domanda: tanto più è alto il salario, tanto maggiore è il numero di persone disposte a lavorare a quel salario. Per esempio, a 100 euro al mese praticamente nessuno vorrà lavorare come badante, per 800 euro al mese ci sarà un maggior numero e per 5000 euro al mese ci sarà più gente che vuole lavorare come badante che gente disposta ad assumere badanti.
Domanda e offerta di lavoro determinano il livello di salario e quello di occupazione. Il salario concorrenziale è quello al quale domanda e offerta sono uguali. Se fosse più alto (per esempio 5000 euro) ci sarebbe più offerta di lavoro che domanda. A questo punto, alcuni tra quelli che non riescono a trovare lavoro a 5000 euro farebbero presente che sono disposti a lavorare a 4500, e il salario scenderebbe. Parimenti, se il salario fosse 100 e nessuno fosse disposto a lavorare allora le famiglie che hanno bisogno di badanti inizierebbero a offrire più soldi, facendo quindi crescere il salario. Il punto di incontro tra domanda e offerta è quello in cui le forze che fanno crescere e decrescere i salari si annullano, raggiungendo quindi la stabilità. Nel grafico il salario di equilibrio è w*, cui corrisponde un livello di occupazione N*.
È ovvio che il salario di equilibrio e il livello di occupazione dipendono dalla posizione delle due curve, quella della domanda e quella dell'offerta di forza lavoro. Se la curva di domanda si sposta verso destra, per esempio, salario e occupazione aumentano. Questo è quello che accade nei periodi in cui l'apertura di nuovi mercati o la scoperta di nuove tecnologie generano nuove opportunità di produzione, che si traducono in maggiore domanda di fattori produttivi (compreso il lavoro). Se invece, per esempio, la curva di offerta di lavoro si sposta verso sinistra si osserva un aumento del salario e una diminuzione dell'occupazione. Questo, ci raccontano gli storici, è quanto accadde in Europa a seguito della Peste Nera che decimò la popolazione.
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La figura mostra le due situazioni. Il primo grafico mostra un aumento della domanda di lavoro. Il salario cresce da w1 a w2 e l'occupazione cresce da N1 a N2. Il secondo grafico mostra una diminuzione dell'offerta di lavoro. Anche in tal caso il salario cresce da w1 a w2 ma l'occupazione cala da N1 a N2.
Cosa succede se in un dato mercato si impone (per legge, per accordo sindacale o mediante qualunque altro mezzo) un salario differente da quello di equilibrio? In tal caso la quantità di forza lavoro domandata e di forza lavoro offerta saranno differenti.
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Nel primo grafico si mostra ciò che accade quando il salario è fissato a un livello inferiore a quello di equilibrio. In tal caso vi sono meno lavoratori disposti a lavorare che posti di lavoro disponibili. Alcune imprese quindi non riusciranno ad assumere tutti i lavoratori che desiderano al dato salario. In assenza di vincoli il salario crescerebbe, convincendo più persone a lavorare e le imprese ad assumere meno lavoratori, fino al raggiungimento dell'equilibrio. Ma se il salario è, per esempio, fissato per legge, questo non accade e di verifica uno squilibrio. Situazioni di questo tipo sono rare, ma non sconosciute. Un esempio è dato dagli USA durante la seconda guerra mondiale, quando il governo impose un regime di controllo di prezzi e salari, mantenendo i salari artificialmente bassi.
Il secondo grafico mostra ciò che accade quando il salario è fissato sopra il livello di equilibrio. In tal caso il numero di persone che desidera lavorare al dato salario è superiore al numero di lavoratori che le imprese desiderano assumere. Si crea quindi disoccupazione, che è esattamente la differenza tra il numero di coloro che desiderano lavorare al dato salario e il numero di posti di lavoro disponibili. In assenza di restrizioni, il salario scenderebbe, riducendo il numero di persone che desiderano lavorare e aumentando il numero di posti di lavoro disponibili, fino a raggiungere il punto di equilibrio. Ma se il salario è fissato per legge tale processo non può aver luogo e la disoccupazione rimane.
