Giustizia I: La separazione delle carriere dei magistrati

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La giustizia è tema invitante, 'ché a noi economisti piace "disegnare meccanismi e istituzioni". Ma è tema ostico, perché coperto da mille dettagli tecnici. Per questo, la collaborazione con Axel Bisignano, PM a Bolzano che si presenta ad nFA in quest'altro articolo, è essenziale: mi ha procurato il materiale e mi ha spiegato tutto per bene e con pazienza.

Comincio dalla separazione delle carriere perché è il tema su cui si incentra da qualche tempo la battaglia politica sulla giustizia. La crisi della giustizia, argomenterò, è pressoché ortogonale alla questione della separazione delle carriere. Ancora una volta, invece che affrontare i temi delle riforme istituzionali importanti, il dibattito è ridotto a un esercizio di guerra tra bande, o meglio tra caste.

Da anni il dibattito sulla separazione

delle carriere nella magistratura è, a dir poco, appassionato: le

parti in causa adombrano

prospettive da stato totalitario in caso la parte avversa abbia la meglio. Ad

esempio, Nello Rossi, Segretario Generale della Associazione Nazionale

Magistrati (ANM), finisce così un recente articolo (27 Febbraio 2008) su Il Riformista:

 

[...] la separazione delle carriere sembra la tappa intermdia

di una lunga marcia destinata a concludersi con la trasformazione del pubblico ministero

in un "avvocato della polizia". Un "avvocato" destinato a

mettere le sue competenze tecniche al servizio di una accusa preconfezionata in

uffici di polizia operanti alle dipendenze dell'esecutivo.

 

Gaetano Pecorella, ex-deputato di Forza Italia ed

ex-Presidente dell Unione delle Camere Penali Italiane, invece, introduce così

la proposta di legge per la separazione delle carriere presentata nel corso del secondo governo

Berlusconi:

 

[...] con questa proposta di legge si intende eliminare una

tra le più importanti anomalie e peculiarità dell'ordinamento giudiziario

italiano rispetto a quelli di tutte le altre liberal-democrazie occidentali , e

cioè la possibilità per il singolo magistrato di passare dalla funzione

giudicante a quella requirente [cioé la mancanza di separazione delle

carriere, ndr] [...] è assolutamente impensabile che, da un giorno all'altro,

chi ha combattuto il crimine da una parte della barricata si trasformi

improvvisamente nel garante imparziale di chi criminale potrebbe non essere,

pur essendo indagato o imputato da un ex collega di funzioni.

 

Il dibattito è ripreso in campagna

elettorale anche se, almeno nei programmi, con toni smorzati. Il programma

elettorale del PdL, rimanda vagamente alla separazione

delle carriere laddove richiede il "rafforzamento della distinzione delle funzioni nella

magistratura, come avviene in tutti i paesi europei; un confronto con gli

operatori della giustizia per una riforma di ancor maggiore garanzia per i

cittadini, che riconsideri l'organizzazione della magistratura, in attuazione

dei principi costituzionali". Il programma

del PD propone invece varie misure di ri-organizzazione della gestione

degli uffici giudiziari senza assolutamente menzionare la separazione delle

carriere.

Ho cercato di capire cosa scaldi gli animi. Cominciamo

dall'inizio: Quali carriere? Separazione, in che senso? Quali

sono gli argomenti a favore e quali contro la separazione? Se, come me, il lettore

non ha conoscenze approfondite di giurisprudenza per capire tutto

questo troverà necessaria una premessa su come funziona il processo penale.

Premessa sul processo penale.

Due sono i modelli ideali di processo penale, il processo accusatorio

e il processo inquisitorio (in inglese si chiamano, rispettivamente partisan

- o anche adversarial - e inquisitorial; questo lo dico perché

poi consiglierò una lettura serale in inglese). La differenza è spiegata

molto bene alla voce

di Wikipedia da cui riprendo qui di seguito.

 

Nel processo accusatorio l'imputato è

assistito dal difensore, accusato dal Pubblico Ministero (PM), e

infine giudicato dal giudice. Il PM ha il compito di avviare il processo

e introdurre nello stesso le relative prove a carico dell'imputato. Il

difensore ha il compito di difendere l'imputato. L'esame delle prove avviene ad

opera di entrambe le parti, compreso l'interrogatorio dei testimoni (la

cosiddetta cross-examination), di fronte al giudice. Obiettivo del

giudice, e solo del

giudice, è l'imparzialità. Compito del giudice è assicurare il rispetto delle

norme di procedura e pronunciare la sentenza sulla base di quanto emerso nel

corso del

processo.

Nel processo inquisitorio la figura del difensore non

cambia. Il giudice e il PM però, anche se soggetti diversi, hanno obiettivi e

funzioni simili; e mentre il PM (magistrato inquirente) avvia d'ufficio

il processo, partecipa assieme al giudice all'introduzione delle prove nel

processo, oltre che all'esame di queste ultime.

 

Il processo accusatorio è tradizionale nei paesi con

struttura giuridica di common law, essenzialmente i paesi anglosassoni; mentre

il processo inquisitorio ha radici nel diritto civile romano e poi napoleonico.

In Italia vige, dalla riforma del 1989, il sistema accusatorio. Ma

naturalmente i sistemi processuali reali non ricalcano mai con

precisione i modelli ideali. Ad esempio, obiettivo del

PM è pur sempre la ricerca della verità. Per espressa disposizione

dell'articolo 358 del

codice di procedure penale, il PM ha il dovere di svolgere "altresì

accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle

indagini". Costituisce dovere giuridico oltre che deontologico ed etico, fornire

al Giudice tutte le prove e chiedere, se si ritiene, l'assoluzione

dell'imputato (verbatim da una e-mail di Axel Bisignano). A differenza di quello che avveniva col vecchio

ordinamento di tipo inquisitorio, nel processo accusatorio post-1989 le prove non si precostituscono più in istruttoria, in assenza di

contraddittorio, redatte a verbale dal PM o dalla polizia e conosciute dal

giudice del dibattimento prima del processo. La

differenza fondamentale è che al processo il giudice non sa nulla di ciò che

verrà a riferire il testimone, che viene prima esaminato da una parte e poi

controesaminato dall'altra (quasi verbatim da un'altra e-mail di Axel).

