“Migliaia di radiazioni sulla testa dei giapponesi”. Adriano Celentano ha un modo tutto suo di misurare le radiazioni: le conta una ad una, come si contano i bambini sullo scuolabus. Ma non è questa la parte più dubbiosa di una lettera scritta, immagino, in uno stato di confusione mentale. Una lettera che, purtroppo, contribuisce solo a quel rumore diffuso che non permette ai cittadini di assistere ad un dibattito informato su un tema incerto e cruciale come quello del nostro futuro energetico.
Nel leggerla, la parte che più ha colto la mia attenzione è quella in cui Celentano sostiene che “le radiazioni non sono pericolose solo perché si muore, ma per il modo come si muore. Una sofferenza di una atrocità inimmaginabile. E poi non si è mai in pochi a morire”. Ma quanti sono stati i morti causati da incidenti in impianti nucleari? Sono davvero così tanti, come Celentano sembra sostenere? E quanti sono questi morti rispetto a quelli causati da altri metodi di produzione di energia elettrica? In altre parole, possiamo davvero sostenere che gli impianti nucleari sono maggiormente pericolosi, per la vita umana, di quanto non lo siano le altre fonti di produzione dell'energia?
Questi dubbi mi sono venuti, ve lo confesso, perché su questi temi mi sentivo parecchio ignorante. Per cominciare a chiarirmi le idee, mi sono dunque messo a fare qualche conto, che riporto qui sotto. Tutto ciò senza ambizione alcuna di presentare conclusioni scientifiche solidissime, ma piuttosto con l’idea di lanciare la palla a qualche lettore più competente di me in materia. Dal canto mio nel fare questi conti “sul retro della busta”, come si dice in gergo, ho imparato due cose.
La prima è che l’energia nucleare appare essere più sicura, in termini di morti causate direttamente, della principale fonte di energia rinnovabile, quella idroelettrica.
La seconda è che gli incidenti mortali agli impianti nucleari e idroelettrici sono, almeno nei paesi economicamente avanzati, eventi molto rari. In un sottoinsieme di questi casi, poi, il numero di morti è stato elevato. La presenza di episodi rari ma potenzialmente disastrosi porta a concludere che gli incidenti di cui qui trattiamo abbiamo una distribuzione statistica “a coda grassa”. Questo fatto dovrebbe ricordarci che dobbiamo essere cauti nell’interpretatazione di indici di mortalità come quello da me calcolato e basati solo sul calcolo di frequenze storiche (maggiori dettagli in appendice).
Ecco dunque in sintesi i calcoli che ho fatto. Per un’analisi un po' più dettagliata potete vedere l’appendice al post. Ho stimato quanti TeraWatt/H (TWH) di energia elettrica sono stati prodotti dal 1957 ad oggi utilizzando centrali nucelari oppure centrali idroelettriche. Ho fatto oquesto calcolo sia per i paesi OCSE, che per il mondo intero. Ho poi fatto una stima delle morti causate, nello stesso periodo di tempo, da incidenti a centrali nucleari e da quelli a centrali idroelettriche. Infine, ho fatto il rapporto fra queste due quantità.
La matrice 2X2 di indici di mortalità cosi’ calcolati ci dice quante siano state le morti causate in una determinata aerea geografica (OCSE o Mondo) per ogni TWH di energia elettrica prodotta utilizzando due modalità alternative (nucleare o idroelettrico). Voglio sottolineare che, per una serie di ragioni discusse in appendice, mentre gli indici di mortalità per il nucleare sono probabilmente molto precisi (o leggermente sovrastimati), gli indici di mortalità dell’idroelettrico sono sostanzialmente sottostimati, soprattutto nel caso “Mondo”. In questo senso nell’incertezza dei calcoli ho sempre cercato di giocare il più possibile a favore dell’idroelettico.
