Considerazione introduttiva: il porcellum produce instabilità.
Da quando è stata introdotta con un esecrabile colpo di mano alla fine del 2005, l'attuale legge elettorale nota col roseo nome di "porcellum" ha prodotto una legislatura che è durata meno di due anni e un'altra che sembra avviata sulla stessa strada. Mentre si può imputare lo scioglimento del Parlamento 2006-2008 alla situazione di sostanziale parità determinatasi alle urne, per il Parlamento attuale questo argomento chiaramente non vale.
Due osservazioni sono certamente insufficienti per dare un giudizio definitivo, ma vorrei lo stesso far notare che la maggiore instabilità governativa al tempo del porcellum, rispetto a quello del mattarellum, è esattamente quello che ci si può attendere dal punto di vista teorico. Il porcellum è infatti fatto apposta per esaltare e massimizzare l'importanza delle forze minori che accettano di allearsi con quelle maggiori. Tra le sue varie bizzarre regole, infatti, ce n'è una che prevede che le soglie per la partecipazione alla spartizione dei seggi siano parecchio più basse per i partiti che si aggregano a coalizioni grandi rispetto ai partiti che corrono soli o partecipano a coalizioni piccole (2% contro il 4% a livello nazionale per la Camera e addirittura 3% contro 8% a livello regionale per il Senato). La struttura partitica ovviamente è endogena rispetto alla legge elettorale -- cioè leggi elettorali diverse inducono le forze politiche a organizzarsi in maniera diversa in vista delle elezioni -- per cui quello che ci si può attendere dal porcellum è una proliferazione di partitini che cercano di diventare determinanti per il successo della coalizioni in lotta.
La lezione di questa legislatura è da questo punto di vista estremamente interessante. Le elezioni del 2008 erano partite come elezioni dall'esito abbastanza scontato. In queste situazioni l'interesse delle forze politiche maggiori è quello di evitare alleanze con forze piccole, il cui apporto non può cambiare l'esito elettorale. Abbiamo quindi avuto l'esclusione della sinistra radicale nella coalizione di centrosinistra (favorita anche dal fatto che i politici della sinistra radicale si aspettavano comunque di essere in grado di entrare in Parlamento, un errore comune praticamente a tutti gli osservatori politici) e l'esclusione di Casini e Storace dalla coalizione del centrodestra. In più, si era verificata la fusione di Forza Italia e AN nel PdL.
Gli orientamenti dell'elettorato sembravano dunque aver avuto ragione rispetto alle tendenze centrifughe della legge elettorale. Ma l'illusione è durata ben poco. Gli incentivi contano, in economia come in politica, e anche in questo caso hanno rapidamente avuto il sopravvento. L'inevitabile, ossia la costituzione di nuove forze pronte che cercano di divenire determinanti, è avvenuto. Di rimbalzo, è iniziata la corsa affannosa nel centrodestra a recuperare qualunque scheggia possa aiutare la coalizione, con Berlusconi che si precipita ai convegni di Storace e fa shopping nell'UDC. Sospettiamo che non passerà troppo tempo prima che i rifondaroli inizino a riflettere sull'opportunità di sgraffignare pure loro qualche poltrona ... cioè, scusate, di formare un grande fronte democratico e antifascista per battere le destre riportando la sinistra antagonista in Parlamento (il ramoscello è già stato porto da Rosy Bindi).
A partire da qui sarà un crescendo. Se, in un modo o nell'altro, la legislatura tirerà avanti sarà un fiorire di gruppetti e personalismi. Verrebbe da essere preoccupati perché questo in principio può bloccare le riforme di cui il paese ha bisogno, ma ci si rasserena immediatamente osservando che comunque di riforme decenti non c'era neanche l'odore. Se invece la legislatura terminerà e si tornerà a votare con il porcellum, è probabile che assisteremo nuovamente alla creazione di alleanze larghe ed eterogenee con un ruolo cruciale assegnato ai piccoli partiti.
C'è un'alternativa al porcellum?
