Inizio chiarendo che l'Unione delle Camere Penali è un'associazione priva di scopo di lucro che riunisce su base volontaria 122 Camere territoriali rappresentative di oltre 9.000 avvocati italiani dediti all'esercizio della difesa nel processo penale. L'Unione delle Camere Penali promuove i valori fondamentali del diritto penale e del giusto ed equo processo penale ed è impegnata nella tutela del prestigio dell'avvocatura e della funzione del difensore nel processo: l'attività dell'Unione, da sempre caratterizzata da assoluta indipendenza e da un'ampia trasversalità politica, si articola nell'elaborazione di proposte di riforma legislativa, nella promozione di studi ed iniziative culturali e politiche volti a migliorare la giustizia penale, nel sostegno a riforme dell'ordinamento giudiziario e forense aderenti alle esigenze della collettività e coerenti con i principi del giusto processo.
L'occasione per questo primo intervento è un post del dott. Axel Bisignano sulle farraginosità del processo penale italiano laddove, tra l'altro, si definisce l'Italia il ''paradiso delle notifiche''.
Non è questa la sede per una puntuale disamina delle ragioni dello stato di collasso della giustizia penale italiana (il recente Magistrati. L'ultracasta di Stefano Livadiotti ne offre un quadro critico assai documentato), ma credo sia necessario evidenziare come non siano né il rito accusatorio, né il regime prescrizionale, né il sistema delle notifiche ad essere i determinanti causali delle disfunzioni del nostro sistema.
Nel dibattito sulla giustizia penale tutto sembra ormai ruotare attorno all'eccessiva durata dei processi: fenomeno senz’altro drammaticamente reale, ma le cui cause non sempre sono bene illustrate ai non addetti ai lavori.
Nella vulgata, la lunghezza del processo sarebbe dovuta all'eccesso di garanzie grazie al quale gli avvocati, con cavilli e rinvii, porterebbero il processo sino alla prescrizione del reato. Per risolvere questo ''malvezzo'' degli avvocati, secondo quanto è mainstream, occorre modificare il sistema allungando il termine di prescrizione e riducendo le garanzie inutili e formali. La colpa è, dunque, degli imputati e degli avvocati (che si prestano a difendere questo sudiciume perché prezzolati).
Sembra tutto logico e consequenziale. Via le formalità, viva l'efficienza. Rendiamo impossibile la prescrizione e vedrete che nessuno chiederà rinvii e nessuno farà alcun ostruzionismo. Magari togliamo un grado di giudizio, che è un'inutile duplicazione, restringiamo il ricorso per cassazione, arriviamo subito alla condanna e buttiamo via la chiave.
Sulla stampa e le televisioni italiane imperversano i fautori di questa lettura del problema che fanno ovviamente audience, vellicando la pancia della ''gente'' e la voglia di sicurezza che i media stessi alimentano. In questa campagna trovano spesso una sponda nell'Associazione Nazionale Magistrati (che non rappresenta affatto la sintesi del pensiero dei singoli magistrati), che si è conquistata sui media – per molteplici ragioni – un esposizione tale da farla apparire l'unico soggetto in grado di tracciare una diagnosi e di individuare una terapia alla malattia del processo penale.
Ma è davvero così semplice la soluzione? No, ovviamente. Salvo voler gettare alle ortiche lo stato di diritto e la Costituzione.
Il problema è che è la anamnesi del processo su cui si fondano queste posizioni ad essere superficiale se non addirittura mistificatoria. Che vi sia un problema di efficienza è fuori di dubbio: tuttavia, il problema non è il processo, ma i suoi tempi morti.
L'imputato ed il difensore non hanno alcuna responsabilità e nessun potere di intervento sul fatto che la stragrande maggioranza dei fascicoli rimane immobile per anni negli uffici delle Procure. Si fanno le indagini (per sei mesi, di regola). Si notifica all'indagato l'avviso che le indagini sono terminate e che gli atti sono depositati per l'esame della difesa (diciamo due mesi tra invio alla notifica, ritorno degli atti notificati e termine per esame degli atti). Poi il nulla. Il fascicolo rimane immobile per mesi ovvero per anni, in attesa che venga fissata l'udienza per l'avvio del processo. Poi arriva lo spettro della prescrizione e si corre a fare il processo. E si pretende, a quel punto, che la difesa corra anch'essa.
