Horror Economics (III)

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Nel mezzo di tanti e tanto drammatici sconvolgimenti economico-sociali, vi è un ruolo per la politica economica? Cosa dovremmo chiedere ai nostri governi di fare per affrontare i supposti orrori economici che verranno? La risposta non mi è del tutto chiara, anzi, ma per certo molte politiche proposte sono da evitare come la peste. Quelle di cui abbiamo bisogno, io credo, son quasi tutte politiche da inventare di sana pianta.

So da lunedì scorso d'essermi cacciato in un guaio con la mia idea dell'economia dell'orrore in tre puntate. Prima a discutere dei tracolli finanziari e della crisi sistemica che porterà con se l'inevitabile crollo del capitalismo come l'abbiamo conosciuto. Poi a dibattere della globalizzazione "sub specie sinica", degli sconvolgimenti che questa causa all'Italia, all'Europa e all'ex "primo mondo". Finalmente, dopo essermi convinto scrivendolo che avrei qualcosa di non completamente beota da proporre, eccomi qui con il video bianco davanti e la profonda sensazione che qualsiasi opinione io abbia non può non essere totalmente irrilevante, oltre che probabilmente erronea. L'arroganza in questo caso o salva o danna, e questo lo lascio decidere ai lettori. Per parte mia non ho scampo: ogni promessa è un debito, quindi scrivo.

L'economia dell'orrore non è solamente una cretinata dal punto di vista intellettuale, è anche dannosa dal punto di vista pratico. Creare il panico alterando la natura dei problemi ed ingigantendone la gravità non aiuta il discorso razionale, il conoscimento obiettivo della situazione e l'adozione di misure adeguate e ben meditate.

Nel caso della crisi finanziaria la tesi, un tempo eretica, secondo cui alla radice del disastro sta la politica monetaria Greenspan-Bernanke - avanzata quando il panico ancora non sembrava aver afferrato le menti di chi comanda al Board - sembra oggi condivisa da più di un osservatore; specialmente dopo le recentissime decisioni di trasformare la Riserva Federale USA nell'IRI della banca privata d'investimenti. Che decisioni di questo tipo siano esecrabili, oltre che dannosissime per il sistema di libero mercato, sembra opinione non solo mia ma anche, mi rallegro di scoprirlo, di teorici dell'orrore come Nouriel Roubini. Poiché il tema "crisi finanziaria, recessione economica & politiche monetarie/fiscali" è andato evolvendo ma anche chiarendosi in queste due settimane, faccio come il parlamento italiano con il decreto milleproroghe: rinvio ad un nuovo articolo in preparazione con un esperto vero e che uscirà nei prossimi giorni.

Nel caso della globalizzazione, avendo io sostenuto che vi è una punta di verità nel discorso tremontiano, almeno nella misura in cui solleva un problema sul quale altri preferiscono tacere, si potrebbe pensare che io condivida o il tono da Finis Austriae che il nostro commercialista adotta, o la sostanza delle misure di politica economica ch'egli suggerisce, o entrambe. Niente è più lontano dal vero. Il mio approccio per capire i "mali" della globalizzazione nega alla radice che il metodo GT (Giulio Tremonti, per i nuovi arrivati) sia sensato: GT parla per aforismi oscuri ed ermetiche metafore, usando toni da provinciale profeta post-derridiano e negando qualsiasi potere interpretativo non solo alla scienza economica, ma anche alla logica ed all'analisi dei dati. Il libro è une pièce de résistance a cavallo fra la comica da sacrestia e lo sproloquio catacombale. Merita un'esegesi che, seppur non potrà mai gareggiare con i pindarici voli del suo oggetto, prometto con inusuale entusiasmo. La retorica apocalittico-catastrofista è, nondimeno, funzionale al progetto politico: il fumo del cambio epocale serve a GT per celare il vuoto politico del suo schema; non ha NULLA da dire. Leggersi il Capitolo VIII, "Quo VadisEuropa? Proposte concrete", per scoprirlo: l'erede di BS è, intellettualmente parlando, in mutande.

Vengo qui alla seconda parte della morale che sottende questi tre articoli: sia l'analisi di NR sulla crisi finanziaria, sia quella di GT sulla globalizzazione soffrono d'un difetto comune. Esse propongono soluzioni vecchissime, antiche, già sperimentate, e già fallite. Essi propongono atti di politica economica che conosciamo essere fallimentari e dannosi non solo perché li abbiamo tragicamente sperimentati ma perché abbiamo anche capito, attraverso la ricerca degli ultimi 30-40 anni, perché non funzionano.

Cosa è andato proponendo NR sino all'inopinato risveglio critico indicato sopra? Espansione monetaria, tassi d'interesse a breve più bassi, espansione creditizia, sussidi fiscali. In altre parole, dosi massicce (e scontate) della stessa follia keynesiana che negli anni '70 ci regalò la stagflazione. È quello che, di fatto, la Fed ed il governo USA stanno praticando, con successo zero nel breve periodo e, facile pronostico, negativo nel medio-lungo.

Cosa propone GT? Peronismo (egli amerebbe pensare Gaullismo, ma Peronismo è più appropriato) classico, condito di richiami tutti ratzingeriani all'Europa medievale, ai campanili, alle città murate e turrite, ad un sistema di "valori" che esiste solo nelle fantasie parrocchiali del soggetto e che, dietro alla finta pretesa d'essere un messaggio epocale, ha il respiro culturale d'una campagna elettorale. Finita questa i roboanti temi ritorneranno nel cassetto o verranno riservati ai comizi in val Brembana; privi d'incidenza reale, da un lato, e forieri di disastri peronisti dall'altro.

