Dopo la caduta del Muro di Berlino era opinione prevalente che gli Stati Uniti spingessero sull'acceleratore del libero commercio e dei movimenti di capitali come strumenti per consolidare la propria egemonia economica e di riflesso la propria influenza geopolitica. Non solo i fautori, ma anche gli avversari di destra (i populisti alla Tremonti o Le Pen) come di sinistra (Naomi Klein, i No-Global, gli anti WTO, gli "anti-Washington consensus" etc.) avevano diffuso la nozione che rapporti economici, commerciali e finanziari più stretti tra aree geografiche remote avrebbero esteso e rafforzato l’influenza dell’unica superpotenza rimasta. La deregolamentazione finanziaria, la liberalizzazione degli scambi, le telecomunicazioni, le nuove tecnologie e l’informazione 24/7 diffusa dai satelliti sarebbero state le ali sulle quali questo processo avrebbe spiccato il volo.
Pochi avevano intuito che la cosiddetta globalizzazione innescava un processo complesso e multiforme dalle mille sfaccettature, e quindi ingovernabile, che favoriva l'ascesa di paesi molto popolosi e poveri, ma anche poco abituati alla democrazia. Le attività economiche, in primo luogo manifatture tradizionali, logistica, trasporti, energia si sono frammentate e ricomposte in una miriade di interrelazioni che hanno ridisegnato la mappa del potere economico. Della globalizzazione (almeno finora) si sono avvantaggiati in termini relativi proprio quesi paesi, Cina in testa, che sembravano il terreno di conquista. Insomma, a dispetto dei ruoli assegnati nella sceneggiatura, le comparse sono diventate protagoniste.
Cominciamo dalla Tabella. Quando ero studente, nei corsi di finanza si imparava che Wall Street da sola valeva circa due terzi della capitalizzazione delle borse mondiali. Il resto era composto dai mercati dei paesi avanzati, Londra, Tokio, Francoforte, Parigi, Sydney, Milano etc. mentre i paesi che allora ancora si chiamavano sottosviluppati raccoglievano qualche briciola.
Verso la fine del secolo scorso, nonostante l'America fosse considerata l'unica superpotenza e la sua economia crescesse a tassi (un po' amfetaminizzati) che suscitavano l’invidia dell'Europa stagnante, la capitalizzazione di Wall Street arrivava a coprire meno della metà del totale mondiale. La fiammata delle dotcom spinse questo rapporto a toccare il 50% esatto, ma da allora il declino è stato inesorabile. L’anno scorso Wall Street ha contato per poco più di un quarto della capitalizzazione mondiale. Per le borse degli altri paesi sviluppati la discesa è stata meno brutale, dal 46% al 41%.
I mercati emergenti (alcuni dei quali sono ormai emersi del tutto e respirano a pieni polmoni) hanno quadruplicato la loro quota di capitalizzazione mondiale in dieci anni raggiungendo quasi un terzo del totale. Tra questi, i quattro più grandi (Brasile Russia India e Cina da cui l’acronimo BRIC) da soli contano per quasi un quinto. Il sorpasso dei BRIC su Wall Street dovrebbe realizzarsi nel corso di questo decennio.
Composizione dei Mercati Azionari per Aree Geografiche
|
1999 |
2000 |
2001 |
2002 |
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
2007 |
2008 |
2009(E) |
Capitalizzazione Borse Mondiali |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
100% |
USA |
46% |
47% |
50% |
47% |
45% |
43% |
39% |
36% |
31% |
33% |
28% |
Paesi Sviluppati |
46% |
45% |
41% |
42% |
44% |
44% |
44% |
44% |
41% |
41% |
41% |
Paesi Emergenti |
8% |
8% |
9% |
11% |
12% |
13% |
16% |
20% |
28% |
26% |
32% |
BRIC1 |
2% |
3% |
3% |
3% |
4% |
4% |
6% |
9% |
17% |
15% |
19% |
Altri Emergenti |
6% |
5% |
6% |
7% |
7% |
9% |
11% |
10% |
11% |
11% |
13% |
1 Brasile, Russia, India, Cina
Fonte: Standard and Poors
I mercati sono però solo il risvolto più facilmente misurabile. Per ottenere una sintesi della trasformazione in atto, Danny Quah della London School of Economics ha calcolato il centro di gravità economico come la media ponderata delle coordinate geografiche delle maggiori città mondiali (con pesi proporzionali al reddito della loro popolazione). Per i pignoli, Quah ha selezionato 692 località ed agglomerati urbani tra quelli con popolazione superiore al milione ed i dettagli sono disponibili qui.
