In commissione difesa della Camera dei Deputati è iniziata la discussione del disegno di legge n. 1360 per istituire l'"ordine del tricolore", vale a dire una onorificenza da assegnare indifferrentemente a coloro che, durante l'ultima guerra, furono soldati e militi della Repubblica Sociale, partigiani, deportati, internati militari.
Lo scopo è quello di dare
"la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente".
L’articolo 2 di tale disegno di legge, infatti, così recita:
“L’onorificenza è conferita a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durantela guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati ed invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento di prigionia, nonché ai combattenti nelle formazioni dell’esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-’45”.
Insomma, la ratio della legge sarebbe che siamo tutti italiani, figli della temperie guerriera del ventennio e quindi
"chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammuce 'o passato".
L'iniziativa parlamentare, con raro tempismo, giunge quasi in corrispondenza della celebrazione del Giorno della Memoria che, come noto, è stata istituita anche perchè nessuno possa mai dire "scurdammuce 'o passato". Nel mio piccolo, voglio contribuire anche io.
Questa storia me la ha raccontata una gentile signora di più di ottanta anni, che è venuta una mese fa nel mio studio perchè aveva bisogno di una dichiarazione giurata. Occorre sapere che lo stato italiano, con una legge del 1980, ha deciso di tutelare i perseguitati razziali del periodo fascista, concedendo loro un assegno vitalizio. Tra i vari documenti che la burocrazie richiede, c'è anche una dichiarazione che deve essere resa da coloro che possono dare testimonianza delle persecuzioni subite e che deve essere giurata in Tribunale o davanti ad un notaio,.
Ecco dunque la ragione per la quale la signora era nel mio studio ed ecco dunque, per come l'ho appresa, una piccola tessera dell'immenso e tragico mosaico della Shoah.
È la storia di una signora che chiameremo Laura, che nel 1938 aveva quattordici anni e che dopo aver frequentato l'avviamento professionale voleva iniziare il mestiere di sarta. Laura, con i suoi tre fratelli, viveva ad Ancona dove il padre, che aveva combattuto nella Grande Guerra venendo anche decorato, faceva l'ambulante.
Il problema di Laura è che è di religione ebraica e questo, nell'Italia del 1938 era diventato una colpa: con l'arrivo delle leggi razziali la licenza di commercio del padre venne revocata, con ciò mettendo la famiglia sul lastrico. Le sartorie "ariane" di Ancona rifiutarono di dare un lavoro alla ragazzina ebrea e Laura dovette anche smettere di frequentare le sue coetanee, con le quali aveva seguito l'avviamento professionale, dato che, loro, un lavoro erano state in grado di trovarlo. Anche il resto della famiglia dovette adeguarsi: un fratello che frequentava il secondo anno dell'istituto nautico fu costretto a lasciare la scuola pubblica e la sorella di otto anni dovette frequentare i corsi privati organizzati dalla comunità ebraica, mentre il fratello più piccolo, di appena quattro anni, fu espulso dall'asilo comunale.
Dall'oggi al domani, quindi, la tranquilla vita di una famiglia come tante si trasformò nell'incubo della persecuzione: nessun lavoro per il padre, nessuna possibilità di lavorare per Laura, nessuna scuola per i fratelli e questo per sette anni, sino all'ottobre del 1943, quando le cose peggiorarono, dato che iniziarono anche le retate dei fascisti repubblichini, i quali consegnavano gli ebrei ai nazisti, che li deportavano nei campi di sterminio.
Lauretta fu così costretta a lasciare precipitosamente la sua casa e con tutta la sua famiglia, sino all'arrivo degli alleati nel 1944, trovò rifugio a Porto Recanati, dove fu ospitata e nascosta da una famiglia di "ariani" del luogo, con la complicità dei vicini che sapevano e non denunciarono.
Non è una storia particolarmente avvincente, non ci sono episodi di eroismo, sparatorie, fughe nella notte, non c'è nessun diario dalle parole toccanti: è solo una banale storia di persecuzione, all'interno di un male banale ed assoluto, che ci ricorda però che qualcuno, posto di fronte alle scelte di una vita, scelse di fare la cosa giusta, decidendo, a proprio rischio e pericolo, di dare ospitalità ad una famiglia di ebrei in fuga, mentre qualcun altro decise di stare con coloro che a quegli ebrei davano la caccia.
La signora Laura, alla fine, la sarta l'ha fatta per davvero, si è sposata, ha avuto dei figli e dei nipoti, uno dei quali l'ha pure accompagnata nel mio studio e mentre lei raccontava di persecuzioni e crimini, lui giocava con suo game-boy ed era felice.
Nelle immortali parole di un esiliato (di quei tempi) "la madre degli idioti è sempre incinta."
Si noti che, seguendo le indicazioni del giacente decreto, dovrebbe venir dato l'ordine del tricolore a figuri come Aosta o Savoia. Pochi si stupiranno, penso, se il vomito sia un'attitudine appropriata, a volte.