A fronte di questo pensare stantio, sconfitto dalla storia e sepolto dalla ricerca, è il caso di provare a pensare fuori dalla scatola, come dicono da queste parti. Sui mercati finanziari, l'ho già detto, ci ritorniamo a breve. Sulla questione della globalizzazione, occorre riconoscere il grave ritardo europeo e quello drammatico dell'Italia. Dobbiamo essere creativi proprio perché, se vogliamo pensare positivamente, occorre salvare capra e cavoli. Occorre rendere l'Europa, e l'Italia, competitive ed innovative domani, mentre allo stesso tempo occorre preservare la capacità degli europei e degli italiani di oggi di produrre reddito e di riconvertirsi. Occorre introdurre competizione nella nostra economia mentre, nel frattempo, si evita che quei pezzi di economia italiana (ed europea) che sanno sia competere che creare muoiano sotto una valanga di lavoro semi-schiavistico. Occorre investire in capitale umano nuovo, capace di competere sul teatro globale, mentre occorre permettere al capitale umano che abbiamo (decisamente vecchio) di sviluppare al massimo i propri vantaggi comparati e sopravvivere. Occorre far uscire il Sud dalla trappola del sottosviluppo mentre tagliamo radicalmente i trasferimenti che riceve, sia quelli diretti che quelli occulti (ben maggiori). Occorre migliorare i servizi pubblici, mentre riduciamo drasticamente la spesa pubblica e l'imposizione fiscale. Bisogna essere più bravi dei cinesi a quello che ci stanno copiando, mentre ci inventiamo delle altre cose da fare, cose che sappiamo fare bene solo noi e non loro. Catch 22? In un certo senso, ma occorre pensare fuori dalla scatola proprio per questo: WTO è stato fatto male e l'Italia è stata sgovernata per 40 anni, ma chi ha dato, ha dato, ha dato ... Svegliarsi, non farsi prendere dal panico, essere creativi, avere coraggio.

Ecco una

stringa d’idee, che non giustifico perché so che potrò farlo nella

discussione, e perché altrimenti la logorrea ha il meglio di me. Seguendo il consiglio del nostro GT ometto quelle a cui noi di nFA siamo particolarmente attaccati (qui, quo e qua.).

(1) Spingiamo per il regionalismo negli accordi commerciali, giocandoci la

carta del Mediterraneo con un ruolo da leader. Non vi è assolutamente

nessuna ragione, né economica né politica, per cui solo gli accordi

globali siano la strada maestra da seguire. I mercati globali si fanno

quando vi è una quantità grande abbastanza di produttori e compratori

omogenei, altrimenti si fanno contratti bilaterali. Per impossibile che

possa sembrare, WTO va ridiscusso e criteri di "ugual trattamento" ed

accettazione della competizione anche sul mercato interno vanno

introdotti. I dettagli discutiamoli.

(2) Aboliamo il valore legale del titolo di studio e liberiamo totalmente l'insegnamento universitario. Ogni università è una fondazione senza scopo di lucro, che compete sul mercato internazionale, alla pari di Princeton, o di Claremont-McKenna College. Facciamo lo stesso con i licei: trasformiamoli in cooperative d'insegnanti e diamo alle famiglie italiane dei buoni scolastici per pagare la retta. Facciamo dell'Italia il posto dove i ragazzi bene vengono non solo all'università, ma anche al liceo. Le belle città della provincia italiana possono riempirsi di collegi "svizzeri" per i ricchi dell'Asia. Verranno, vedrete.

(3) Ridefiniamo la nostra politica immigratoria. Paradossalmente sembra che l'Italia importi già forza lavoro mediamente più qualificata di quella residente, ma questo succede solo per caso. Non esiste una politica nazionale al riguardo, che invece va introdotta: l'Italia in principio attira, pratichiamo esplicitamente e coraggiosamente una politica d'attrazione del lavoro altamente qualificato. Firenze, Venezia, Bergamo, Siena, Trieste, Pisa, ... dovrebbero essere popolate da gente con masters e PhDs o da turisti intellettuali e milionari, non da torme urlanti ed oleose di gente in bermuda al seguito un cretino con l'ombrello alzato (e chiuso) sotto il sole a picco! Zero tassazione sul valore aggiunto generato da imprese con più di 20/30 dipendenti che abbiano un Master o titolo più avanzato. Dodici bottiglie gratuite di Sassicaia di Bolgheri (all'anno) per chiunque abbia un PhD da University of Rochester ... un po' di creatività, per Bacco!

(4) Riduciamo radicalmente l'imposizione sul reddito da lavoro dipendente: due trami, uno al 10% per "salari da colletti blù" ed uno al 25% per gli altri salari. Si, ho scritto dipendente: oggi il lavoro ad alto valore aggiunto, che innova, produce beni e servizi creativi e li vende nel mondo, è fondamentalmente lavoro dipendente, magari alle dipendenze d'un imprenditore di valore, ma dipendente quel lavoro è. Detassiamolo e detassiamo, quindi, anche il reddito d'impresa quando quest'ultima ha un numero minimo di dipendenti qualificati (come in (3) per esempio) e reinveste in Italia. Mi dispiace per i signori pizzicagnoli, i farmacisti, i notai e gli altri e molteplici membri di "ordini professionali": per competere con Shenzhen gli "ordini medievali" non sono molto utili, anzi fanno danno. Sono le Luxottica, le Favero&Milan e le Logitech di domani che vogliamo attrarre, e mantenere, nel paese.