Cosa che – peraltro – di regola avviene, come documentato da una recente ricerca che le Camere Penali hanno commissionato e condotto assieme ad Eurispes (estratto di sintesi della ricerca è scaricabile dal sito delle Camere Penali qui): quando anche un fascicolo riesce ad arrivare al processo di primo grado (ossia la fase dell'istruttoria in cui si sentono i testimoni) prima della prescrizione, le difficoltà di arrivare ad una sentenza sono dovute – nella maggior parte dei casi – a errori ed omissioni degli uffici pubblici, non a tattiche ostruzionistiche delle difese.
In ogni caso, l'approssimarsi della prescrizione è l'unico strumento acceleratorio del processo: se i termini venissero allungati, le date di celebrazione dei processi verrebbero solo spostate in avanti con ulteriore allungamento dei tempi morti. Il fatto che tra una udienza e la successiva ci siano rinvii di sei-otto mesi non è colpa degli avvocati, ma del carico di lavoro dei Tribunali.
In ogni caso, il tempo che serve per ultimare tutta l'attività giudiziaria (indagini preliminari, notifiche e giudizio) sarebbe del tutto marginale rispetto al termine di prescrizione ed alla ragionevole durata del processo se non ci fossero i tempi morti cui accennavo.
L'inefficienza si annida, dunque, tutta nella parte pubblica. Le ragioni vere della eccessiva durata dei processi sono il malgoverno delle risorse (peraltro sempre più limitate), il numero non adeguato (e comunque eccessivamente ''disperso'') dei magistrati e del personale di cancelleria, il ritardo nell'uso dell'informatica. Sulla mancanza di risorse, sia i governi di centro-destra che i governi di centro-sinistra, hanno operato ulteriori tagli ai finanziamenti. Di questo gli operatori non hanno colpa.
Occorre, in siffatte ristrettezze, ottimizzare i processi produttivi, affidando a figure di formazione ed esperienza manageriale la gestione amministrativa dei Tribunali, attualmente attribuita ai magistrati preposti agli uffici giudiziari: tuttavia, una riforma in tal senso, quando pure è stata proposta, è stata avversata dalla magistratura associata sul presupposto – invero tutto da dimostrare – che vi sarebbero dei rischi per l'indipendenza della magistratura. In ogni caso, invito tutti i frequentatori del blog a studiare l'ultimo articolatissimo rapporto del Consiglio d'Europa sull'efficienza e la qualità della giustizia (Cepej scaricabile a questo indirizzo) che dimostra come vi sia molto da fare sulla strada della efficienza in Italia, anche solo a "fattori di produzione" immutati.
Quanto al numero dei magistrati, l'esigenza di un allargamento degli organici (dimostrata dall'enorme numero di magistrati onorari – generalmente avvocati “prestati” alla magistratura anche attraverso forme di precariato – cui è necessario ricorrere per evitare di raschiare ulteriormente il barile), è contestata dall'Associazione Nazionale Magistrati per motivi che si possono comprendere solo conoscendo la natura corporativa e conservatrice dell'ANM (come bene illustrata dal libro del dott. Livadiotti).
Occorre ridisegnare la geografia giudiziaria italiana. Ricordava il Presidente di Eurispes Gian Maria Fara, a margine dello studio svolto sul processo penale: "Abbiamo pochi magistrati dove occorrerebbero e sovrabbondanza dove servono meno". Anche qui, tuttavia, vi sono spinte fortemente conservatrici che uniscono politici, magistrati ed avvocatura e che impediscono anche solo di intavolare una seria discussione.