In sintesi, la risposta è che al momento l'unica alternativa credibile al porcellum, dati gli schieramenti in campo, è un ritorno al proporzionale. Ma è difficile, per cui è probabile che le cose restino come sono. Cerco di spiegarmi.
Esiste comunque un limite, perfino per gli elettori italiani, all'eterogeneità delle coalizioni che si possono costruire senza alienare almeno una parte dell'elettorato. Una alleanza tra PD e altri di centrosinistra con Fini e Casini sotto le insegne di un unico candidato alla presidenza del consiglio appare per questa ragione non realistica (almeno per ora; se la legislatura dura altri tre anni si vedrà).
D'altra parte è probabile che, guardando strettamente ai numeri, la somma aritmetica dei voti dei partiti di centro e di sinistra sia superiore a quella dei partiti di destra. Alle politiche del 2008 la somma dei voti di PdL, Lega e Storace è stata di 48,11%, la somma dei voti di MpA e UDC è stata di 6,75% e la somma di PD-IdV, Sinistra Arcobaleno e Partito Socialista è stata di 41,61%. Da allora i numeri probabilmente sono un po' cambiati a sfavore del centrodestra, dove la Lega continua ad avanzare ma in buona misura a spese del PdL e la scissione di Fini ha ulteriormente indebolito questo partito.
Che fare dunque? Risposta complicata per alcuni e facile per altri. La parte politica per cui le cose sono facili è il centro, in particolare l'UDC. È chiaro che costoro trarrebbero immenso giovamento da un ritorno al proporzionale; con grande probabilità né la destra né la sinistra riuscirebbero a ottenere una maggioranza dei seggi e i centristi potrebbero far pesare il loro enorme potere di negoziazione alleandosi ex post con la coalizione che offre loro il pasto più appetitoso. Casini non ha mai nascosto il suo favore per il proporzionale. Fini al momento non può dirlo, ma lo dirà quando e se arriverà il momento. Il signore ha già cambiato opinione del passato (convinto proporzionalista nel 1993, è poi diventato convinto fautore del maggioritario) a seconda delle convenienze contingenti, lo farà ancora nel futuro.
Sul versante destro le cose sono un po' più complicate ma neanche tanto. Più o meno, alla destra il porcellum va bene così com'è perché appare al momento la loro migliore opportunità per vincere le elezioni. In verità, come spiega bene Donato De Sena su Giornalettismo, il porcellum appare nella situazione contingente particolarmente favorevole alla Lega e meno al PdL. Ma il PdL in quanto partito conta poco; decide Berlusconi, e dal momento che nessuno mette in discussione la sua leadership nessuno nel partito si metterà a combattere battaglie donchisciottesche per cambiare la legge elettorale.
Le cose invece sono più complicate a sinistra e in particolare per il PD, che si trova ad affrontare un genuino trade-off tra breve e lungo periodo. Nel breve periodo (ossia, la prossima elezione) è ovvio che il proporzionale è la scelta migliore. Impedirebbe la vittoria del centrodestra e offrirebbe una buona probabilità di ritornare al governo in alleanza con Fini e Casini; con il porcellum la destra vincerebbe sicuramente alla Camera e la sinistra sarebbe ridotta a sperare in un impasse al Senato, che probabilmente porterebbe a una debolissima Grosse Koalition in cui la sinistra ha bassissimo potere contrattuale. Ripristinare il Mattarellum o un altro sistema maggioritario è fuori questione, dato che Casini e Fini non ci staranno mai. D'altra parte è anche chiaro che nel lungo periodo il proporzionale non può che portare a un irrobustimento del centro e a un progresivo indebolimento della sinistra. In sintesi, il PD o le formazioni che da esso origineranno nel futuro dovranno accontentarsi del ruolo di comprimari. Da questo punto di vista perfino il porcellum sembra migliore, ammesso che il PD riesca un giorno a riprendere almeno un po' di consensi al nord.