(5) Diventiamo il paese leader, all'interno di WTO-TRIPS, per una progressiva ma radicale riduzione dei termini dei brevetti e del copyright. Sissignori, avete letto bene: per competere con Cina ed India non abbiamo bisogno di più proprietà intellettuale, ma di meno proprietà intellettuale e più imitazione/concorrenza/innovazione. Non ci credete? Discutiamone, il tema non mi è del tutto alieno.

(6) Riformiamo il sistema di pensioni attraverso tre misure fondamentali: (6a) aumento dell'età minima di pensionamento a 65 per tutti, con incentivi al pensionamento in età più tarde; (6b) passaggio ad un sistema misto, 50% via fondi d'investimento e 50% via il meccanismo (semi)-pubblico descritto in (6c); (6c) gli investimenti pubblici in salute, ambiente, educazione e ricerca di oggi sono le pensioni pubbliche che riceverete domani (dettagli tecnici).

(7) Svegliamoci: non è mai troppo tardi ma qualche volta rischia di esserlo.

 

 

La Cina, cari italiani, è vicina. Il resto del mondo, pure. Molto di più di quanto pensasse allora Bellocchio con le sue deleterie pippe catto-comuniste. Come forse avrete avuto l'occasione di notare anche recentemente, da quelle parti son simpatici e cucinano ottime anitre (da servirsi con cipolline verdi) ed anche dim sum, ma non hanno l'abitudine di prendere prigionieri. Se un po' di quel sangue rinascimentale v'è rimasto nelle vene, è ora di metterlo in circolo.

 

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Commenti

Ci sono 52 commenti

Ho letto con la massima attenzione che potevo (ammetto che non e' molta al momento) e oserei dire che sono d'accordo con tutto. Forse non con il 7b, ma e' piu' una sensazione che altro - dovuta forse al fatto che i fondi di investimento in Italia (ma anche fuori) non mi danno molto affidamento.

Precisazione pignolesca: i punti 7a 7b e 7c sono in realta' relativi al punto 6.  

Approfitto per presentarmi: italiano residente a Roma, informatico professionista,appassionato di storia, linguistica, politica ed economia :) Ho lavorato per una multinazionale americana nella speranza di cambiare Paese, ma alla fine ho fatto una "scelta di campo" e ho deciso di restare invece di fuggire.

I vostri articoli fanno estremamente piacere, de gustibus non disputandum est pero' dirlo non fa male :)

 

 

Precisazione pignolesca: i punti 7a 7b e 7c sono in realta' relativi al punto 6. 

 

Giusto, ho corretto. Grazie.

 

 

Venendo ai dettagli pratici, come pensi di ridiscutere il WTO? Trascuriamo se la cosa sia davvero conveniente o meno, e parliamo di fattibilita'. Per non essere seriamente masochistica, l'azione dovrebbe essere concordata con un largo gruppo di partecipanti (oppure si finirebbe senza nessuno a cui esportare...). In particolare, la cosa dovrebbe essere fatta a livello di Unione Europea, altrimenti gli import farebbero dogana altrove e arriverebbero in Italia lo stesso. E ho molti dubbi che i paesi nordeuropei (UK,Olanda, paesi scandinavi, e anche la Germania) aderirebbero all'iniziativa, dato che loro saggiamente non si sono andati a cacciare nella trappola della produzione a basso valore aggiunto che caratterizza il Belpaese, e pertanto dal commercio con l'Asia hanno assai piu' da guadagnare che da perdere.

Una seconda sorgente d'opposizione verrebbe da paesi e gruppi privati multinazionali che hanno investito pesantemente in fabbriche in Asia e non hanno la minima intenzione di vedersi bloccare le vendite. Tra questi ci sono anche due delle tre societa' che (giustamente) citi come esempi da imitare: Luxottica (due delle sue otto fabbriche sono in Cina) e Logitech, piu' la quasi totalita' dei produttori hi-tech americani (Apple, Intel, Cisco, you name it).

Siccome poi in ambito WTO il procrastinare e' la regola anche in condizioni normali, quel che succederebbe sarebbe la definitiva paralisi della corrente "Doha Development Agenda", con conseguente blocco di nuove liberalizzazioni proprio dove servirebbero: agricoltura, che e' pazzescamente protetta in confronto al suo peso economico, e servizi, dove liberalizzare favorirebbe semmai gli export dai paesi post-industriali verso quelli in via di sviluppo.

 

 

Non faccio il ministro degli esteri, né credo avrò mai l'occasione di farlo per mia fortuna, e per quella degli altri. Che una politica utile e saggia sia difficile non la rende né meno utile né meno saggia, solo più difficile. Se la politica consistesse solo nel fare ciò che è facile ed accettabile ai poteri che dominano in ogni dato momento, la politica sarebbe ancor peggio di quanto già non sia. In qualche rara istanza, credo, la politica è stata, e spero possa essere in futuro, anche cambiamento per il meglio, azione positiva, correzione di errori passati. Per evitare errori futuri e correggere i passati occorre capirli e capire come si sono determinati, per questo si discute. Se uno non crede che alcun tipo di cambiamento sia possibile e che l'unica posizione da prendere sia "ciò che è, è: mantenere la rotta", va benissimo. Si smette di discutere e ci si dedica alla lettura di Gottfried Benn.