Il modello semplice qui mostra qualche limite. L'ipotesi che si fa infatti è che ci sia un solo salario e una scelta zero/uno, ossia occupato al dato salario o non occupato. In realtà, in situazioni nelle quali il salario è esogenamente fissato a un punto non di equilibrio i datori di lavoro e i lavoratori hanno interesse a cercare modi di aggirare la regolamentazione. Negli Stati Uniti della seconda guerra mondiale, quando i salari erano fissati e livelli inferiori a quelli di equilibrio, le imprese offrirono in modo massiccio fringe benefits (primo fra tutti, l'assicurazione sanitaria) che non erano regolati dall'amministrazione e quindi non incorrevano nelle ire dei calmieratori. Tali fringe benefits erano in realtà aumenti di salario mascherati. Analogamente, se il salario è fissato a livelli troppo alti ci saranno lavoratori disposti a lavorare a salari più bassi e imprese che cercheranno di trarre giovamento da tale condizione. Questo porta a fenomeni quali il lavoro nero cosidetto ''sottopagato'', la richiesta di periodi di apprendistato a bassissimo salario prima dell'assunzione, eccetera. Il punto generale è che l'imposizione di un salario non di equilibrio è equivalente alla proibizione, per usare una famosa frase di Nozick, di ''atti capitalistici tra adulti consenzienti''. Ci possiamo quindi attendere che tali adulti cerchino di commettere tali atti in barba alla legge.
Applicazione alle gabbie salariali
Bene, ora veniamo alla questione delle gabbie salariali. Come si applica l'analisi precedente e perché è rilevante? L'idea è sostanzialmente la seguente. Supponiamo che ci siano due distinti mercati del lavoro, quello del Nord e quello del Sud (è chiaramente una semplificazione, i mercati locali del lavoro sono tantissimi ed eterogenei sia al Nord sia al Sud). Supponiamo inoltre che le condizioni di domanda e offerta di lavoro siano differenti nelle due macroegioni, in particolare che nel Sud la curva di domanda di lavoro sia più bassa che al Nord. Infine, supponiamo che il salario sia determinato al livello che uguaglia la domanda e l'offerta di lavoro al Nord e che, in omaggio al principio ''uguale salario per uguale lavoro'', tale livello venga imposto anche al Sud mediante un contratto nazionale di lavoro che è legalmente vincolante. Cosa succede?
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La semplice risposta è contenuta nella figura: piena occupazione al Nord e disoccupazione al Sud. Al salario corrente c'è un numero F-sud di lavoratori meridionali che vorrebbe lavorare, ma solo un numero N-sud di posti disponibili. La differenza tra queste due quantità è la disoccupazione.
Eliminare il vincolo di un unico salario nazionale porterebbe a un salario più basso al Sud, accompagnato da una maggiore occupazione. Ci perderebbero tutti coloro che sono già occupati, che finirebbero per lavorare a un salario inferiore. Ci guadagnerebbero parte dei disoccupati, che troverebbero lavoro anche se a un salario più basso, e i datori di lavoro che pagherebbero un salario più basso. Notate infine che alcuni dei disoccupati smetterebbero di cercare lavoro una volta osservata la riduzione del salario. Quindi la disoccupazione sparirebbe in parte mediante la creazione di nuovi posti di lavoro e in parte convincendo alcuni potenziali lavoratori che non vale la pena cercare lavoro al salario più basso.
Frequently Asked Questions
Ma perché è più bassa la curva di domanda di lavoro al Sud? Non si può fare in modo che si alzi?
La prima domanda è l'essenza della questione meridionale. Perché l'economia meridionale genera una domanda di lavoro così bassa? C'è un dibattito che dura da più di un secolo sulla questione, per cui lascio la domanda sospesa e non mi addentro oltre (anche se consiglio tutti di leggere questo post di Michele). Rispondere alla seconda domanda richiede purtroppo che si risponda alla prima. Se, per esempio, riteniamo che il Sud abbia una struttura sociale e istituzionale ben funzionante e difetti solo di maggior capitale fisico che ne aumenti la produttività (per esempio un bel ponte sullo stretto di Messina) allora la risposta è di riaprire i rubinetti dell'aiuto al Mezzogiorno. Se invece riteniamo che il prinicipale problema del Sud sia la presenza di una classe dirigente marcia e rapace che sopravvive grazie ai trasferimenti del centro, allora la soluzione è tagliare il tubo che continua a nutrire tale classe dirigente disfunzionale e pericolosa. Analisi più sfumate e articolate sono possibili, ciascuna con le sue conseguenze in termini di soluzioni. Il dibattito continua.