Oltre che nella terra di Perry Mason (l'Amerika), e nel Regno Unito, il

sistema accusatorio è usato ad esempio in Svezia (dal 1948), in Portogallo

(dal 1974). Un sistema misto, più simile al sistema inquisitorio

vigente in Italia sino al 1989, è ancora adottato in Francia. (Le date del passaggio al sistema

accusatorio in Svezia e in Portogallo sono importanti, c'è una regolarità:

chi indovina? Aiutino: il Cile è passato al sistema accusatorio

nel 2000. Risposta: il passaggio al sistema accusatorio sembra seguire il passaggio

alla democrazia).

Non è questa la sede per discutere dei vantaggi e degli

svantaggi del

processo accusatorio. Suggerisco un bell'articolo di Mathias Dewatripont e Jean Tirole.

La sezione VI.A. discute in dettaglio i sistemi processuali.

L'articolo propende, a mio parere in modo convincente per

il

sistema accusatorio. [Nota: questo è articolo accademico, con tanto di matematica e gergo

specialistico;

ringrazio Nicola Persico per il riferimento bibliografico] In due

parole, la

contrapposizione di obiettivi tra difensore e PM fa sì che la verità

emerga

più facilmente. Questo perché, essenzialmente, è difficile

incentivare un giudice unico a cercare con grande sforzo la

verità se uno dei possibili risultati della ricerca è "non ho

trovato nulla". Il giudice garantisce imparzialità, cioé che la

verità

emersa finisca nella sentenza. Il problema della pura

contrapposizione di obiettivi tra difensore e PM è, naturalmente, che

prove o informazioni a discolpa scoperte dall'accusa, e viceversa, siano

manipolate o nascoste. Ogni sistema processuale cerca una qualche

soluzione di questo problema, ed è qui che i sistemi operanti sono

infatti misti.

La separazione delle carriere dei magistrati: i termini della

questione.

In un sistema processuale inquisitorio, il giudice che

istruisce il processo (in Italia, prima della riforma del 1989, questi era chiamato giudice

istruttore), il PM, e il giudice che pronuncia la sentenza lavorano in

stretto contatto e soprattutto con lo stesso obiettivo, scoprire la verità. In

un sistema processuale inquisitorio, quindi, non ha senso alcuno definire

separate strutture organizzative per la magistratura requirente (i PM) e la

magistratura giudicante (i giudici).

In un sistema processuale accusatorio, invece, il problema

della separazione organizzativa tra la struttura della magistratura requirente,

a cui fanno capo il PM, e la struttura della magistratura giudicante, cui fa

capo il giudice, si pone con forza. Ovviamente, dato che il PM e il giudice

hanno funzioni chiaramente separate nel processo, non èefficiente che essi debbano essere parte di una medesima struttura organizzativa che ne ordini le carriere. In sostanza, la questione della separazione delle

carriere è, in soldoni, la seguente:

Funzioni

separate della magistratura requirente (i PM) e della magistratura

giudicante (i giudici) richiedono carriere separate? Carriere separate possono rendere più efficiente l'esecuzione delle separate funzioni?

Non è difficile prevedere che la risposta alla prima domanda sia NO e che la risposta alla seconda domanda sia SI. Ma procediamo con calma.

Studiamoci per bene le argomentazioni dei magistrati pro e contro (che non

è cosa immediata perché scritte in legalese

stretto stretto – più stretto ove le argomentazioni siano più deboli – ma

questo è un altro discorso).

Le argomentazioni pro e contro.

È venuto il momento di esaminare le argomentazioni pro e

contro la separazione delle carriere. Si noti che

per separazione delle carriere non si intende, come spero sia chiaro dalla

discussione precedente, la semplice questione di permettere ai magistrati o

meno di poter esercitare entrambe le funzioni (inquirente e giudicante) nel corso

della carriera ma, più in generale, la questione della separazione della

struttura organizzativa dei giudici da quella dei PM. Insomma, separazione implica due diverse strutture a determinare incentivi e carriere di magistrati inquirenti e giudicanti.

Argomenti pro la separazione.

1) La separazione dei giudici dai PM, associata ad una ridefinizione e chiarificazione degli obiettivi del PM e del giudice nel

corso del processo, porta al perfezionamento dei

vantaggi del

processo accusatorio.

2) La separazione dei giudici dai PM conferisce al giudice quell'imparzialità su cui l'intero sistema giudiziario si basa, in ultima istanza.

3) La separazione dei giudici dai PM elimina, o almeno limita, quella comunanza di formazione culturale e

quella contiguità di rapporti personali tra giudici e PM che possono portare,

anche non volontariamente, alla effettiva parzialità del

giudice a favore del

PM rispetto all'avvocato difensore.

[Nota bibliografica: Tra tutto quello che ho letto, ho

trovato questo articolo di Carlo Guarnieri,

ordinario di Scienze Politiche a Bologna, molto chiaro e lucido

(l'articolo non è datato). Anche l'articolo di Oreste Dominioni,

ordinario di Diritto Processuale e Penale alla Statale di Milano, Le ragioni della "separazione delle carriere", 2006 (pubblicato in Studi in onore di Giorgio Marinucci,

Milano, Giuffré) è molto utile, anche se di più difficile lettura per un non

giurista. Ringrazio Axel per i riferimenti bibliografici e per le spiegazioni.]

Argomenti contro la separazione.

1) La separazione dei giudici dai PM tende a limitare la "cultura della giurisdizione" dei PM,

inducendo comportamenti più direttamenti volti all'accusa rispetto che non

alla scoperta della verità, fine ultimo del

processo.

2) La separazione dei giudici dai PM tende a comportare una limitazione della indipendenza del PM da poteri altri rispetto alla

magistratura, in particolar modo dal potere

esecutivo.

3) La separazione dei giudici dai PM elimina, o almeno limita, quelle importanti occasioni di crescita

professionale che si devono all'avere esercitato diverse funzioni, in

particolare la funzione requirente e quella giudicante, all'interno

dell'amministrazione della giustizia.