Indici di mortalità (numero di morti per TWH)
|
OCSE |
Mondo |
Idroelettrico |
2080/64,800=0.032 |
28,080/117,000=0.240 |
Nucleare |
130/61,700=0.002 |
4,130/72,100=0.057 |
Il tasso di mortalità nucleare è sostanzialmente inferiore a quello dell’idroelettrico. Nel caso dei Paesi OCSE, un TWH di energia elettrica prodotta con l’idroelettrico ha storicamente causato sedici volte più morti dirette di un TWH prodotto col nucleare. Nei Paesi OCSE, la quasi totalità dei morti per cedimenti di impianti idroelettrici è da attribuire al Vajont (circa 2000 morti). Sempre nei Paesi OCSE, le morti da nucleare sono praticamente tutte concentrate nell’incidente di Windscale del 1957, proprio agli albori del nucleare per uso commerciale (30-100 morti stimati nell’arco di 30 anni). Ricordo che Russia ed Ucraina non fanno parte dell'OCSE, quindi i morti di Chernobyl vanno in "Mondo".
Per ora, la situazione a Fukushima sembra suggerire che le morti che si verificheranno nel futuro a causa della fuoriuscita di radiazioni saranno prossime a zero. La popolazione civile non sembra correre particolari rischi, ed è stata evacuata per tempo. Finora dai giornali ho appreso che una sola persona è morta nei pressi della centrale: un tecnico caduto da un traliccio durante le fasi di soccorso. Al momento in Giappone ha generato più morti (4 probabilmente) il cedimento di della diga di Fujinuma nell’est del paese. La diga, creata principalmente a scopo di irrigazione, ha ceduto a causa del terremoto. Il fatto che dal ’58 ad oggi non ci siano stati morti nei Paesi OCSE a causa di malfunzionamenti nelle centrali nucleari è quasi sorprendente, soprattutto quando teniamo conto che (fuori d'Italia) viviamo circondati da centrali nucelari (qui, qui o qui). Uno studio recente ha cercato di valutare l'impatto delle centrali nucleari sulla salute della popolazione che vive nei pressi della centrale. Secondo tale studio il rilascio, prolungato nel tempo, di quantità molto basse di radiazioni da parte delle centrali ha conseguenze negative sulla salute. Siccome finora non esistono ulteriori evidenze che confermino tale risultato, sospendo il giudizio in attesa di ulteriori studi.
A differenza dei miei calcoli sulle morti “dirette”, che nella pratica includono principalmente le morti di “civili”, questo post include anche le morti “indirette”, cioé sostanzialmente quelle di chi lavora nel ciclo complessivo di produzione dell’energia elettrica. Per esempio il numero di tecnici morti cadendo dal tetto mentre istallano i panneli solari. O il numero di minatori morti nell’estrazione del carbone per le centrali elettriche. O il numero di tecnici morti nella costruzione e manutenzioni delle torri che sostengo le pale per l’eolico. Se prendiamo per buoni i risultati del post (forse qualche lettore qui ci può aiutare), il nucleare è la fornte di energia elettrica con minore mortalità. Le centrali a carbone, ampiamente utilizzate in Italia, sono le più pericolose, mentre l’eolico genera 10 volte più morti del nucelare. Disclosure: il post di cui sopra me l’ha consigliato un amico e ne sono venuto a conoscenza solo dopo aver fatto i calcoli che ho riportato nella parte iniziale. Sono dunque lavori indipendenti. Inoltre, il post usa lo stesso tipo di indice da me calcolato; esso è percio’ un buon benchmark di riferimento per i miei risultati. Notate quindi che, a seconda che ci riferiamo solo all’Europa o a tutto il mondo, il post linkato stima che l’indice di mortalità dell’idroelettrico sia in un range fra 2,5 e 35 volte superiore a quello del nucleare. Il valore da me stimato (16) sta giusto nel mezzo.