Il grafico in basso mostra che nel 1976 il centro di gravità si trovava nelle acque del Nord Atlantico, negli anni successivi ha attraversato l’Europa e nel 2003 si è avvicinato a Mosca. Se fossero disponibili dati più aggiornati, credo che il baricentro lo individueremmo grosso modo in movimento verso la parte meridionale delle steppe siberiane.
Fonte: Quah, Danny “THE SHIFTING DISTRIBUTION OF GLOBAL ECONOMIC ACTIVITY” LSE Working Paper, October 2009
La crisi del 2008-09 ha semplicemente impresso un'accelerazione a questo processo di ribilanciamento dell'economia mondiale, producendo uno smottamento tettonico dell'influenza economica. Il secondo grafico mostra i dati storici e le previsioni fino al 2012 pubblicate il mese scorso dal Fondo Monetario Internazionale per l’aggiornamento del World Economic Outlook. Si può essere più o meno d’accordo sui numeri, ma il nocciolo della questione è il divario nei tassi di crescita che scandisce il tragitto del baricentro. I maggiori paesi emergenti hanno rallentato in seguito alla crisi, ma non hanno subito il tracollo che si e' manifestato nei paesi avanzati.
Sfido chiunque a sostenere che due anni fa avrebbe previsto, con una caduta del Pil americano, giapponese ed europeo nell'ordine del 5%, una crescita del Pil cinese dell'8% e di quello indiano del 7% (ecco il rapporto sull'India dell'IMF). Questo secondo me è il dato davvero incredibile.
Nel 2013 secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale la porzione del Pil mondiale (calcolato in modo da riflettere il potere di acquisto in ciascun paese) prodotta dai paesi emergenti sarà leggermente superiore a quella prodotta dai paesi sviluppati, vale a dire il 50,6% contro il 49,4%. Nelle economie emergenti la quota di investimenti sul Pil aumenterà dal 25% nel 1993 a quasi un terzo nel 2010. Nei paesi avanzati tale quota scenderà dal 22% nel 1993 al 18% nel 2010.
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Aggiornamento del World Economic Outlook, Gen. 2010
In definitiva, la geografia economica nel XXI secolo verrà ridisegnata -- sull’onda delle macro tendenze demografiche -- dalle classi medie che stanno solidificando la propria ascesa in Estremo Oriente (e in misura minore in India e nel Medio Oriente). L’Occidente (insieme al Giappone) vecchio e rivolto al passato, si illude ancora di mantenere -- senza troppi sacrifici -- il benessere raggiunto dalle generazioni precedenti. Una larga fetta dell'elettorato si risveglia dal letargo solo quando si tratta di difendere pensioni (insostenibili) e affonda la testa sotto la sabbia appena si parla di futuro, in una specie di andreottiano rito collettivo di rimozione della realtà e delle responsabilità.
Non lasciano ben sperare gli umori di una classe media occidentale impoverita -- illusa prima dai debiti privati e ora dai debiti pubblici -- che si affida ai parolai, variamente catalogati di destra o di sinistra (o del nulla, come Tremonti), che attribuiscono la colpa alla Cina, agli immigrati, alle multinazionali, ai banchieri, ai petrolieri, alle toghe rosse, all'Unione Europea, all'euro, al dollaro, a seconda della giornata e del pubblico. Mentre nessuno ricorda che il 2010 è l'anno in cui secondo la Stategia di Lisbona (lanciata dal Consiglio Europeo nel marzo 2000) l'Unione Europea sarebbe diventata la più competitiva e dinamica economia della conoscenza.