Una osservazione importante però è che qualunque cosa si decida di fare per risolvere la questione meridonale, i risultati necessiteranno tempo per manifestarsi, probabilmente parecchio tempo. Nel breve periodo, qualunque sia la causa della bassa domanda di lavoro al Sud, l'unica opzione per intervenire rapidamente in favore dell'occupazione è permettere un aggiustamento del salario verso il basso.
Ma non è ingiusto che uno abbia un salario più basso solo perché è nato al Sud?
Si, è ingiusto. È anche ingiusto che uno abbia un salario più basso perché è nato in Italia invece che in Germania. Oppure perché il nonno è emigrato in Argentina invece che negli Stati Uniti. La vita è spesso ingiusta. Ci sono ingiustizie rispetto alle quali non si può far nulla. Il mio corredo genetico ha decretato che non sono bello come Brad Pitt; posso ritenere che ciò sia ingiusto, ma devo solo farmene una ragione e smettere di pensarci. Su altre ingiustizie possiamo agire, e l'ingiustizia dei salari differenti è una di queste. Il modo giusto per eliminare l'ingiustiza è far sviluppare il Sud; per farlo bisogna purtroppo rispondere alla domanda precedente. Quali sono le forze che mantengono la domanda di lavoro bassa al Sud? Il modo sbagliato di agire è invece quello di imporre per legge un salario uguale a quello del Nord. Oltretutto questo genera disparità al Sud tra i fortunati che ottengono il posto e quelli che restano disoccupati. Perche', in base all'analisi precedente, se il salario imposto e' maggiore di quello d'equilibrio il numero di posti a disposizione sara' minore del numero di lavoratori che tali posti desiderano per cui l'assegnazione dei lavoratori ai posti avverra' con meccanismi non di mercato: il caso, le amicizie, le relazioni personali, i favori personali, ...
Ma chi deve decidere quale deve essere il salario al Sud?
Questo è un punto su cui la confusione regna sovrana. In un mercato concorrenziale i salari non sono determinati da nessuno in particolare, sono le forze di domanda e offerta che determinano salario e occupazione. Su questo punto la Lega ha fatto veramente un pessimo servizio parlando di ''gabbie salariali''. Le ''gabbie'' erano un meccanismo istituzionale per cui la contrattazione dei salari era comunque centralizzata, ma poi si permettevano differenze per macroaree, anch'esse comunque gestite in modo politico e centralizzato da sindacati, associazioni padronali e governo. Tali differenze erano rigide, stabilite a priori, e non legate alle condizioni locali dei differenti mercati del lavoro. Si trattava quindi di un meccanismo di decisione centralizzata, che generava un ulteriore elemento di rigidità. Permettere che i salari si differenzino localmente grazie al gioco di domanda e offerta è chiaramente tutta un'altra storia. Questo è un obiettivo che si raggiunge non con meccanismi di contrattazione centralizzanti ma potenziando il ruolo della contrattazione decentrata, soprattutto a livello di impresa. I dirigenti della Lega sembra si siano resi conto dell'errore ed hanno smesso di parlare di ''gabbie salariali'', iniziando a parlare di ''salario differenziato territorialmente.'' Non hanno mai però chiarito esattamente cosa hanno in mente, mischiando allegramente salari pubblici e privati e introducendo in aggiunta il tema dell'adeguatezza dei salari al Nord.
In tutto questo, cosa c'entra il differente costo della vita tra Nord e Sud?
A ben vedere, niente. Supponete che il costo della vita sia lo stesso al Nord e al Sud, e provate a chiedervi come cambia l'analisi precedente. La risposta è che non cambia per nulla. Se la domanda di lavoro è più bassa al Sud, il salario di equilibrio deve essere più basso. Il costo della vita gioca un ruolo nel determinare la posizione della curva di offerta di lavoro (se con mille euro compro più roba, ci sarà più gente disposta a lavorare per mille euro; quindi a più basso costo della vita corrisponde una curva di offerta più spostata a destra), ma per il resto è una distrazione che ha poco a che vedere con la convenienza di permettere una differenziazione territoriale dei salari.