[Nota bibliografica: Un articolo di

Salvatore Vitiello, PM della Procura di Roma, scritto come esplicita risposta a quello di Guarnieri

citato sopra, espone con lucidità la posizione contraria alla separazione

delle carriere e risulta quindi chiaro nella pochezza degli argomenti. La posizione ufficiale dell'Associazione Nazionale Magistrati è anche chiara; infine, l'articolo di Nello Rossi, citato sopra contiene alcune argomentazioni in questo senso. Ancora una volta

grazie ad Axel per i riferimenti bibliografici e per le spiegazioni.]

I meccansimi e gli incentivi.

È venuto il momento di inserire ed azionare l'economista. Provo a valutare gli argomenti con una certa ossessione per la loro coerenza logica e per

l'importanza dei meccanismi nel determinare incentivi.

L'argomento

1) contro la separazione, che limiterebbe la

"cultura della giurisdizione", è basato su una premessa logicamente

errata: e cioé che l'obiettivo della scoperta della verità nel corso

del processo sia raggiunto più facilmente se una delle

tre parti del

processo ha come obiettivo la scoperta della verità stessa invece che

non

l'accusa dell'imputato. Detto con il gergo dell'economista, è

assolutamente ovvio che l'argomento è logicamente errato: il processo

è un meccanismo di interazione strategica con

almeno tre agenti (il PM, il difensore, il giudice) e non un meccanismo

decisionale semplice in cui una persona raccoglie informazioni e poi

decide. Se

fosse un meccanismo decisionale semplice, allora l'obiettivo della

scoperta

della verità sarebbe più facilmente raggiunto se colui che decide lo

facesse sulla

base di questo stesso obiettivo. Questo è ovvio. Ma la componente

strategica del "meccanismo del processo" fa sì che una chiara ed

esplicita contrapposizione degli obiettivi tra PM, difensore, e giudice

come da

processo accusatorio ideale possa in via di principio rappresentare un

meccanismo più efficiente al raggiungimento della verità. La ragione

è che

la fase di raccolta e di esame delle informazioni (le prove nel

processo) è più efficiente qualora gli obiettivi del

difensore e del PM siano contrapposti, come si è discusso sopra nella

breve analisi dell'articolo di Dewatripont e Tirole, mentre

l'imparzialità del giudizio è garantita

dalla funzione del

giudice. Non è necessario che sia così, ma è certo possibile. Si

può discutere su questo,

ma è fuori di dubbio che l'argomento 1) contro la separazione sia

fallace perché confonde meccanismi decisionali semplici con meccanismi

di

interazione strategica. A me pare quindi che il contrapposto argomento

1) pro la

separazione sia corretto e che in certo qual modo adombri tutto questo.

L'argomento

2) contro la separazione è assolutamente

fondamentale. L'indipendenza del

PM dal potere politico, specie dal potere esecutivo, deve essere

garantita. Il

PM deve poter scegliere liberamente quali casi istruire e come

istruirli, deve

essere libero di perseguire le attività di indagine che ritiene più

promettenti ed efficaci. Il tutto, naturalmente nei limiti della legge

e delle

norme di procedura (e con i giusti incentivi, ma di questo parliamo dopo). Perché la proposta di separazione

della struttura

organizzativa dei giudici e dei PM è interpretata come un passo verso

la

dipendenza della magistratura requirente dalla politica? Il fatto che

questa

proposta venga dagli avvocati di Berlusconi e che, apparentemente,

simili

progetti fossero parte delle mire PiDuiste, certo non aiuta. Dati i

precedenti, io credo sia molto probabile che gli avvocati di

Berlusconi

vedano la separazione delle carriere come un primo passo verso un più

effettivo controllo dei PM da parte dell'esecutivo, controllo a cui aspirano. Ciononostante, a me non

interessa

questo processo alle intenzioni, a me interessa studiare i meccanismi

per il

funzionamento della giustizia. In questo senso l'argomento 2) contro la

separazione è importante, ma non c'è nessuna

ragione logica per cui un nuovo ordinamento, che preveda la

separazione

della struttura organizzativa dei giudici e dei PM,, non possa (e debba,

infatti)

garantire l'indipendenza del PM definendo chiaramente per legge i

vincoli

formali ai quali sia sottoposta la sua attività di istruzione del

processo e i

suoi obiettivi durante il processo.

Indipendenza e obiettivi chiari, quindi. Ma come garantire la

fondamentale indipendenza del

PM? Il sistema più semplice è attraverso la costituzione di un organo di

autogoverno cui sia affidata la carriera dei PM. Questo ha poco a che fare con

la separazione delle carriere. Se sia i PM che i giudici debbono essere

indipendenti, che abbiano entrambi un organismo indipendente che ne controlla

le carriere. Il Consiglio Superiore delle Magistratura gestisce la carriera

della magistratura giudicante; un organo simile lo può fare per la

magistratura requirente. Meglio non sia lo stesso organo per evitare lotte di

potere interne tra le due diverse funzioni della magistratura.

In questo contesto, una volta

garantita l'indipendenza della magistratura requirente dalla politica, mi pare

che l'argomento 2) pro separazione, che il giudice apparirebbe più super

partes, sia assolutamente condivisibile ed innocuo.

Infine, che la separazione della struttura organizzativa dei

giudici e dei PM sia perfettamente compatibile con una magistratura requirente

indipendente dal potere politico, è provato dal funzionamento del sistema giudiziario in quei paesi in cui il sistema

processuale accusatorio è associato a tale separazione organizzativa ed è

disegnato come indipendente, dalla Svezia al Portogallo, alla Germania.

L'esempio europeo più chiaro di un sistema in cui la magistratura requirente

dipende dal potere esecutivo è, invece, quello vigente in Francia, paese in cui

non vi è separazione tra magistratura requirente e giudicante. Anche il fatto

che Portogallo, Svezia, e Cile durante i loro periodi non-democratici avessero un sistema giudiziario di tipo inquirente senza

separazione tra le carriere, suggerisce che la mancanza di separazione

non sia affatto un deterrente al controllo politico della magistratura.