Hai fatto l'elenco di quelli contrari a riformare il WTO. Mi permetto di aggiungere Hollywwod, farmaceutiche, Microsoft, e grandi banche europee ed USA (sempre che di quest'ultime ne rimanga ancora qualcuna fra sei mesi). Perfetto. Gli altri possono trarre guadagno da una ridiscussione. Il mondo cambia e gli equilibri di potere con esso. Aspettiamo a scoprire chi vince le elezioni negli USA, poi vediamo se qualcuno prova a dare un'occhiata al deficit commerciale con la Cina e si chiede com'è che, con un dollaro in picchiata da anni, il deficit con la Cina è ancora quello che è. Forse si svegliano e scoprono che lo Yuan non fluttua, e decidono di chiedere che fluttui. Ai cinesi non va bene? Ottima occasione per costruire una "coalizione dei volenterosi" che faccia capire alla Cina che, se lo Yuan non fluttua secondo criteri di mercato, allora anche qualcos'altro può non fluttuare secondo criteri di mercato. Le relazioni commerciali con chi bara non si fanno porgendo l'altra guancia. Gli USA si stanno avvicinando ad un serio redde rationem dei loro errori di gestione del processo di globalizzazione, vedremo dove andrà a finire. Si tratta di fare l'analisi economica e politica giusta, non di dire semplicemente che non si può fare perché qualche signore a Pechino non gradisce.

Non è per nulla chiaro, poi, che le Luxottica di questo mondo non gradiscano una ridiscussione/modificazione di varie parti di WTO: non si tratta di chiudere il commercio internazionale, tutt'altro. Si tratta di far sì che anche i nuovi partecipanti giochino, sia internamente che esternamente, con le stesse regole con cui giochiamo noi. Chi ha investito in Cina forse gradisce ulteriori garanzie in relazione alla tassazione, a svalutazioni future, alla libertà di movimento dei capitali e di entrata nei vari settori industriali, di acquisizione d'imprese locali, eccetera. Un'iniziativa intelligente, a livello europeo, dovrebbe costruire alleanze offrendo contropartite anche ai paesi in via di sviluppo. Prendiamo una questione che a me sta a cuore, quella della proprietà intellettuale. Modificare radicalmente TRIPS conviene a Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia ... e conviene ANCHE a molte imprese europee ed USA, oltre che ai loro consumatori. Non conviene ad una serie di multinazionali occidentali che oggi hanno poteri di monopolio che si reggono su prop. int. come definita da TRIPS, ma non è detto che i trattati di commercio estero debbano servire solo a Pfizer, Hollywood e Microsoft! A rovescio, non è per niente vero che imporre su Cina, India, eccetera il calcolo dei costi ambientali del loro processo di sviluppo sia attività così esecrabile: chi l'ha detto? Quale strano criterio di giustizia/efficienza suggerisce che, siccome sino ad ora non abbiamo fatto pagare a sufficienza per le esternalità negative, allora bisogna continuare a farlo? Kyoto era una boiata? Condivido, impariamo dagli errori e rifacciamolo. Chiamiamolto "toKyo" questa volta, e rendiamo l'attuazione di WTO condizionale all'implementazione di misure che pongano sotto controllo le esternalità negative. Il commercio è buono perché crea mercati? Certamente, quindi creiamo anche questi di mercati, quelli per l'ambiente. Non vedo dove sia il problema logico, di efficienza economica o anche solo di "giustizia sociale".

Tanto per restare attuali e non porre il dito sulla piaga: m'illudo forse che il governo cinese abbia intenzione di farci i favori ed ascoltare i miei appelli? Per nulla. Sulle reali intenzioni che muovono i gerarchi cinesi mi faccio, da almeno un decennio, ben poche illusioni. I "veri desideri" del popolo cinese sono un'altra storia, ma i cinesi son troppi per parlare con tutti e chiedere che intenzioni hanno: usiamo il PCC come statistica sufficiente. Ho imparato da tempo, e da Reagan e Thatcher in particolare, che certi soggetti sentono solo gli argomenti forti e che con certi soggetti gli argomenti forti vanno usati, quando necessario. Non è certo con le invocazioni razionali alla giustizia, al libero commercio ed ai diritti umani che produrremo cambiamento a Pechino. Tibet docet. Dobbiamo mandare i B-2? Per nulla, non è quello l'unico sistema. Esistono metodi, molto cinesi infatti, di esercitare il pugno di ferro nel guanto di velluto mentre sorridendo si dicono cose false, ma liquorose, che invitano alla pace, all'armonia universale ed alla cooperazione fra i popoli per raggiungere obiettivi di benessere sempre più alti ... Si tratta di cominciare ad esercitare tali metodi anche sul piano della diplomazia internazionale, costruendo alleanze d'interessi, proponendo scambi di favori, insomma facendo politica. Bush fra 9 mesi se ne va per sempre, e con lui un grande amico dell'attuale regime cinese. Mi rendo conto questo sia forse passato inosservato, ma l'amministrazione Bush Jr, come quella precedente del Sr, ha una certa debolezza per regimi dispotici, economicamente potenti ed "amici degli amici": il PCC, la casa di Saud, ... Vedremo se la nuova amministrazione, nel nuovo panorama post-recessione del 2008 avrà lo stesso atteggiamento. Forse sì, ma forse anche no. Anche per questo fa differenza che vinca Obama o che vince Hillary ... o McCain.

