Il grande cattivo mercato

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E’ la traduzione del titolo (Le grand méchant marché, Flammarion 2007, 182 pagine) di un libro di due economisti francesi che ho appena finito di leggere.

I due autori del libro sono due economisti francesi (Augustin Landier e David

Thesmar), giovani e molto bravi, la cui ricerca è tra le più interessanti nel campo della corporate finance. Ma il libro non parla della loro ricerca. Cerca

piuttosto di spiegare come mai in Francia parole come mercato, concorrenza,

finanza siano considerate con scarsa simpatia, al limite dell’ostilità. Nei

sondaggi della World Value Survey,

l’affermazione “la concorrenza stimola gli aspetti peggiori dell’uomo” ha avuto

un’approvazione da parte dei francesi che è passata dal 20% al 30% nel corso

degli anni ’90, mettendo la Francia al quarto posto tra i 60 Paesi in cui il

sondaggio è stato somministrato (dopo Cile, Belgio e Estonia). Solo il 36% dei

francesi pensa che l’economia di mercato e la libera iniziativa impresa siano

il miglior sistema economico possibile, contro il 71% degli americani e il 66%

dei britannici. Le scelte dei governi francesi, di difesa dei campioni

nazionali contro le scalate di imprese straniere riflettono questo desiderio di

bloccare il funzionamento del libero mercato. Ma da dove viene questa ostilità

dei francesi verso il mercato e la concorrenza? Il libro fornisce due tipi di

risposta, uno che viene dalla storia della Francia e l’altro che si basa sugli

incentivi.

Iniziamo da quello storico. La parte centrale del libro (dimenticavo: purtroppo non

è stato tradotto e se volete leggerlo dovete conoscere il francese) ripercorre

brevemente la storia economica francese, in particolare quella del ‘900. La

tesi forse più sorprendente è che all’inizio del secolo scorso e fino alla

seconda guerra mondiale in Francia non vi era ostilità al mercato. Anzi, vi era

una generale avversione verso l’intervento pubblico in economia. I piccoli

proprietari terrieri e i grandi gruppi industriali chiedevano solo una bassa

tassazione e una politica monetaria stabile. Gli investimenti in infrastrutture

da parte dello Stato erano scarsi e anche i salvataggi di imprese in difficoltà

erano di carattere eccezionale. Un sistema economico quasi liberale, dunque,

dicono gli autori. Quasi perchè mancava in Francia una dimensione essenziale:

la concorrenza. Un sistema industriale basato sui grandi gruppi e un settore

agricolo molto frammentato chiedevano una sola cosa: protezione dalla

concorrenza esterna. E i governi erano pronti ad esaudire tale richiesta. La

bruciante sconfitta nella seconda guerra mondiale (perchè di sconfitta si

tratta per la Francia: ricordate Hitler a Parigi?) mette in crisi il modello

economico francese. Posto di fronte alla scelta tra il completamento di un

sistema economico veramente liberale, cioè liberando la concorrenza nei

mercati, e l’abbandono di un sistema di scarso intervento statale

nell’economia, De Gaulle non ha esitazioni e sceglie la seconda strada. Viene

introdotta un’autorità per la pianificazione economica anche per mostrare agli

Stati Uniti, i cui prestiti erano fondamentali per l’economia francese, un

disegno credibile di ricostruzione. Nelle intenzioni di De Gaulle questa

centralizzazione delle decisioni economiche dovrebbe essere solo temporanea,

limitata all’emergenza del dopoguerra. Ma le cose non vanno come auspicato dal

Generale per due ragioni. La prima è che la Francia vive quasi trenta anni di

prosperità economica, con tassi di crescita molto elevati. La seconda è che

l’alta burocrazia francese, una volta ottenute le chiavi del potere economico,

non ha alcuna intenzione di privarsene. Nella memoria dei francesi il lungo

periodo di prosperità (i francesi usano l’espressione “les Trente Glorieuses” per indicare il periodo 1945-1975) viene

legato al dirigismo economico. Prova ne è che la reazione della società

francese alla crisi economica della fine degli anni ’70 è l’elezione di

Mitterand, il cui programma prevedeva la nazionalizzazione delle banche e dei

principali gruppi industriali. L’avversione al mercato dei francesi sarebbe

dunque un “regalo avvelenato” (un cadeau

empoisonné) dei 30 anni di gloria del dirigismo economico.

La seconda spiegazione si basa invece su aspetti più legati all’attualità.

La chiave interpretativa individuata dagli autori si basa sul sistema pensionistico

francese che è basato sul sistema del pay

as you go, cioè in cui i giovani pagano le pensioni dei vecchi. La crisi di

tale sistema crea una forte incertezza nelle generazioni più giovani -che sono

oggi attive nel mercato del lavoro- riguardo i loro redditi futuri. Dovendo già

fronteggiare questo tipo di incertezza, i lavoratori francesi preferiscono

investire la loro ricchezza in attività a basso rischio (la febbre del mattone

è forte anche in Francia). Pochi francesi investono in azioni e, come

risultato, le grandi imprese francesi si finanziano in modo significativo nei

mercati finanziari internazionali. Gli obiettivi di famiglie e imprese sono

quindi divaricati: alle famiglie interessa più la stabilità delle imprese che

la loro crescita. Di fronte a OPA di imprese straniere la reazione dei francesi

è quella di pensare che esse andranno a beneficiare gli azionisti stranieri e a

danneggiare i lavoratori francesi. I governi francesi, sensibili ai desideri

dell’elettorato si adeguano e difendono i campioni nazionali da “attacchi”

esterni.