L'argomento 3) contro la separazione mi pare di minore importanza rispetto agli

altri, ma certamente condivisibile. Axel mi fa notare che avere esperienze sia

nella magistratura requirente che in quella giudicante è addirittura richiesto

in alcuni lander in Germania. Il fatto che

questo generi contiguità tra PM e giudice è senz'altro possibile, ma mi pare

un argomento per sé debole. Contiguità personali nell'esercizio di ruoli

contrapposti sono frequenti e naturali in essenzialmente ogni professione: tra

giudice e avvocato, tra membri delle commissioni di un concorso accademico e i

concorrenti, tra arbitri ed atleti, tra poliziotti e famigliari. Alcuni di

questi possono apparire pessimi esempi in Italia, che i concorsi accademici

sono spesso truccati, e gli arbitri,... lasciamo stare. Ma queste relazioni

funzionano altrove; la differenza sta nella chiara definizione degli obiettivi

e degli incentivi di carriera. A questo accenno ora, in chiusura di articolo

Come garantire

che il giudice abbia incentivo ad essere imparziale? Come garantire che il PM

abbia incentivi sufficienti ad attenersi agli obiettivi imposti per legge? Nel

caso del PM

c'è anche una questione ulteriore e molto importante: il PM esercita in

principio un enorme potere attraverso la scelta di quale reato perseguire e di

come istruire un processo. Come delineare i vincoli a cui sottoporre le scelte del PM a questo

proposito? Oggi in Italia, si toglie in principio al PM ogni potere su quale

reato perseguire, attraverso la obbligatorietà dell'azione penale.

Inoltre, si elimina ogni relazione tra la qualità della sua azione e la sua

carriera, attraverso una esplicita politica di avanzamento di grado e di

incremento salariale esclusivamente per anzianità. Lo stesso per il giudice,

la cui carriera è definita esclusivamente dall'anzianità. Questo sistema di

incentivi a modo suo funziona, nel senso che garantisce una certa indipendenza

dei magistrati. Ma questo sistema di incentivi non funziona in varie altre

dimensioni,

i) i PM devono comunque scegliere implicitamente quali reati

perseguire, senza avere indicazioni di legge su come operare questa scelta (non

si può ad esempio definire per legge un sistema di priorità tra i reati da

perseguire perché per legge tutti i reati di cui la magistratura ha notizia

devono essere da essa perseguiti, l'azione penale è obbligatoria), e quindi

ii) i PM possono finire per sviluppare obiettivi personali di

carriera al di fuori della magistratura, obiettivi che possono guidarli nella scelta di

quale reato perseguire (o di chi perseguire) e di come istruire un processo (vi

sono certo vari esempi, da Di Pietro a Casson; quanto questo sia un fenomeno

importante o piuttosto marginale è discutibile). Infine, e soprattutto:

iii) la carriera dei PM è in gran parte indipendente dalla

qualità e dalla quantità del

loro lavoro; quindi, a meno di motivazioni ideali/ideologiche, hanno chiari

incentivi a lavorare poco e male.

In buona sostanza, gli incentivi di carriera della

magistratura requirente e di quella giudicante ne garantiscono l'indipendenza, ma

lo fanno a costo di contribuire al fallimento dell'amministrazione della giustizia (documenteremo in

un prossimo articolo tale fallimento; il lettore curioso e impaziente può

cominciare a leggere un bel libro al riguardo, pieno di dati: Fine Pena Mai. L'ergastolo dei tuoi diritti nella

giustizia italiana, di Luigi Ferrarella, IL Saggiatore 2007; grazie a

Sandro che me lo ha portato dall'Italia). Non è affatto necessario che sia

così. L’indipendenza può essere garantita pur mantenendo efficaci ed

efficienti incentivi di carriera. La chiave di tutto sta qui. È così che io

leggo anche l'articolo di Axel per nFA. Il disegno di queste forme di incentivi

sono cose che gli economisti hanno studiato, sia in teoria che nella pratica.

La separazione

della struttura organizzativa dei giudici e dei PM, e delle loro carriere, appare

una riforma ragionevole se ben fatta e se l'indipendenza della magistratura

requirente è garantita, ma la sua rilevanza è minima rispetto alla riforma

della struttura degli incentivi di carriera dei magistrati. Di questo ci

occuperemo ancora, ovviamente, in un prossimo articolo (magari non così

prossimo, diciamo futuro).

 

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Commenti

Ci sono 49 commenti

Domanda: pensi sia presto per parlare di costi? Meglio: credi che le dicotomie sistema accusatorio / sistema inquisitorio e carriera unica / carriere separate portino con sé anche differenze importanti per quanto riguarda i costi totali della "macchina della giustizia"?

 

Da quel che capisco, il problema non e' ne' nella struttura processuale ne' nella separazione delle carriere o meno in se'. Riguardo alla struttura processulale credo che il  problema dei costi sia importante ma abbia a che fare con la struttura degli appelli, molto piu' che non con la dicotomia accusatorio/inquisitorio. Per la questione della separazione, beh, mi pare che avere magistrati con incentivi a non far nulla (attraverso carriere per anzianita' e via discorrendo) sia una tale fonte di costo che annulla tutto il resto o quasi. Naturalmente dico questo ancora "a rigor di logica" senza avere i numeri in tasca. Ma arrivero'anche li'. Non e' cosa facile,ma almeno ci provero'.

 

Il processo accusatorio in termini teorici rappresenta l'ottimo: un serrato confronto tra pari (accusa e difesa) posti di fronte  ad un giudice imparziale, con la prova che si forma nel dibattimento ed in contraddittorio tra le parti.

E' però vero che questo ottimo principio poggia su un pre-requisito ipocrita: per funzionare deve rappresentare l'eccezione e non la regola.

Se tutti i processi venissero decisi all'esito del dibattimento, e quindi con la piena garanzia del rito accusatorio, il sistema collasserebbe.

Perchè il sistema accusatorio funzioni è necessario che la maggior parte dei processi si chiudano con riti alternativi, evitando il dibattimento che è invece il momento supremo del rito accusatorio.

Occorre cioè che i processi siano il più possibile definiti dal patteggiamento e dal giudizio abbreviato, che sono riti privi della solennità e delle garanzie del dibattimento e definiti o in camera di consiglio sulla base delle prove del solo PM o sull'accordo delle parti, il tutto a fronte di sconti di pena (altrimenti perchè mai un imputato rinuncerebbe a delle garanzie ?).

All'epoca dell'entrata in vigore del nuovo codice, si ipotizzava che per farlo funzionare bene solo il 10-15% dei casi doveva giungere al dibattimento, nei fatti, però i riti alternativi non sono riusciti ad occupare pienamente lo spazio che gli doveva essere riservato, anche perchè chi può (rectius chi può permettersi di pagare gli avvocati) ha giustamente - dal suo punto di vista - preferito portare i propri processi in aula e cercare di sfruttare i tempoi processuali e raggiungere la prescrizione.