Appendice
I dati. Ho scaricato, dal sito dell’EIA, i dati sulla produzione di energia elettrica. I dati sono disponibili solo per il periodo 1980-2009. Ho esteso i dati al periodo 1957-2011 nel seguente modo. Ho assunto che la produzione nel 2010 e 2011 sia la stessa del 2009, cosa che non crea problema alcuno, visto che la produzione è molto stabile da un anno all’altro. Ho esteso all’indietro la serie sulla produzione nucleare assumendo che nel periodo 1970-1979 la produzione annua sia stata la stessa che nel 1980, mentre sia stata pari a zero nel periodo 1957-1969. Ricordatevi che a noi interessa il totale della produzione nel periodo 1957-2011, non come tale produzione è distribuita negli anni. Credo che il mio modo di procedere dia una stima ragionevolmente precisa per il nucleare. Infatti, nella pratica, la maggior parte delle centrali nucleari (in particolare, praticamente tutte le centrali in USA, la stragrande maggioranza di quelle francesi e buona parte di quelle giapponesi) sono entrate in funzione nel perido che va da inizio anni ’70 a metà anni ’80. Infine, per l’idroelettrico ho assunto che la produzione annuale nel periodo 1957-1979 sia stata la stessa che nel 1980. Notate che questa assunzione porta sicuramente ad una sovrastima della produzione idroelettrica (e quindi ad una sottostima del corrispondente indice di mortalità), visto che probabilmente la produzione idroelettrica mondiale è cresciuta fra il 1957 e il 1980. La mia sembra essere comunque una stima decente in quanto la produzione idroelettrica è stata molto stabile nel tempo (questo vi può dare un’idea, ma considerazioni simili valgono per tutti i paesi OCSE, a cui nel periodo 1957-1969 possiamo attribuire quasi tutta la produzione elettrica mondiale). Notate infine che dai miei calcoli, riportati nella tabella, le produzioni cumulate di eneriga idroelettrica e nucleare nel periodo considerato sono sostanzialmente identiche.
L’identificazione degli incidenti mortali in centrali nucleari procede come segue. Concentriamoci sui reattori usati nei Paesi OCSE. I peggiori incidenti sono stati quelli di Three Mile Island (USA, 1979) e quello di Windscale (UK, 1957). Per il primo caso, tutte le fonti ufficiali e vari studi epidemiologici che ho trovato dicono che ci sono stati zero morti, anche a distanza di anni, dalle radiazioni. Per il secondo ci sono vari dati. Gli studi più seri sembrano essere i due condotti dal National Radiological Board, che ha stimato in 30-100 le morti, negli ultimi 40 anni, per cancro indotto dalle radiazioni originate a Windscale. Alcuni criticano il primo studio, che ha stimato solo 30 morti: nei miei calcoli prendo per buono il valore più pessimistico di 100 riportato dal secondo studio. Per Fukushima i decessi sono per ora pari a uno. Al momento non c'è motivo di pensare che ci saranno morti fra i civili nei prossimi anni, ma tanto per essere prudente ho assunto che i morti futuri possano arrivare ad essere 30 (come nel primo studio su Windscale). Non ho controllato uno per uno i decessi negli altri incidenti perché è inutile: sono incidenti classificati dalla IAEA al di sotto del livello 3, che implica totale assenza di morti.
Per i Paesi non-OCSE l’unico evento rilevante, che è poi l’evento a cui possiamo attribuire quasi tutti i morti da energia nucleare a livello mondiale, è quello di Chernobyl (Ukraina,1986). Le morti causate, immediatamente o nel tempo, dal disastro ucraino sono stimate, nella peggiore delle ipotesi, in circa 4,000. A mio avviso questo numero è un limite superiore esagerato perché stimato in base dubbie correlazioni; le morti immediate sono state molto meno ed anche quelle seguenti, direttamente associabili all'incidente, sono di un ordine di grandezza più piccolo. Aumentarlo anche significativamente, comunque, non cambierebbe le conclusioni del nostro calcolo. In secondo luogo, è bene tenere in considerazione un aspetto importante: a differenza dei morti per disastri idroelettrici, gran parte delle morti attribuibili a disastri nucleari si verificano in realtà a distanza di molti anni dall’evento (anche 20 o 30 anni) e, con la grettezza che solo un economista può avere, andrebbero dunque "scontate" sia perché avvengono nel futuro sia perché l'attribuzione causale è indiretta, quindi non certa.