L'ANM, peraltro, ha dimostrato nei fatti di non considerare un lusso scandaloso, nell'attuale situazione di sofferenza degli organici, il fatto che oltre duecento magistrati (assunti per fare i giudici ovvero il pubblici ministeri) facciano tutt'altro: sono i c.d. fuori ruolo, che si occupano di politica, di fare i membri di gabinetto di vari ministeri, di aiutare le nostre relazioni internazionali, di vigilare sull'impunità in Guatemala. Mentre costoro svolgono compiti diversi da quelli per cui concorsero in magistratura, le udienze delle cause civili in appello vengono rinviate di sei anni e le udienze dei processi penali sono tenute dai loro ''colleghi'' sino alle sette di sera...
Sul ritardo nell'uso dell'informatica, infine, pare che qualcosa si muova. Gli avvocati penalisti hanno sollecitato interventi radicali sull'informatica giudiziaria che – senza scadere nel c.d. processo virtuale – consentano un significativo alleggerimento della massa di adempimenti burocratici attraverso l'uso regolato e sicuro delle reti telematiche. E ciò anche e soprattutto in relazione alle notifiche.
Affronto da ultimo il tema delle notifiche che mi aveva sollecitato l'intervento. Gli avvocati penalisti sono da tempo disponibili ad un alleggerimento del sistema delle notifiche (vi sono duplicazioni che possono essere superate, si può tranquillamente introdurre il sistema della notifica al difensore mediante posta elettronica certificata).
Vi è, tuttavia, un elemento fondamentale ed un limite invalicabile allo snellimento del sistema notificatorio: uno stato di diritto che davvero voglia dirsi tale non può consentire che i processi si celebrino senza che l'imputato ne sia effettivamente informato.
Gli avvocati penalisti sono pronti a ricevere le notifiche a mezzo posta elettronica certificata ed a attenuare il carico delle notifiche (si veda, da ultimo, il documento del Centro Studi Marongiu delle Camere Penali), ma ritengono doveroso, per tutto il consesso dei giuristi italiani, pretendere che la notifica della citazione a giudizio sia una cosa seria, ben diversa da quella che oggi ci regala il poco onorevole lusso di primeggiare tra i partner europei per le condanne della Corte Europea dei diritti dell'uomo per violazione del diritto dell'imputato a partecipare (e difendersi effettivamente) al processo.
Io vorrei farle alcune domande.
1) Affermazioni come la seguente:
Mi sembrano di tenore uguale e contrario a quelli che dicono che "tutti i problemi sono causati dalla classe degli avvocati", un'asserzione che lei giustamente cerca di valutare criticamente. Adesso mi aspetto un post di un...cancelliere di un tribunale che spieghi che no, la colpa è di un'altra sotto-classe amministrativa.
2) Lei non dice una parola che una sulle responsabilità degli avvocati. Io sono sicuro, che anche loro "hanno fame e sete di Giustizia", però il post sarebbe stato, a mio avviso, più equilibrato se ci fosse stato un po' di whistle blowing sugli avvocati.
3) Secondo lei la lunghezza dei processi non avvantaggia obbiettivamente chi fornisce servizi collegati al processo stesso, in ragione appunto del tempo e della professionalità erogata in quello?
4) Infatti, da quello che so, la professione di avvocato rimane molto ambita e numerosi sono quelli che la praticano, tutte situazioni che mi fanno come pensare che la situazione attuale non sia così insostenibile per gli avvocati stessi.
5) Ci sono dei punti dell'articolo di Axel, ai quali non risponde, forse perchè crede che siano imputabili ad un difetto di correttezza deontologica ascrivibile a singoli avvocati e non all'Ordine per intero? Se è così, c'è da chiedersi quali funzioni di vaglio di correttezza deontologica mostri di avere, l'Ordine stesso. A proposito.
6) Com'è che in tema di efficienza, non ci dice se è pro o contro l'abolizione dell'Ordine?
AGGIUNTA
Mi ricordo di aver letto che in Uk se l'avvocato è scoperto a utilizzare pratiche dilatorie allo scopo di ritardare il giudizio ostacolando la legge, è condannato dal giudice seduta stante....e deve pagare in solido. Non ricordo davvero dove ho letto questa cosa è se è proprio come la sto descrivendo.