La separazione delle carriere è poi la naturale evoluzione del sistema accusatorio.

Io mi ritrovai a fare il mio uditorato a cavallo dell'entrata in vigore del codice Pisapia e la necessità di separare le carriere era sentita sin da allora anche all'interno della Magistratura. Il principale ostacolo era (ed è) il timore di un controllo dell'esecutivo sui magistrati dell'accusa.

E' quindi evidente che qualsiasi riforma in tal senso dovrà dare delle garanzie per quanto riguarda l'autonomia dei PM.

Una soluzione simile a quella suggerita da Alberto (un "CSM per i PM") era stata partorita dall'abortita (scusate il gioco di parole) commissione bicamerale che, presiduta da D'Alema, aveva cercato di riformare la Costituzione all'epoca del primo governo Prodi e con ogni probabilità è l'unica soluzione che consentirebbe di contemerare le esigenze di indipendenza ed efficienza.

L'autonimia del PM è poi rafforzata dalla obbligatorietà dell'azione penale e quindi in questo non sono d'accordo conl'articolo.

Anzichè rendere discrezionale l'azione penale, è molto più "sano" dal punto di vista della politica criminale, sfoltire le ipotesi di reato, depenalizzando le fattispecie non più attuali o la cui sanzione penale è eccessiva e consentire così alle procure di concentrarsi sui reati veramente importanti. Oltretutto mi pare più giusto che sia il potere legislativo ad assumersi la responsabilità circa quali reati perseguire e quali no, invece di lasciare questa (pericolosa) discrezionalità ai magistrati.

 

Vai Sabino, spiegaglielo tu a questi economisti, ma perché nFA ha chiesto a me di scrivere sulla giustizia se aveva giá Ronaldinho in formazione? Ti nomino difensore di fiducia della categoria magistrati nel processo che stiamo conducendo. Tanto hai giá fatto il PM, il giudice ed il notaio, ormai ti manca solo questo ruolo ed hai coperto tutte le professioni forensi. Ovviamente dovrai lavorare pro bono perché tu sei un ricco notaio ed io un povero magisratucolo :-)

 

Grazie, Sabino, molto utile e chiaro.

Siamo d'accordo (lo chiedo a te e alla locale blogosfera) che gli incentivi al rito abbreviato non sono sufficienti in larga parte a causa della elevata probabilita' di prescrizione del rito accusatorio? Sarebbe importante se fosse cosi' perche' significa che se risolvi il problema prescrizione prendi due piccioni con una fava.

Io credo che sia difficile eliminare la discrezionalita' dell'azione penale. Essa non si manifesta solo nella decisione di aprire l'azione penale (che l'obbligatorieta' elimina, in teoria ed forse anche in pratica nel caso dello sfoltimento di cui parli) ma in tante altre forme nascoste, quale azione privilegiare, a quale azione dare il PM piu' intelligente o piu' cattivo, o qualsiasi altra caratteristica, quanto sforzo mettere nelle indagini ein tutto quello che segue. Io credo che con una larga dose di discrezionalita' bisogni convivere, e quindi che la soluzione sia indurre i giusti obiettivi nei PM piuttosto che non limitarne troppo la discrezionalita' stessa per vie legali. (Gli economisti chiamano queste situazioni con contratti incompleti, in cui cioe' chi scrive il contratto - il legislatore - fa fatica a prevedere/fissare tutti i possibili stati del mondo e quindi invece di statibilire cosa deve succedere in ognuno di questi stati, si garantisce che chi sceglie dato lo stato faccia piu' o meno quello che il legislatore  vorrebbe che facesse)

Sullo sfoltimento etc., naturalmente siamo d'accordissimo per vari e disparati motivi.

 

 

Non sono un esperto di diritto. Il mio mestiere è quello del matematico. Mi ritengo però anche un esperto di sistemi universitari, ed è quest’ultima mia competenza che mi induce ad una grande cautela quando si parla di possibili radicali riforme del sistema della giustizia. Come esperto del sistema universitario, ho potuto osservare che la diagnosi, o almeno una analitica descrizione, dei mali presenti in una pubblica amministrazione è piuttosto facile. Molto più difficile è trovare dei rimedi. O meglio è facile, ma pericolosamente fuorviante, trovare rimedi che discendono da posizioni di principio, senza che sia possibile prevederne le conseguenze. Ho imparato anche che, quando si ha a che fare con un sistema capace di rispondere in modo autonomo, le riforme più radicali finiscono per avere conseguenze imprevedibili e incontrollabili.

Per questo sono molto preoccupato che la cosiddetta “separazione delle carriere” dei pubblici ministeri da quelle dei giudici possa essere un rimedio peggiore del male.

Nei casi giudiziari che ho cercato di seguire puntualmente, il Pubblico Ministero, che dovrebbe dirigere la polizia giudiziaria, ha finito per dipenderne invece quasi totalmente. La polizia che, a torto o a ragione, ritiene di essere più competente dei magistrati in tema di indagini, non si fa scrupolo di presentare al Pubblico Ministero le più avventate ed arbitrarie conclusioni come il risultato di certezze, derivanti da indagini seguite da precisi riscontri. Al tempo stesso la formale dipendenza della polizia giudiziaria dal Pubblico Ministero la esonera da ogni responsabilità e la rende partecipe dell’autonomia, insindacabilità e sostanziale immunità penale e disciplinare del magistrato.Per contro l’obbligo dell’azione penale, in presenza di pressioni da parte dell’opinione pubblica, costringe il magistrato ad agire sulla base delle conclusioni di qualsiasi “informativa di polizia”, anche completamente infondata. Siamo sicuri che la “separazione delle carriere” non possa aggravare questa situazione? Siamo sicuri che la debolissima figura del Giudice delle Indagini Preliminari sia in grado di esercitare il necessario controllo di legalità su un Pubblico Ministero completamente identificato con la polizia? E come potrà essere esercitato questo controllo in assenza di regole sull’ammissibilità delle prove?