È difficile? Certo. Ci conviene? Senza alcun dubbio. Vale la pena tentarlo? Si può fare ...

 

 

Io concordo sui punti 3 e 4, non sono assolutamente sul punto 2, per la situazione italiana si creerebbero studenti di serie A (i ricchi) e di serie B (i poveri), in un paese in cui comunque non c'è mobilità sociale ciò sarebbe deleterio. Sono anche io convinto che ridiscutere il WTO è una cosa da far scenedere il cuore nelle calze, che le multinazionali non tornebbero mai indietro dal paese di Bengodi che è per loro il "libero mercato",infine ottimi i punti 5, 6 e 7.

Ma, scusami, manca secondo me un punto fondamentale: cosa faremo da grandi ? Perchè non si può innovare in campo tecnologico all'infinito, o quasi, lo spreco di risorse già adesso è immenso, tanto che i cinesi molto semplicemente ci copiano, e copiano perfino quando noi sbagliamo, copiano anche i nostri errori !E allora? Cercare un punto di equilibrio fra PIL, tradizione ed innovazione si può fare ? Si può ragionare su flussi e modelli economici senza tener conto che non è vero che acquistare un paniere A (pane, mozzarella, olio extravergine e una videocamera HD) è uguale ad acquistare un paniere B (Cous cous, pollo fritto, pane azzimo e un televisore al Plasma) ?

Ecco il paniere B mi sembra veramente uno di quei Horror of Economics di cui si parla.

Rimboccarsi le maniche mi sembra comunque il minimo. 

 

Ho letto con attenzione il tuo articolo,

d'accordo sulla opportunità di attrarre laureati di valore, abolire il valore legale dei tioli di studio trasformando le università in fondazioni, detassare il lavoro dipendente qualificato, però, mi chiedo, come riuscire a tagliare radicalmente i trasferimenti nei confronti del Sud senza incrinare in modo serio l'ordine pubblico? Come chiedere a chi a maturato 35 anni di servizio di rimanere al lavoro per altri 7/8 in un ambiente poco gratificante in particolare la P.A? con quale P.A. efficiente si dovrebbe attuare il cambiamento e gli eventuali controlli dei programmi proposti? Come vedi gli ostacoli sono diversi e molto granitici, il merito , le liberalizzazioni,  la riduzione del carico fiscale, la scure sugli sprechi vanno bene, c'è da chiedersi chi implementerà il programma(nel senso di essere all'altezza) quali gruppi sociali, o insieme di gruppi sociali dovrebbero guidare il cambiamento (in particolare al Sud). E' opportuno vivere la realtà socio-economica da vicino per poter poi decidere e partecipare in prima persona le eventuali azioni rischiandone le conseguenze. A 10.000 Km di distanza diventa semplice fare teorie.

Saluti 

 


Se permetti un osservazione, non capisco perchè ai dipendenti della PA dovrebbe pesare più che a un lavoratore dell'industria chimica ( come me ) lavorare oltre i 35 anni di anzianità, e perchè mai l'ordine pubblico dovrebbe essere a rischio per un taglio dei trasferimenti al sud, mi sembra che una delle cose che mette più a rischio l'ordine pubblico sia il fatto che una parte dei trasferimenti non vanno a favorire la crescita del Sud, ma in mano alla criminalità organzzata attraverso il sistema degli appalti nei lavori pubblici. 

 

aver letto l'articolo mi ha fatto capire di non essere solo nel mondo grazie Boldrin.

Nello specifico mi ha colpito la tua posizione sui brevetti. Perchè una azienda che ha un brevetto e quindi può sfruttare un monopolio per 20 anni dovrebbe fare ricerca ? . Come pensi si possa combattere ( possibilmente vincendo ) l'attuale lobby dei brevetti e copyright ?

 

La P.A., tranne alcuni casi circoscritti, è un moloch di inefficienza, se vogliamo porre come termine di paragone gli altri paesi europei, in alcune eree d'Italia come il Mezzogiorno, il lavoro rappresenta l'unica fonte di reddito, per non parlare dell'uso a fini politico-clientelari della stessa P.A., tutto ciò ha creato una situazione incontrollabile in termini di spesa, di efficienza e di produttività.Il blocco del turn-over negli ultimi 20 anni ha creata una situazione di intruppamento ove l'età media dei 2/3 dei dipendenti si attesta intorno ai 50 anni, costoro sono poco gratificati o peggio ancora in molti casi ci "sguazzano" dentro abituati da lustri si assistenzialismo e clientele, di conseguenza con una situazione del genere come si pensa di voler affrontare un'azione di cambiamento radicale del sistema economico se non attraverso scelte fortemente impopolari(licenziamento di 30/40000 dipendenti? taglio dei trasferimenti?) in aree a rischio criminalità e dalle elevate tensioni sociali. Tutte le azioni di cambiamento devono iniziare da una profonda riforma degli apparati dello Stato a tutti i livelli, le resistenze al cambiamento saranno enormi, in particolare al Sud, è difficile far mollare un osso succulento dove hanno mangiato centinaia di migliaia di persone, se non a rischio di fatti gravi, vorrei ricordare che la P.A. tutti i livelli, rappresenta terreno di manovra sia per il peronista di Arcore che per il post comunista Uolter.