L’ultimo è un grafico 3D (la risposta degli economisti ad Avatar?) di Nordhaus e Chen che hanno sviluppato una base dati sulle attività economiche disaggregate per coordinate geografiche (The G-Econ Database on Gridded Output: Methods and Data disponibile sul sito dell’Università di Yale). In pratica G-Econ riporta il valore aggiunto calcolato per ogni quadrato del reticolo di coordinate terrestri (esclusi i mari) ad una risoluzione pari ad un grado di latitudine e di longitudine. Gli istogrammi nelle regioni costiere della Cina sono ancora bassi rispetto a quelli nel cuore dell’Europa, ma sono tanti e diventeranno sempre di più, mentre l’India ed il Medio Oriente che ancora alla fine del XX secolo erano una distesa di varie tonalità azzurre, adesso vantano qualche sprazzo scuro. La geografia economica del XXI secolo sarà definita da quanto in alto svetteranno gli istogrammi tra il Golfo Arabico e Vladivostok.
Fonte: Nordhaus e Chen - The G-Econ Database on Gridded Output: Methods and Data
Per finire, qualche considerazione di geopolitica. L’ultimo G7 dell’Aquila in luglio si è svolto in una degna cornice. Tra le macerie materiali, si ragionava sulle macerie finanziarie provocate dalla bancarotta di Lehman e si è data pietosa sepoltura all’illusione (peraltro già da tempo in coma) che quattro europei, due nordamericani e un giapponese potessero continuare ad inscenare la periodica farsa del “Direttorio del Mondo”, nonstante questi vertici si risolvessero da tempo per lo più in inconcludenti comunicati finali di stile kafkiano. Il forum dove si discuterà seriamente del coordinamento delle politiche economiche internazionali sembra essere il G20. Non è ancora chiaro se questo consesso sarà meno inconcludente del G7 o quali procedure decisionali adotterà, chi ne influenzerà l’agenda, se sarà una mera foglia di fico per coprire le intese tra USA e Cina. Però è sicuro che se la Cina dovesse superare gli Stati Uniti per dimensioni dell’economia (cosa che accadrà intorno al 2020, se le tendenze attuali vengono confermate), sarebbe la prima volta da almeno un paio di secoli che la prima potenza economica del pianeta non è retta da un sistema costituzionale. E tantomeno democratico.
Insomma, la globalizzazione ha sollevato dalla povertà centinaia di milioni di individui ma, con il potere economico, aumenta anche quello geopolitico e di riflesso cambia anche il sistema di valori dominanti, di cui il sistema politico è spesso espressione. Alcuni pensano che con la decentralizzazione del sistema economico monti la domanda di libertà. Io nutro i miei dubbi. Da quasi 4 anni vivo in paesi a regimi autocratici e vado in giro per paesi a basso tasso di democrazia (uso un eufemismo), inclusa la Cina. Finché la pancia è piena e il benessere si diffonde la richiesta di diritti politici e civili rimane in secondo o terzo piano. Anche qualora circolino le notizie e siano tollerate le critiche. Quando le cose vanno male (o le disuguaglianze sono troppo smaccate) allora, forse, la gente si ribella. Ma non sempre le ribellioni portano democrazia e diritti civili. A me basta guardare sull'altra sponda del Golfo in Iran, oppure pensare alla Russia, e andando indietro al Nicaragua, alle tante rivoluzioni in Africa contro il colonialismo, e via discorrendo fino alla Rivoluzione Francese che produsse Robespierre e poi Napoleone.
Stabilità finanziaria globale (Draghi al PE).
RR