C’è un altro punto che spesso è sollevato e sul quale non mi trovo d’accordo con le soluzioni in generale proposte. Io non credo che l’azione disciplinare, comunque riformata, possa essere un rimedio al comportamento illegittimo di un magistrato.Cominciamo a dire che l’azione disciplinare non funziona mai o quasi mai per gli impiegati pubblici. Ad esempio, a quel che mi è stato riferito da autorevoli membri della Commissione di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale, la decorrenza dei termini per i procedimenti disciplinari riguardanti i docenti universitari è sostanzialmente la norma.Sembra infatti che giungano all’attenzione della Commissione di Disciplina entro i termini prescritti, quasi soltanto i casi dove è visibile un “fumus persecutionis”, attribuibile a contrasti di interessi accademici o professionali. Negli altri casi, che sono la maggioranza, ritardi e distrazioni portano quasi sempre alla non procedibilità. Credo proprio che per nessuna categoria di impiegati pubblici si possa parlare di azioni disciplinari efficaci.Perché dunque l’azione disciplinare dovrebbe funzionare per i magistrati? Io penso invece che le chiacchiere sulla possibilità di un’azione disciplinare efficace nei riguardi dei magistrati nascondano, consciamente o inconsciamente, il desiderio di non cambiare nulla. Si può difendere l’arbitrio del magistrato, nella forma del principio del “libero convincimento del giudice”, che si basa sul “libero convincimento del pubblico ministero”, a sua volta basato sul “libero convincimento del poliziotto”, sostenendo che “ogni abuso sarà punito”. Poi in realtà questo non è possibile e resta soltanto l’assoluto arbitrio.

Mi sembra che il rimedio giusto all’arbitrio non sia un’improbabile riforma efficace dei procedimenti disciplinari, ma piuttosto l’introduzione, anche in forma limitatissima, di norme che escludano l’efficacia di prove acquisite irregolarmente. Non ho la competenza tecnica necessaria per fare una proposta precisa. Penso però che si potrebbero rendere inutilizzabili, ai fini dell’accusa, tutte le deposizioni di un coimputato che non sia stato fin dall’inizio delle contestazioni penali, assistito da un avvocato.

Infine debbo dire che sono convinto della necessità di rafforzare l’indipendenza e l’autonomia dei singoli giudici, che, a mio parere, è ora sacrificata a favore della “autonomia della magistratura”, cioè a favore del potere della corporazione. Nei casi maggiormente seguiti dall’opinione pubblica molte sentenze appaiono frutto di un compromesso, o come è stato detto da Alex Bisignani con riferimento alla sentenza della Cassazione che ha assolto Corrado Carnevale, diano un colpo al cerchio ed un colpo alla botte, pur di non sconfessare completamente la procura o precedenti gradi di giudizio. Il compromesso in questo caso è un indice di mancanza di coraggio da parte del giudice. La mancanza di coraggio e la fuga dall’assunzione di responsabilità che ne deriva, è tipica di molti impiegati pubblici, i quali evitano di prendere decisioni difficili per timore delle conseguenze che queste decisioni potrebbero avere sulla loro carriera. Ma il giudice dovrebbe essere un impiegato pubblico molto speciale, protetto dalle possibili conseguenze negative, in termini di carriera, delle decisioni che prende in quanto giudice. La protezione dovrebbe essere offerta dal Consiglio Superiore della Magistratura. C’è da chiedersi però se il CSM, che si è rivelato un organo politico interessato principalmente a promuovere gli interessi ed il potere della corporazione dei magistrati, e che di fatto controlla la carriera dei magistrati, non costituisca invece un ostacolo all’esercizio indipendente della funzione giudicante. Potrebbe, ad esempio, un Magistrato che si trovi a presiedere un processo seguito con passione dall’opinione pubblica, alla vigilia della promozione più importante della sua carriera, esprimere un giudizio che metta indirettamente in dubbio il comportamento della Procura più potente d’Italia, e che contrasti con le aspettative della pubblica opinione? Mi viene in mente in questo contesto il caso del Presidente della Corte d’Appello che assolse Pacciani, “il mostro di Firenze”, mettendosi in aperto contrasto con un Procuratore della Repubblica, già allora potentissimo, che aveva per anni concentrato gli sforzi di tutta la Procura sulla caccia al mostro. Il giorno dopo la sentenza questo giudice lasciò la magistratura, una decisione che aveva certamente maturato da tempo, e che lo mise sicuramente in grado di esercitare il suo giudizio in piena autonomia. In altri casi di processi che suscitano l’allarme dell’opinione pubblica quanti sono stati i magistrati, Pubblici Ministeri o Giudici, che godevano di sufficiente indipendenza per sfidare l’opinione pubblica, non prendendo per oro colato le “informative della polizia” i primi, e contrastando le certezze delle procure i secondi? Non si può certo chiedere che i giudici si dimettano dopo aver pronunciato le sentenze dei casi più clamorosi. Vorrei però ricordare che altri sistemi, come quello della giustizia federale negli Stati Uniti, prevedono l’assoluta inamovibilità del giudice, il quale non può essere condizionato dalle sue prospettive di carriera, semplicemente perché non ha una “carriera” davanti a sé, non essendo previsti, per il giudice, nominato a vita, né promozioni né trasferimenti ad altro luogo o ufficio.

 

 

Rispondero' con piu' calma. Ma l'analogia pessimista con l'universita' non calza. Il sistema universitario inglese e' stato riformato con grande successo. Non sara' perfetto ma e' Marte rispetto all'Italia. Il sistema amerikano funziona, coi suoi problemi, ma funziona benissimo.

Che soluzioni adottate nel mondo universitario, essenzialmente iniezioni di competitivita', siano in principio pericolose per la giustizia e' possibile, pare ovvio e secondo me lo e' solo in parte: sarebbe interessante discuterne per bene a costo di far rizzare i capelli ad Axel.

Ancora una volta, ma ci ritornero' piu' analiticamente, vorrei  notare che l'indipendenza della magistratura non e' necessariamente in contrasto con incentivi di carriera per i giudici, specie i PM.  Molti sembrano crederci, ma questa e' un'enorme bufala logica. I giudici amerikani non hanno carriera (? non lo so, non ho ragioni per dubitare dell'affermazione di Sandroft), ma i PM amerikani sono addirittura eletti democraticamente. Non che io pensi che questa sia la strada da seguire, assolutamente no,  ma non vale usare l'esempio amerikano a meta'. Il sistema si regge o non si regge nella sua struttura generale.