Quali soluzioni propongono gli autori per uscire da questa impasse? La loro

ricetta è quella di un passaggio ad un sistema pensionistico a capitalizzazione,

associato alla creazione di fondi pensione che dovrebbero investire i soldi dei

lavoratori (anche) in azioni francesi. In questo modo i lavoratori

diventerebbero anche piccoli azionisti e sarebbero più in linea con gli

obiettivi delle imprese. Si tratta, in altre parole, di creare una ownership society, sulle orme

dell’esperienza thathceriana.


Il libro ci fornisce una chiave interpretativa per le prossime elezioni

presidenziali francesi. (Almeno) uno dei due autori è consulente di Sarkozy. La

scommessa di Sarkozy, come mostra anche il suo recente incontro con Blair, è

quella di indicare nella Gran Bretagna un modello da seguire anche per i

francesi. Un’economia più liberale, più orientata al mercato, meno dirigista,

come invocato nel libro. Una scommessa rischiosa, che può regalare alcuni

elettori di moderati al Front National. Da parte di Ségolène c’è invece una

maggiore ambiguità sui temi economici, probabilmente una certa cautela a staccarsi dal modello

economico francese attuale. A maggio vedremo chi avrà avuto ragione.

 

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Commenti

Ci sono 31 commenti

Posto che è riduttivo ragionare per etichette, se dobbiamo puntare su Sarkozy per sperare che in una Francia ci sia un'impostazione più liberale, non siamo messi troppo bene...

 

Nei giorni scorsi ho visto un'intervista di Charlie Rose a Sarkozy, in cui essenzialmente si proponeva come il vento nuovo. Il grande liberalizzatore. Incuriosito, sono andato a leggermi il suo programma di politica economica. Se lo ponessimo al vaglio standard di nFa, sarebbe coperto di ridicolo. E' pieno di proclami populistici e ci sono parti davvero esilaranti. Una per tutte, quella in cui propone che non vi sia un francese che paga in tasse piu' del 50% dei propri redditi. ????? 50% ????? In caso in cui, invece, volessimo giudicare dal gradiente, diremmo diversamente. Sarkozy, e/o i suoi advisors, sembra abbiano capito la direzione del cambiamento. In ognica caso, dubito altamente che le minime riforme che vengono annunciate nel programma possano servire a raggiungere gli obiettivi enunciati, che, in pura tradizione francese, sono grandiosi.

Uno di questi giorni andro' al nono piano a parlare con Landier. Sono curioso di sapere come la pensa.

Tre informazioncine di cui non tutti sono al corrente: 1) Sarkozy non e' il prodotto di una Grande Ecole; 2) Nella vita ha sempre e solo fatto il politico 3) Non sa l'inglese.

 

Un paio di precisazioni. Mentre le tesi esposte nell'articolo sono quelle degli autori, l'ultima frase, sulle elezioni francesi, è una mia inferenza. Ero molto riluttante a metterla perchè temevo la confusione. Il libro NON è il programma di Sarkozy. Spero che sia chiaro. Vorrei precisare inoltre che non sono un fan di Sarko. Per quello che può valere, credo che la famiglia di mia moglie (lei inclusa) voterà compattamente per Ségolène.

 

 

Leggere per credere : la Francia e' irrecuperabile. 

Se conoscete il francese: qui.  

 

 

Se un francese leggesse oggi le dichiarazioni di Caruso o Matarrese arriverebbe a dire la stessa cosa di noi italiani. Per fortuna Caruso e Matarrese non ci rappresentano, esattamente come quei signori non rappresentano la Francia.

 

Questo Caruso se vi riferite Sig. Fausto alle dichiarazioni sui tifosi che uccidono i questurini, non rappresenta piu' che qualche cretino che va in viaggio premio alla manifestazion in Scozia.

I francesi, no, non sono nella stessa condizione.

Per una grande quantita' di ragioni c'e' una parte molto considerevol dei francesi (sono meta' francese io, e non sono in quella parte) che ritiene i servizi "acquisiti" comeli chiamano intoccabili. E sono perfettamente disponibili a dire che bisogna pagare o le stesse o piu' tasse per tenerli in piedi. I serivizi vanno da denari dati alle donne (chiunque faccia piu' di tre figli ha reali vantaggi economicamente quantificbaili a fare la madre professionista statale) e servizi culturali che tuttora battono molti altri paesi (l'unico posto dove ho trovato migliori bibliteche comunali e' la Norvegia.)

 

 

Palma, non ti consento di darmi del voi (all'italiana). Se poi vuoi usare il lei, dato che non ci conosciamo, posso anche capirlo (anche se preferirei il tu). Ma il voi no, per favore. Sul merito, le tue, come quelle di rabbi, mi sembrano indebite generalizzazioni sui francesi.

 

  

L'ambition de la chandelle n'est qu'éclairer. Je ne récuse pas cette mission. L'ironie et l'humour sont, il est vrai, d'un agréable commerce; la fréquentation des hommes instruits tout autant. Mais lorsque l'ironie et l'humour sont au service de l'ennemi, je les combats; ce sont des armes redoutables, et si tous nos ennemis étaient des sots ou des cuistres, voici longtemps que la République universelle aurait triomphé, je le dis sans ironie.

Maximilien Robespierre

 

 

Robespierre scriveva molto meglio di Mao, vero. Ha fatto pure meno morti, anche se partendo da una basa piu' ridotta numericamente.

 

Quant a moi, pas Monsieur, mais citoyen, cher Fausto. Je ne suis pas "sieur" et "sire" nonplus de rien du tout.

Et
je m'en fous et contre fous de la politesses hexagonale.