Innanzitutto è doverosa una precisazione sull'essere garantisti. Il garantismo, come insieme di procedure giudiziarie esattamente definite, alle quali si deve sottostare prima di procedere alla proclamazione delle colpevolezza di una persona, non sono nella disponibilità di nessuno, o almeno così dovrebbe essere. Mi spiego: io posso pure dire di essere garantista, ma da questa mia dichiarazione non discende nulla per un individuo eventualmente imputato in un processo, dal momento che il garantismo si eserciterà in forme che sono amministrate nelle aule di giustizia. Insomma, il ministro della giustizia può legittimamente proclamare il suo garantismo, ma non è dai suoi atti che discende il garantismo propriamente inteso. Tutto questo per dire che cosa? Per dire che la rimozione di un politico dai suoi incarichi, o la sospensione di un funzionario dalle sue funzioni, non costituiscono necessariamente una violazione dei principi garantisti del nostro ordinamento penale, che rimarrebbero comunque salvaguardati, visto che si è garantisti nel processo non tanto nelle attestazioni di amicizia ad un indagato, ma nella preservazione dei diritti della difesa nel processo. Quindi la rimozione di un politico dai suoi incarichi non determina una lesione dei principi del garantismo, perché le garanzie dell'imputato continuerebbero ad essere comunque efficaci.
Una volta appurato che il mantenimento delle funzioni amministrative o di governo di un politico non è in alcun modo collegato al rispetto del principio del garantismo, rimane da vedere come si possa giustificare l'idea che sebbene un politico sia indagato è comunque opportuno che egli non sia rimosso dal suo incarico.
La prima considerazione, che rende prudenti, potrebbe essere che dimettendosi da tutte le sue funzioni, un parlamentare o un politico a qualunque livello, sarebbe esposto agli inevitabili e spiacevoli infortuni che deriverebbero dall'essere privato con disonore dalle cariche che ricopre. Così come aspettiamo fiduciosi l'esito dei processi per il bidello accusato sottrarre cimose dalle aule per rivenderle su ebay, senza licenziarlo, ma destinandolo ad altri incarichi, allo stesso modo aspettiamo per il politico l'eventuale sentenza di Cassazione? Io non direi proprio: quello di parlamentare o politico non è un lavoro vero e proprio, è piuttosto un periodo che alcuni cittadini dedicano per dare il loro contributo al governo del paese (cosa c'è da ridere?). L’allontanamento da quegli incarichi non dovrebbe essere vissuto come un’umiliazione, sempre che ovviamente i politici in questione abbiano effettivamente un mestiere al quale ritornare una volta dismessi gli abiti dell’uomo di stato.
Un'altra considerazione avanzata è offerta dal fatto che non dovrebbe essere consentito che siano gli avvisi di garanzia ricevuti a determinare le fortune politiche dei governanti. A questo proposito io farei alcune distinzioni. Un avviso di garanzia non è assimilabile a un rinvio a giudizio o addirittura a un mandato di arresto: è evidente che i tre casi sono differenti per gravità. A questo proposito il punto è semplice, ed è un problema di credibilità: compagini di governo che trascurino o non tengano nella debita considerazione il fatto che su alcuni loro membri pendono mandati di arresto o condanne in primo e secondo grado non possono ragionevolmente invocare il fatto che un sottosegretario sia, per dire, solo indagato (o compaia in intercettazioni imbarazzanti) se poi anche dinnanzi a rinvii a giudizio o condanne esse si riservano comunque il ricorso a un giudizio politico ulteriore che prescinde dal merito dei pronunciamenti giudiziari effettivi.