Cosa ci si aspetta in un partito quando c'è un trade-off tra breve e lungo periodo? Se il partito è diviso ci si aspetta che chi ha il potere propenda per la soluzione di breve periodo mentre chi sta cercando di prendere il potere in futuro propenda per la soluzione di lungo periodo. La vittoria nel breve periodo infatti, per quanto mutilata, produrrebbe potere e prebende soprattutto per i membri dell'attuale maggioranza interna. A parità di tasso di sconto intertemporale è quindi la minoranza interna che ci aspettiamo di vedere più preoccupata per il futuro.
E così infatti è. D'Alema, il vero capo del partito in questo momento, ha detto chiaramente che vuole il proporzionale. Veltroni, vera guida dell'opposizione interna, ha appena prodotto un documento in cui si chiede una legge elettorale ''di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali''. Il risultato è che il PD sulla questione della legge elettorale è paralizzato. Tanto per cambiare.
Ma i numeri nel parlamento attuale ci sono? Ed è bene o male?
Se i veltroniani sono seri nel sabotare il progetto di D'Alema, i numeri per un ritorno al proporzionale in parlamento non ci sono. Qua ''essere seri'' significa mettere sul piatto la possibilità di una scissione, dato che se i veltroniani fossero l'unico ostacolo al ritorno al proporzionale la situazione interna al PD diverrebbe incandescente.
Ma anche assumendo che la dissidenza veltroniana rientri, resta il problema di stabilire se ci sono i numeri in Parlamento. Questa è cosa che al momento non sa nessuno, dato che i movimenti tellurici interni al PdL non si sono ancora assestati e probabilmente non si assesteranno per un bel po'. È vero comunque che se ci saranno ulteriori defezioni dal PdL queste, in un modo o nell'altro, rafforzeranno le forze centriste e saranno naturali alleati di un ritorno al proporzionale. Resta da chiedersi cosa farà l'IdV. Di Pietro tuona contro il porcellum ma fiuta la trappola, dato che un ritorno al proporzionale potrebbe portare a un'alleanza tra PD e centro che lo marginalizzerebbe. Nel passato il suo atteggiamento sulla legge elettorale è stato ondivago; ha appoggiato la raccolta di firme per il referendum ma poi al momento del voto si è schierato contro. È probabile che continui a ondeggiare.
Anche se il ritorno al proporzionale appare come un evento a bassa probabilità, vale la pena di chiedersi se sarebbe un bene o un male. Fino a poco tempo fa la prospettiva di un ritorno al proporzionale mi faceva semplicemente orrore. Significherebbe infatti il seppellimento definitivo di qualunque riforma seria, a cominciare da quelle che richiedono di ridurre la spesa pubblica o liberalizzare settori controllati da varie e potenti corporazioni.
Ma a questo punto, occorre chiedersi: qual è l'alternativa? Il porcellum sembra aggiungere a tutti i problemi del proporzionale alcuni problemi addizionali, e certo non ha condotto in alcun modo (e c'è da aspettarsi che non condurrà in futuro) su alcun sentiero riformatore. L'instaurazione di un maggioritario ben fatto (le mie preferenze sono note), o perfino solo la reinstaurazione del mattarellum (che mai mi sarei aspettato di dover rimpiangere), appare completamente senza speranza. Con un po' di cinismo si potrebbe quindi concludere che il proporzionale è forse il male minore. Ma faccio veramente fatica ad ammetterlo. Forse devo solo aspettare di diventare ancora più cinico.
Basta che tu parta da un semplice assunto: gli italiani non vogliono le riforme che tu (ed io) vorresti. Le vorranno solo quando si renderannno conto che non ci sono alternative - e per questo ci vorranno almeno altri 10-15 anni di declino e marasma politico. Nel frattempo, forse il proporzionale è marginalmente meglio. Il problema è che SB e Bossi non sono eterni. Prima o poi moriranno o avranno qualche infermità che impedirà loro di continuare a fare politica. A quel punto la Destra esploderà in una decina di partitini personali (2-3 Leghe, CL sotto Formigoni, il gruppo Tremonti, gli ex-AN non finiani etc.) e/o regionali (Lombardo ed il suo MPA etc.), la sinistra, finora tenuta insieme solo dall'antiberlusconismo, idem. Risultato: paralisi totale