Ho notato leggendo  i diversi articoli di NfA il poco interesse per la questione Meridionale, solo dichiarazioni stereotipate, si cerca soltanto di scivolare sopra i problemi senza attuare una rigorosa analisi delle cause dell'arretratezza e senza fornire alcuna soluzione. La questione Meridionale rimane il principale problema, quindi, di conseguenza ci vuole impegno da parte di tutti, in particolare delle classi dirigenti del Nord, partecipazione animosa e non teorie, l'Italia non è un'espressione geografica, i problemi non si risolvono gettando il bambino con l'acqua sporca(vedi taglio dei trasferimenti) gli interessi della mafia sono internazionali, ridurre i flussi finanziari al Sud arrecherebbe danno soltanto ai più deboli.

 

 

Ho notato leggendo i diversi articoli di NfA il poco interesse per la

questione Meridionale, solo dichiarazioni stereotipate, si cerca

soltanto di scivolare sopra i problemi senza attuare una rigorosa

analisi delle cause dell'arretratezza e senza fornire alcuna soluzione.

La questione Meridionale rimane il principale problema, quindi, di

conseguenza ci vuole impegno da parte di tutti, in particolare delle

classi dirigenti del Nord, partecipazione animosa e non teorie,

l'Italia non è un'espressione geografica, i problemi non si risolvono

gettando il bambino con l'acqua sporca(vedi taglio dei trasferimenti)

gli interessi della mafia sono internazionali, ridurre i flussi

finanziari al Sud arrecherebbe danno soltanto ai più deboli.

 

A me sembra che si sia parlato del Sud in termini non banali, vedi ad. es.: ... e_la_casta_del_sud. Anche io penso che il Sud sia il problema principale dello Stato italiano, e ritengo che ogni analisi quantitativa e statistica del sistema italiano sia superficiale e poco seria se non include un'analisi separata almeno tra Sud e Centro Nord, che sono due mondi per molti aspetti distinti, la cui distanza supera quasi sempre la distanza tra la media italiana e la media di un altro paese europeo comparabile come Spagna, Francia, e Germania e UK. Vedi anche i miei interventi su Giavazzi e l'evasione fiscale.

I flussi finanziari che vanno dal Centro-Nord al Sud in base alla politica di governo dello Stato Centrale hanno poco o nulla a che fare con lo sviluppo o il benessere del Sud (che non c'e' stato, non c'e', e non ci sara' a condizioni costanti), ma sono piuttosto invece uno strumento di acquisto e conservazione clientelare del consenso politico. Pertanto esiste e ci sara' sempre una resistenza vigorosa alla loro riduzione, sia da parte delle clientele meridionali, sia da parte dei partiti politici nazionali, per cui il Sud e' il terreno dove i voti sono piu' a buon mercato, dove cioe' a parita di incremento di spesa pubblica maggiore e il ritorno di consenso politico. In queste condizioni i flussi finanziari amministrati dal potere centrale verso il Sud sono dell'entita' massima sostenibile perche' la vita nel Centro-Nord sia grama, ma non cosi' grama da sollecitare desiderio di secessione sufficientemente diffuso. Questo significa che i flussi finanziari sono nettamente superiori a quelli che sarebbero giustificati in uno Stato civile e organizzato per ottimizzare l'uso delle tasse dei contribuenti a beneficio dell'intera comunita' nazionale, e significa ovviamente anche che per far funzionare meglio l'Italia, che da tempo e' uno degli Stati peggio funzionanti dell'Europa occidentale, e' necessario anche ridurre i flussi finanziari verso il Sud, ma soprattutto spezzare il circolo vizioso dato dalla correlazione tra voto clientelare meridionale e spesa pubblica.

Ovviamente non sarebbe saggio ridurre ad un livello civile i flussi verso il Sud da un giorno all'altro, perche' l'intero sistema meridionale e' assuefatto alla situazione esistente, e bisognerebbe attuare una politica graduale. Purtroppo non mi sembra che la classe dirigente politica italiana sia capace di un tale aggiustamento, per cui possiamo solo aspettarci una deriva continua di tutto il Belpaese verso una decadenza di tipo sudamericano, oppure un taglio netto quando la situazione delle regioni settentrionali sara' degradata al punto che il confronto col benessere degli stati europei confinanti convincera' la maggioranza dei loro cittadini dell'opportunita' di un secessione economica, che difficilmente potra' essere graduale.

 

Andrea scusami, da calabrese a calabrese, non ho capito tu cosa proponi ?

 

Visto che si è parlato di Calabria, vorrei fornire alcune indicazioni:

   Di solito i fatti riguardanti il Mezzogiorno, vengono analizzati ed elaborati attraverso un susseguirsi di avvenimenti mediatici lasciando in sospeso le eventuali soluzioni. Raramente si parla di un dato culturale e strutturale che contraddistingue la società meridionale ed in particolare al Calabria, mi riferisco espressamente all'assenza del cosiddetto capitale sociale e che riguarda tutti gli aspetti della vita sociale tra cui, relazioni ,Leggi, consuetudini e fiducia reciproca, che consentono ai partecipanti di agire insieme per conseguire il bene comune, il capitale sociale si basa sulla fiducia: la stessa è legata strettamente alla probabilità che qualcuno la tradisca. Più la fiducia è forte e diffusa in un contesto, più sono alte le relazioni sociali in quella comunità. Al poco capitale sociale si somma un altra cosuetudine: il familismo amorale e cioè:vantaggi materiali ed immediati per la propria famiglia, supponendo che tutti gli altri individui si comportino allo stesso modo. In ogni comunità esistono soggetti con buone idee per lo sviluppo economico sociale ma che non hanno a disposizione i mezzi finanziari per realizzarle, allo stesso modo esistono persone in possesso di capitali, oppure che possano decidere sulla disponibilità di risorse pubbliche, con poca iniziativa. Affinchè buone idee e capitali possano fondersi è necessario che le persone stabiliscano relazioni di profonda e reciproca fiducia.Tradotto in parole semplici, Calabria:capitali pubblici trasferiti per la varie esigenze: sviluppo economico, sanità, istruzione, politiche sociali, formazione, giustizia, come vengono gestiti? da chi? mi riferisco alle persone fisiche, politici eletti, "mandarini" della burocrazia indifferenti se non al proprio stipendio, travet medio-alti e giù a cascata tutti gli altri, chi dovrebbe esercitare per dovere il controllo tranne alcuni casi, sembra sonnolento, sono di qualche giorno le notizie sull'uso dei fondi comunitari, dispersi in mille rivoli senza creare benessere sociale, una classe imprenditoriale defilata rispetto ai problemi della criminalità(vedi confindustria regionale), ordini professionali miopi, società civile poco animosa al cambiamento, ciascuno interessato al proprio orticello con scarsa fiducia verso l'altro. La Regione versa in un pauroso immobilismo, provare a visitare il sito web della Regione Calabria per un giovane o un imprenditore che voglia investire nella regione significa non trovare alcuna notizia utile e vantaggiosa ai propri bisogni. I calabresi che si affermano fuori regione, rientrano per ricevere premi ed encomi per aver reso lustro alla Calabria, io non ricordo alcuno di questi signori che si sia interessato veramente ai problemi della propria regione, denunciando e rischiando, le colpe sono sempre altrove.

Mi è stato detto di essere stato poco chiaro  sulle proposte di cambiamento, purtroppo l'impresa è assolutamente ardua, un tentativo potrebbe essere quello di riunire in una fondazione coloro interessati veramente al cambiamento disposti a rischiare, supportati  da un aiuto robusto dall'esterno rappresentato dai  quei Calabresi che amano la loro Terra e dagli appartenenti alla classi dirigenti del Nord  verso le quali la Regione susciti interessi non solo economici.  

 

 

 

E' sempre di GT sul Messaggero di oggi: "[Bisogna] ripartire dalle radici giudaico-cristiane: storia, tradizioni, identità, valori. Anche da un simbolo come l'alzabandiera nelle scuole tutte le mattine. Facciamolo con la bandiera europea o quelle nazionali o della Catalogna, ma facciamolo". Ormai sono senza parole.

 

il solito frivolo panunzi

 

In realtà, se leggete la sequenza dei messaggi, è calvin quello che l'ha messa sul frivolo. Certo, io mi sono adeguato subito.

 

Sto leggendo "Breve storia del futuro" di Attali. Scenari catastrofici ma assai plausibili che probabilmente richiedono ancora più "inventiva" di quella proposta da Michele. Per quel che capisco, i 7 punti mi sembrano tutti condivisibili ma non vedo come possano risolvere questioni quali: i rischi ambientali, i problemi energetici, il divario sempre più inquietante tra l'1% più ricco del mondo (i 60 milioni di individui sparsi nei vari Paesi) ed il 50% (3,2 miliardi) di poveri o superpoveri.

 

È vero: non ho nemmeno suggerito come ottenere la vita eterna! Quello che ho suggerito mi sembra ambizioso abbastanza ... comunque, sto cercando di mettermi in contatto con gli dei per trovare soluzione a tutte le risposte fondamentali.

Divario? Di quale crescente divario parli? Crecente? Crescente quando, dove, come?

Un giorno c'è la catastrofe ecologica perché Cina, India, Indonesia e Brasile (3 miliardi di persone) cominciano ad uscire dalla povertà, il giorno dopo perché le disuguaglianze crescono! Considerato che tra Europa, Nord America, Giappone, Australia, ecc. ce ne sono un altro miliardo e mezzo, e che questi stanno o molto bene o stanno migliorando, gli altri 3,2 miliardi di disperati tu dove li trovi?

Attali: ma hai altra gente da leggere? Così vuote le librerie di Mestre? Attali .... consiglio Marino Berengo, è più documentato anche se meno eccitante. Se proprio vogliamo occuparci del presente e non apprendere dal passato, i working papers, a disposizione on line, scritti da chi si occupa di crescita seriamente, sono molto più raccomandabili delle buffonate scritte da un ciarlatano come Attali. Se invece il problema è l'intrattenimento, leggere Coetze o Meneghello. 

 

 

non credi che sarebbe auspicabile per l'Italia anche un maggiore decentramento di poteri dal governo centrale a quello regionale/locale? in Trentino (vengo da lì) funziona bene e ne beneficiano molto università, scuole, ecc 

 

 

Aboliamo il valore legale del titolo di studio e liberiamo totalmente l'insegnamento universitario

 

Ottimo!

 

Ridefiniamo la nostra politica immigratoria...Zero tassazione sul valore aggiunto generato da imprese con più di 20/30 dipendenti che abbiano un Master o titolo più avanzato...

 

Ma così facendo non abbiamo reintrodotto forme di "legalizzazione" del titolo di studio?

Meglio se la "qualità" si alzi facendo scegliere l' imprenditore. In questo caso, paradossalmente, è necessario che esista un onere anzichè un' esenzione generalizzata.