Il punto della credibilità è secondo me quello più importante. Affermare di essere garantisti fino in fondo, nel senso di attendere che sia un pronunciamento giudiziario a chiarire le colpe eventuali di un politico, significa sospendere ogni considerazione di opportunità etica o politica, che dovrebbero comunque affiancarsi alla valutazione degli esiti di un processo. Bene, a me questa sembra esattamente una forma di giustizialismo o giacobinismo, che tanto è esecrato da alcuni parti politiche. Ma il punto non è tanto la contraddizione di coloro che avversano ogni azione giudiziaria nei loro confronti e poi dinnanzi alle critiche per le loro condotte si rimettono esattamente all’esito dei processi. No, il problema è che costoro, che chiedono di essere “garantisti per davvero”, nel frattempo squalificano o comunque giudicano privo di qualunque credibilità l’insieme delle procedure giudiziarie che dovranno stabilire se le accuse contro un politico sono fondate o meno. Mi chiedo che cosa possa significare in termini di coerenza e credibilità personale sentire un ministro della giustizia che chiede ai colleghi deputati di essere garantisti nel rigettare le richieste di dimissioni di un sottosegretario e nel frattempo sentire lo stesso ministro derubricare indagini in corso da parte della magistratura come “frutto dell’elaborazione dei PM”. Delle due l’una: o il garantismo prevede che ci si affidi pienamente all’esito delle procedure giudiziarie, lasciando da parte ogni considerazione di tipo etico o di opportunità politica sugli atti oggetto d’indagine, e dunque nel pieno rispetto di quello procedure stesse senza tentativi di delegittimazione delle inchieste in corso; oppure il garantismo invocato non è quello del processo penale, ma quello dell’impunità e basta. Se si deve essere garantisti e dunque rispettosi del processo e del suo funzionamento non si può fare strame dello stesso quando gli esiti o il suo funzionamento non sono quelli desiderati.
Ovviamente dal mio punto di vista capisco bene che non ci si può affidare, nella valutazione di una condotta, esclusivamente al garantismo o alla valutazione delle circostanze di opportunità: come si è detto mille volte se vedo un tizio che mi ruba in casa non attendo il pronunciamento della Cassazione per ritenere quel ceffo un ladro; qui piuttosto esprimo la sorpresa per un garantismo che esclude valutazioni esterne a quelle giuridiche se si avanzano considerazioni di opportunità politica, mentre dinnanzi all'esito dei processi torna a rifugiarsi nella valutazione di circostanze extra-processuali.
In definitiva, se il garantismo deve certamente essere invocato come un caposaldo della nostra civiltà giuridica esso non può essere accompagnato da un rigetto o da una de-legittimazione delle procedure di giudizio informate a quel garantismo (tanto più da parte del ministro della giustizia), perché se così si facesse non si starebbe parlando di garantismo ma solo di impunità, nel più grave dei casi, o del tentativo di sottrarre la propria condotta pubblica a qualunque discussione appena appena critica.
Ps: un pensiero a tutti quei poveracci che ogni giorno sono stritolati dalla macchina della giustizia e che sottostanno alle regole che per loro valgono senza discussioni. Io mi chiedo sempre: ma se persone con ottimi redditi, istruzione, potere e visibilità sociale sfasciano il sistema della giustizia additando il suo funzionamento come politicizzato, frutto di abusi e deliri della magistratura, che cosa dovranno pensare delle loro sentenze passate in giudicato poveracci e tossicodipendenti? Anche questo è un bel modo di sputare in faccia alla gente semplice e mostrare tutto il classismo possibile.
Premetto che il termine garantismo, come quasi tutti gli "ismi" puzza; non è il singolo più o meno garantista, ma deve essere il sistema di regole che garantisce l'uguaglianza davanti alla legge. Ancora più grave delle dichiarazioni del singolo politico o ministro che squalifica in partenza le indagini appena avviate da una procura è il sistematico rifiuto, negli ultimi anni, della vecchia "autorizzazione a procedere" nei confronti di un parlamentare da parte delle Camere. Anche di fronte a richieste di arresto (vedi Cosentino), il Parlamento ha sempre difeso l'indagato criticando anche nel merito (cosa che lede evidentemente la divisione dei poteri) le indagini in corso. Questa distorsione pratica nell'applicazione delle regole è un ulteriore colpo all'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.