Perché allora Calderoli e altri si sono messi a parlare di costo della vita? L'ipotesi ottimista è che lo abbiano fatto per ragioni propagandistiche. L'elettore italiano medio non pare capire molto di domanda e offerta, mentre l'argomento del costo della vita è chiaro a tutti. L'ipotesi pessimista è che Calderoli e compagnia siano confusi e non capiscano bene i termini del problema, ossia non siano ben coscienti dei vantaggi e degli svantaggi dei salari differenziati territorialmente. Vedi anche la domanda successiva.
Scusate, ma il Nord in tutto questo cosa ci guadagna?
Questo è un aspetto abbastanza divertente della questione. Chiaramente i dirigenti leghisti sono convinti che la differenziazione dei salari favorisca in qualche modo il Nord. Se dobbiamo dar retta a un recente sondaggio Ipr, la popolazione del Nord è anch'essa molto favorevole. La verità però è che, nel breve periodo, non è chiaro cosa ci guadagnerebbe il Nord da una differenziazione salariale Nord-Sud determinata dalle forze della domanda e dell'offerta. Se il salario nazionale è fissato al livello che uguaglia domanda e offerta di lavoro al Nord, permettere un salario più basso al Sud non cambia il fatto che il mercato del Nord resta in equilibrio. Quindi, salari e livelli occupazionali non cambiano al Nord.
Questo vale però solo nell'immediato, Nel medio e lungo periodo la possibilità di pagare salari più bassi al Sud ha una serie di effetti che si ripercuotono anche sulle curve di domanda e offerta di lavoro al Nord. Alcuni imprenditori, attratti dal più basso costo del lavoro, apriranno fabbriche al Sud. In alcuni casi si tratterà di imprese che altrimenti non sarebbero nate, con un guadagno netto per tutti, ma in altri casi si tratterà di imprese che sarebbero altrimenti state create al Nord. Il più basso costo del lavoro al Sud aiuterà a mantenere bassi i prezzi dei prodotti meridionali, che diverranno quindi più competitivi rispetto a quelli settentrionali. Questo ridurrà la domanda di prodotti settentrionali e quindi la domanda di lavoro al Nord. Infine, la creazione di un gap salariale tra Nord e Sud potrebbe stimolare la ripresa del movimento migratorio. Ciò sposterebbe verso destra la curva di offerta di lavoro al Nord, riducendone i salari. Si tratta sempre di effetti di lungo periodo e di difficile quantificazone. Però si tratta, uniformemente, di effetti negativi per i lavoratori del Nord. Gli effetti positivi possono derivare dal fatto che un Sud più sviluppato e a più alto reddito sarà fiscalmente meno dipendente dal resto del paese e aumenterà la domanda di tutti i tipi di prodotti, compresi quelli fatti al Nord. Anche qui, sono effetti di lungo periodo e di ancor più difficile quantificazione.
Perché allora l'entusiasmo settentrionale verso le gabbie salariali? Faccio fatica a trovare spiegazioni razionali. Una spiegazione non razionale, e che si collega alla domanda precedente, è che i settentrionali ragionano in ottica egalitarista e si sentono penalizzati dal più alto costo della vita al Nord rispetto al Sud. La differenziazone dei salari, in tale ottica, non serve ad adattarli alle condizioni locali del mercato ma a garantire che il salario reale sia lo stesso su tutto il territorio nazionale, ossia che sia proporzioanle al livello regionale dei prezzi. Richiedere che il salario reale (ossia, che tiene conto del costo della vita) sia lo stesso su tutto il territorio nazionale è un po' meno stupido che richiedere che il salario nominale sia lo stesso, ma neanche poi tanto. La verità è che condizioni diverse nel mercato del lavoro devono determinare salari reali diversi. Di nuovo, guardare al costo della vita è una distrazione che fa ragionare male.
E perché al Sud sono tutti contrari?