 

Mi sembra che il valore legale del titolo di studio sia una questione poco rilevante. Nel privato, infatti, chi deve assumere può tranquillamente discriminare tra diverse  lauree e università, se non lo fa è perchè non intende sopportare il costo di acquisto dell'informazione necessaria. In mancanza del valore legale tutti dovrebbero sopportare tale costo (magari nascerebbero le agenzie di rating delle scuole con conseguenti conflitti di interesse...). Nel pubblico, invece, i concorsi sono per "titoli ed esami" e sono solitamente piuttosto affollati. Se si abolissero i titoli crescerebbero anche i costi, e le distorsioni, dovute all'aumento dei partecipanti. Il problema diventa: come riformare i concorsi e i meccanismi di reclutamento della P.A. (tema piuttosto dibattuto in questo luogo con particolare riferimento ai professori universitari) evitando raccomandazioni e cooptazioni politiche che, per inciso, l'attuale meccanismo si è mostrato incapace di evitare.

 

 

Ma così facendo non abbiamo reintrodotto forme di "legalizzazione" del titolo di studio?

 

Mi hai pizzicato! Giustissimo, ho detto una cazzata. Ora ci ripenso.

 

sui 30 billions regalati a JpMorgan per il bailout di Bearn Stearns, anche se Giavazzi la difende:

Una delle cose che Giavazzi cita tra quelle buone legate all'intervento, cioè che "azzera la ricchezza degli azionisti della banca, a cominciare dai

dipendenti e dai manager, il che dimostra che i loro tanto criticati

compensi non sono sempre al sicuro", ci sta pensando la JpMorgan a neutralizzarla:

" March 20 (Bloomberg) -- JPMorgan Chase & Co. Chairman Jamie

Dimon offered Bear Stearns Cos. managing directors cash and stock

incentives to win their support for a takeover and prevent them

from leaving the firm, two people familiar with the matter said."

www.bloomberg.com/apps/news

Ma era davvero impossibile che Bear Stearn fallisse, fossero magari rimborsati subito le banche e i fondi depositanti li per i servizi di clearing e negoziazione che offriva (anche tramite prestito FED, che avrebbe recuperato liquidando con calma l'attivo) e gli altri creditori in coda ad aspettare l'esito della liquidazione ?

(vedi anche: online.wsj.com/article/SB120588212998946767.html )

 

Questa storia della JpMorgan che compra a prezzo di saldo Bear Stearns mi convince sempre di meno...

Provo a fare un ragionamento "all'italiana" (cioe' pensando a male e con sospetto): La Bear Stearns ha una crisi di liquidita' e di solvibilita' (De Grauwe sul FT di oggi mi insegna che le due cose sono collegate ), forse dichiarando bancarotta potrebbe comunque ripagare i debiti e rimborsare qualcosa del capitale degli azionisti, ma la Fed teme, e penso a ragione, che questo innescherebbe una crisi di panico. Allora decide di entrare in campo. Potrebbe farlo direttamente modificando le sue regole e comprando gli 'illiquid assets' dalla banca di investimento, ma teme per i moral hazard problem che si creerebbero nel futuro. Allora si rivolge agli amici JpMorgan, che fanno una offertona a prezzo di saldo, ed in piu' la Fed gli assicura che si prendera' cura dei soliti problematici 'illiquid asset'. Il tutto per mascherare una certa parvenza di 'mercato' nell'operazione.

Il problema sta: gli shareholders di Bear Stearns non devono accettare la proposta di acquisizione? e perche' questi dovrebbero accettare una simila offerta? Non ho visto da nessuna parte un'analisi che dica che dichiarare bancarotta renda di meno agli azionisti di 2 dollari per azione. Provo a fare una ipotesi: gli azionisti di Bear Stearns si riunirrano per decidere sulla proposta di acquisto il piu' tardi possibile, quando la paura sui mercati finanziari sara' un poco scemata. A quel punto, o saranno riusciti a reperire risorse dal mercato sulla fiducia di una loro acquisizione da parte di JpMorgan, oppure in ogni caso si rendono conto che dichiarare bancarotta gli rende forse di piu'. In entrambi i casi rigettano l'offerta di JpMorgan. Ma ormai il casino e' passato, quindi non ci sono problemi per il sistema finanziario. La Fed, che sa tutto questo, generando questa finta operazione di mercato, ha fatto 'teatro', solo per rassicurare i mercati finanziari sapendo che l'acquisizione non avrebbe mai avuto luogo.

Sto sragionando? forse, ma intanto non riesco a spiegarmi perche' le azioni di Bear Stearns vengono quotate a 5$ e rotti (ed in salita) e non a 2$.

Altra ipotesi, forse meno strampalata. Leggo sempre sul FT di oggi che JpMorgan sta offrendo dei pacchetti speciali al top management di Bear Stearns per rimanere nella firm. Oppure, visto che sono anche loro i maggiori azionisti della societa', gli sta offrendo un premio nascosto dal mercato rispetto ai 2$ per azione, per convincerli ad approvare l'acquisizione. Quindi l'acquisto avra' luogo, ed il top management ci guadagnera' rispetto a chi vendera' a 2$. Il maggiore prezzo di mercato di Bear Stearns rispetto ai due dollari oggi riflette questa possibilita'.

Ipotesi strampalate? non lo so, ma intanto non mi sembra il massimo del capitalismo responsabile , come lo chiama oggi FG sul corriere.