 

Siccome le funzioni sono già separate, il problema della separazione delle carriere non sarà un problema finto, artificiale, creato proprio da chi vorrebbe la magistratura un po' meno indipendente? Se ci fate caso, in Italia, le critiche e gli anatemi si abbattono quasi sempre su magistrati, magari laboriosissimi, che però tirano dritto anche davanti al nome importante. Il giudice fannullone, che non disturba la casta, può dormire invece sonni tranquilli. Direi, anzi, che una giustizia troppo efficiente al legislatore italiano non pare interessare molto.

Sulla separazione delle carriere inserisco gli articoli 17 e 18 di una Raccomandazione agli Stati membri sul ruolo del pubblico ministero nell'ordinamento penale adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 6 ottobre 2000:

COUNCIL OF EUROPE

COMMITTEE OF MINISTERS

Recommendation Rec(2000)19

of the Committee of Ministers to member states on the role of public prosecution in the criminal justice system (Adopted by the Committee of Ministers on 6 October 2000 at the 724th meeting of the Ministers’ Deputies)


Relationship between public prosecutors and court judges


17. States should take appropriate measures to ensure that the legal status, the competencies and the procedural role of public prosecutors are established by law in a way that there can be no legitimate doubt about the independence and impartiality of the court judges. In particular states should guarantee that a person cannot at the same time perform duties as a public prosecutor and as a court judge.


18. However, if the legal system so permits, states should take measures in order to make it possible for the same person to perform successively the functions of public prosecutor and those of judge or vice versa. Such changes in functions are only possible at the explicit request of the person concerned and respecting the safeguards.



Sugli incentivi mi pare invece molto interessante quanto detto dal consigliere di Cassazione Pier Camillo Davigo durante una puntata della trasmissione della Rai Ballarò:

Davigo: Intanto questa riforma non è probabilmente, non lo penso solo io, lo pensano i costituzionalisti, non è in linea col modello di magistratura disegnato dalla Costituzione. La Costituzione per cominciare esclude una carriera in senso proprio dei magistrati, dice [che] i magistrati si distinguono fra loro solo per differenti funzioni. E credo che sia un problema non soltanto di Costituzione ma di cultura, di un tipo di cultura o di un altro tipo di cultura. Il ministro Castelli ha usato prima una espressione che mi ha colpito, ha detto “i magistrati più ambiziosi”. Io ho il terrore di un magistrato ambizioso. Sono stato educato…


ministro Castelli: Non ci sono magistrati ambiziosi… dottore, è notorio che non c’è neanche un magistrato ambizioso in questo momento...


Davigo: Non importa se ci sono, ma se c’è un difetto non va premiato, non va incoraggiato. Sì, con questa riforma invece la incoraggiate, l’ambizione. Io sono stato educato al principio secondo cui il magistrato deve essere senza timore e senza speranza. Deve svolgere le sue funzioni senza aspettarsi un premio per quello che fa e senza temere una punizione. Perché altrimenti non sarà più libero di decidere secondo scienza e coscienza, che è esattamente quello che gli si chiede nel momento in cui deve disporre dei beni, dei figli, della libertà dei cittadini. Se pensa alla sua carriera, a come sarà valutato e non a cercare la verità, probabilmente sarà un cattivo giudice. Se cerca il consenso del governo che c’è al momento, o anche soltanto del popolo, della piazza, dell’opinione pubblica, della maggioranza, rischia di diventare un magistrato come il procuratore romano di Giudea, Ponzio Pilato, che infatti fece il referendum, “chi volete libero, Cristo o Barabba?”. Il referendum lo vinse Barabba. Abbiamo l’indipendenza anche per questo. Allora un modello di magistrato che pensa essenzialmente alla carriera, perché poi prevedere la possibilità per alcuni di saltare gradi - assicuro sono assolutamente disinteressato, sono troppo vecchio perché qualcuno possa passarmi davanti con gli istituendi concorsi, ma creare un meccanismo in cui sarà avvantaggiato chi farà i concorsi significa che questi saranno in futuro tutti a capi degli uffici, e quindi significa scatenare una corsa tra chi eserciterà autorità su altri magistrati e chi non la eserciterà, significa creare, introdurre dei virus nel corpo della magistratura per cui anziché preoccuparsi di quello che è il proprio dovere ci si preoccuperà soprattutto di quella che è la propria carriera. Ed è un difetto, che non va incoraggiato, va semmai contenuto, va abolito, va ridotto al minimo possibile con l’educazione. Poi Pamparana proponeva un problema annoso, quello della politicizzazione. A parte il fatto che politicizzazione e parzialità [nell’originale: imparzialità] non sono affatto la stessa cosa, ma io mi chiedo, ci sono altri fattori che giocano nella cultura del giudice e quindi anche nella sua decisione, per esempio la sua religione, oppure la sua etnia. Ora, per anni ci siamo sentiti accusati di essere politicizzati; io per esempio personalmente sono stato accusato di essere una toga rossa, una toga nera, una toga azzurra, una toga di tutti i colori. Ma il giorno in cui un imputato non appartenente alla nostra etnia dirà “io non voglio essere giudicato da un giudice bianco”, o il giorno in cui un imputato islamico dirà “io non voglio essere giudicato da un giudice cristiano”, che cosa gli risponderemo? Perché questi virus terribili che sono stati introdotti nella percezione dell’opinione pubblica, per cui non si valuta più l’atto che il magistrato compie, ma l’etichetta che gli viene appiccicata, io lo trovo di inaudita pericolosità. Quand’ero ragazzino che andavo a catechismo mi avevano insegnato che la validità del sacramento non dipendeva dal fatto che il ministro fosse degno, ma dal fatto che fossero state rispettate le norme liturgiche, la comunione valeva anche se il prete aveva la fidanzata. E allora cerchiamo di discutere meno del colore della toga e di più dell’osservanza delle norme.

 

Come dicevo nell'articolo, ho l'impressione che tu abbia ragione che le richieste di separazione delle carriere possano essere motivate dal desiderio di limitare l'indipendenza dei PM. Cio' non toglie che le cose siano separate logicamente. Che davanti alle proposte di separazione, che hanno una loro logica e validita', mi pare sia meglio assicurarsi/richiedere che l'indipendenza sia garantita piuttosto che non continuare a gridale al lupo.