Chi è attualmente occupato in modo stabile al Sud ha solo da perdere da una differenziazione territoriale del salario, dato che il suo salario si abbasserebbe e non otterrebbe benefici. Logico quindi che costoro si oppongano: hanno vinto la lotteria e non intendono restituirne una parte. Per lo stesso motivo, hanno da perdere coloro che sono fuori dalla forza lavoro (ossia non intendono lavorare comunque) e dipendono dal reddito di persone con occupazione stabile. Per esempio, una casalinga sposata ad un metalmeccanico occupato in modo regolare ha solo da perderci. Si noti inoltre che, per come si è sviluppato il dibattito, non si è fatta alcuna distinzione tra salari pubblici e privati. Tutti i dipendenti pubblici quindi temono di perderci da una differenziazione territoriale; lo stesso vale per i figli, mogli e mariti di dipendenti pubblici, siano essi parte o no della forza lavoro. A guadagnarci sarebbe i sottoccupati e disoccupati, che potrebbero regolarizzare la loro posizione e trovare lavoro, e le imprese che pagherebbero meno i lavoratori. In termini numerici, non e' impossibile che quelli che ci guadagnano siano meno di quelli che ci perdono. Sospetto inoltre che non a tutti sia chiaro che la differenziazione territoriale dei salari aumenterebbe l'occupazione al Sud e aiuterebbe a trovare lavoro, per cui anche parte dei potenziali beneficiari potrebbero non essere a favore.
Ma il tuo modello non è veramente troppo semplice?
Si, è troppo semplice. È un modello di equilibrio parziale, ossia assume che il mercato del lavoro si possa analizzare ignorandone le interrelazioni con altri mercati. In realtà il mercato del lavoro è così importante che le interrelazioni non possono essere ignorate. Un modello di equilibrio generale sarebbe più adeguato. È anche un modello statico, mentre tantissime decisioni sia di domanda sia di offerta di lavoro hanno importanti elementi dinamici. È un modello concorrenziale, mentre ci sono casi in cui il potere di mercato è importante. E così via, la lista delle inadeguatezze del modello è lunga assai. Come detto all'inizio, la letteratura al riguardo è sterminata e riguarda quasi interamente complicazioni del modello base. Due cose però.
Primo, la conclusione che l'imposizione per legge di livelli salariali più alti di quelli che si determinerebbero sul mercato tende a generare disoccupazione è assai robusta e difficile da rovesciare anche in modelli più sofisticati. Con tale conclusione bisogna quindi inevitabilmente fare i conti.
Secondo, io sarei molto contento di vedere un dibattito in cui il sindacalista di turno mi dice ''la tua valutazione dei benefici dei salari territorialmente differenziati è eccessiva perché non tiene conto degli effetti di equilibrio generale''. O degli effetti dinamici. Se il dibattito fosse in questi termini, diverrebbe necessario articolare con chiarezza di quali effetti di equilibrio generale o di quali effetti dinamici si stia parlando. Magari qualcuno si porrebbe il problema di stimare quantitativamente tali effetti. Alla fine impareremmo tutti qualcosa, e magari potremmo attuare politiche migliori.
Non si vede nulla del genere. Si vede invece da un lato una insistenza sul differente costo della vita che confonde e distrae e dall'altro una difesa a priori e senza argomenti dell'uguaglianza dei salari nominali, in quanto questa è la cosa ''giusta'' da fare. Tutto ciò non mi rende ottimista. D'altra parte è probabile che, una volta passato agosto, della cosa non si parli più. Dato lo stato attuale del dibattito, forse è meglio così.
Il tuo articolo mi sembra sostenere l'ipotesi che la compressione dei salari sia strettamente legata (generi la) alla compressione dei prezzi al consumatore finale. E' così? E se la compressione dei salari generasse solo e semplicemente minore potere d'acquisto dei sudisti e quindi più disoccupazione lasciando invariati i prezzi? Mi viene in mente, fonte TV, il prezzo della verdura. I prezzi a livello del contadino sono diminuiti del 15% mentre al mercato sono rimasti invariati.
Gente con meno soldi significa magazzini che tendono a non svuotarsi come in precedenza. Ed è tutto da dimostrare che l'eventuale aumento dell'occupazione superi, in effetti positivi, la sicura ed immediata diminuzione dei consumi. In realtà non credo all'automatismo né dell'una né dell'altra cosa ma visto che stiamo parlando attraverso modelli provo a buttarne là uno pure io. E poi come si può essere sicuri che a salari minori debba corrispondere una maggiore occupazione? In linea teorica potrebbe già essere ma come avere la sicurezza che al sud non ci sia già, per quando riguarda domanda e offerta di lavoro, un equilibrio sostanziale e che i fattori discriminanti non siano, ad esempio, mafia, camorra, corruzione, mentalità ecc?
Dai salari dipendono i prezzi, altrimenti basterebbe alzare i salari per aumentare il potere d'acquisto... se diminuisce la disoccupazione aumenta il prodotto, il reddito disponibile per consumi e risparmi.