Le idee di Davigo  sulla carriera mi fanno orrore per l'ignoranza e la forma mentis che dimostrano. Sara' il catechismo, o avra' letto anche lui troppo Keynes da bambino, come il nostro Axel. 

 

Accidenti, voi vi fate spiegare i problemi della giustizia da uno che non capisce nulla di economia (non apprezza JM) e nemmeno di calcio (é interista, il che corrisponde ad una pratica masochistica, ma che con il calcio non ha nulla a che vedere) e mi mettete troppa carne al fuoco. Molta di essa sará oggetto della successiva puntata della telenovela dedicata alle leggi ed alle procedure e, quindi, non entro nel merito dei discorsi accusatorio/inquisitorio e obbligatorietá dell´azione penale, in quanto richiede un´analisi piú approfondita. Posso dire che molte delle cose che dite, corrispondono a veritá, in particolare ció che dicono Broncobilly e Sabino sulla obbligatorietá dell´azione penale.

Mi limito ad evidenziare alcuni aspetti relativi alla discussione di cui sopra

1) L´appello. Dopo quello che vi ho detto sui miei colleghi, mi stupisce che voi vogliate abolire l´appello. Se siete stati giudicati da uno della specie "duro e puro" o da uno della specie "publicus lavativus" non é meglio avere a disposizione una seconda possibilitá per incontrare se non un eccellentissimus almeno un seriosus? Il problema dell´appello sono gli incentivi (aiuto! ormai ragiono come Alberto). sul punto rimando alla prossima puntata.

2) L´organizzazione delle procure. Le procure sono di varei dimensioni. Ne esistono di piccole (Rovereto, Pinerolo, Tivoli, Lagonegro, Marsala, Castrovillari, ecc.), medie (Bolzano, Trento, ecc.), medio grandi (Padova, Venezia, Bologna, ecc.), enormi (Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo). La specializzazione é favorita a partire dalle procure medie, la decisione sul grado di specializzazione viene presa da tutto l´ufficio. A Bolzano abbiamo pochi settori di specializzazone, in altri uffici sono molto piú parcellizzati. Il procuratore assegna il lavoro ai sostituti in base a criteri oggettivi. Puó codelegare (uno anziano con quello privo di esperienza o sé stesso con altro collega). Il ruolo del procuratore capo dipende molto dalla sua autoritá. Con il nuovo ordinamento si é rafforzato il suo ruolo, prevedendo la possibilitá che avochi a sé delle indagini. Le prioritá delle indagini´standardizzate possono essere stabilite cn cosiddetti protocolli investigativi, concordati all´interno dell´ufficio, per il resto il controllo puó essere computo solo con l´avocazione o la segnalazine disciplinare. Per quanto riguarda l´ufficio del PM é possibile introdurre dei criteri abbastanza oggettivi per verificare se fa bene il suo lavoro, ad esempio: quante assoluzioni su suoi rinvii a giudizio? Quanta gente é finita in custodia cautelare ingiustamente? Quanto spende in indagini senza frutto o che partoriscono  un topolino? ecc?

3) La separazione delle carriere e la PG. Quanto segnalato da Sandroft é profondamente vero, ma dipende dall´incapacitá e mancanza di autorevolezza del PM (ce n´é tanti, purtroppo, che si fanno guidare dalla PG). Fra l´altro segnalo che l´incentivo al lavoro della PG é la custodia cautelare, cioé piú gente metto dentro e piú il mio ufficiale/funzionario fa carriera. Sul punto posso raccontare diveri aneddoti, ma non ora.

4) L´indipendenza. Non credo che andare contro certe procure sia un danno per la carriera. L´indipendenza é garantita. Se poi uno ha paura delle reazioni dell´opinione pubblica ha sbagliato mestiere.

5) Il concorso ed i magistrati meridionali. Il dato mnemonico non é sufficiente per passare il concorso, é necessario esporre i concetti per iscritto in modo corretto, altrimenti non si passa. L´ultima polemica che c´é stata é stata, come al solito distorta. E´passato il messaggio che i magistrati dell´ultimo concorso non sapevano l´italiano, mentre, invece, il conetto era opposto, ovvero che, essendovi stati tanti ignoranti, non si sono coperti i posti messi a concorso. Infine i magistrati meridionali. Posso dire che hanno sicuramente una maggiore padronanza di noi nordisti della lingua di Dante, olre che una maggiore capacitá di analisi ed approfondimento del concetto giuridico. Napoli é una delle facoltá piú famose e da essa continuano ad uscire fior di giuristi. Ció non significa che sono dei magistrati migliori. Le specie da me descritte si annidano in egual misura sia al nord che al sud.

adesso vado a dormire poiché domani (oggi) alle 6,00 suonerá la sveglia.

 

 

 

Ho una connessione lenta e disperatissima e quindi non posso ben rispondere all'usuale interessantissima discussione. Lo faro' appena possibile. Ma questo non potevo proprio evitarlo (che il nostro Axel crede di aver capito come funzionano gli incentivi e si monta la testa):

 

Se siete stati giudicati da uno della specie "duro e puro" o da uno

della specie "publicus lavativus" non é meglio avere a disposizione una

seconda possibilitá per incontrare se non un eccellentissimus almeno un

seriosus?

 

Bell'esempio di ragionamento da uomo di casta protetto: molti di noi non fanno il loro lavoro, quindi almeno fatecelo fare due volte che magari la seconda viene bene; cosi' raddoppiamo il numero di magistrati.

Di ponti sullo stretto di Messina facciamone due che magari uno non cade; sai com'e'.

Detto questo, l'appello e' garanzia importante, proprio come un secondo ponte di Messina, ma il ragionamento del caro Axel, andava notato :)

Una cosa in piu' da studiare bene, l'appello.

 

 

 

Salve, purtroppo quest'articolo risulta difficoltoso da leggere a causa di una cattiva formattazione (suppongo dovuta al passaggio alla nuova versione del sito); qualcuno può metterci mano, soprattutto per sistemare gli "a capo"? Faccio notare che l'articolo, sebbene vecchio di anni, sia tuttora attuale!