Passiamo ora ai morti per disastri idroelettrici. Mi sono qui rifatto alla lista (probabilmente parziale) di wikipedia. Bisogna fare un po' di lavoro per selezionare solo i cedimenti delle dighe per produzione idroelettrica. La mia lista, per i Paesi OCSE, comprende i morti del Vajont (1965), Kelly Barnes (USA, 1977), Teton (1982), Tous (1982). In totale 2080 morti, quasi tutti attribuibili al Vajont (circa 2000). Per i Paesi non-OCSE ho considerato solo il caso (che basta e avanza) di Banqiao (1975). La stima ufficiale va da 26,000 a 145,000 morti, a seconda che calcoliamo o meno anche i morti per la successiva epidemia e carestia. Io uso il valore ultra-conservative di 26,000.
Le code grasse e i problemi di stima in presenza di innovazione tecnologica. Supponiamo di trovarci al 31 dicembre 2010 e di voler calcolare, sulla base dell'esperienza passata, la probabilità che, nel 2011, si verifichi in uno dei paesi OCSE un incidente nucleare che abbia il potenziale di causare almeno 100 vittime. Escludendo il possesso di doti divinatorie, un modo naturale di calcolare tale probabilità è quello di contare (in proporzione al numero di centrali operative ogni anno) gli incidenti in centrali nucleari occorsi dal 1957 (primo anno di funzionamento della prima centrale nucleare per uso commerciale, quella di Sellafield in UK) ad oggi e di dividere la somma di tali numeri per gli anni intercorsi, cioé 55. Tale divisione ci dà una frequenza annuale media, per numero di centrale attiva. Moltiplicando tale frequenza per il numero di centrali che riteniamo saranno operative nel 2011, otteniamo il valore atteso desiderato. Sappiamo che nel periodo considerato c’è stato un solo incidente con le caratteristiche richieste, quello di Windscale. Scordiamoci del fatto che il numero di centrali è cambiato anno per anno (stiamo facendo solo un esempio, dopotutto) e facciamo finta sia rimasto costante e pari ad uno (difficile avere un incidente con zero centrali in funzione): dobbiamo dunque concludere che la probabilità che si verifichi un incidente nel 2011 è approssivamente pari a 1/55=1.8% ? La risposta è “ forse sì, ma...”. I “ma” sono di vario tipo e ce n’è uno di particolarmente importante per le questioni che qui trattiamo. Esso ha a che fare col cambiamento tecnologico.
Infatti, sappiamo che l’unico incidente nel nostro campione si è verificato nel 1957, cioé proprio all’inizio dell’era nucleare e quando c'erano pochissimi reattori in funzione. Visto da quel punto di vista, la probabilità di un incidente nucleare è piuttosta alta. Mettiamoci nei panni di uno statistico che, al 31 dicembre 1960, avesse voluto calcolare la probabilità di un incidente nucleare nel 1961. Il nostro statistico avrebbe avuto a disposizione solo 5 anni di osservazioni, e avrebbe dunque stimato una probabilità pari a 1/5=20%. Ripetiamo l’esercizio per uno statistico al 31 Dicembre 1970, 1980, ... e così via fino al 2010. La sequenza di stime risulta rapidamente decrescente, persino se non pesiamo i nuovi valori con il fatto che vengono da campioni sempre più ampi (il numero delle centrali attive cresce anno dopo anno, eppure non ci sono nuovi gravi incidenti sino a Fukushima): 20%, 6.6%, 4.0%, 2.8%, 2.2%, 1.8%. Se crediamo che la probabilità di un incidente sia costante nel tempo e che 55 anni siano "tanti", allora dovremmo dedurre che 1.8% rappresenta proprio la stima corretta, a cui convergono le stime parziali precedenti. Se pensiamo che 55 anni non sia "tanti anni", allora non possiamo fidarci del valore 1,8% (molto minore, in realtà, sempre per questa storia che ora ci cono centinaia di impianti in operazione e non più 3 o 4 come nel 1957) e decidere che la probabilità "vera" è maggiore perché ci sono eventi disastrosi che si realizzeranno "presto". Qui "presto" deve essere entro 54 anni. Tuttavia, potremmo anche dire che la probabilità di incidente non è costante perché l’innovazione tecnologica ha permesso di creare centrali più sicure e metodi migliori di protezione della popolazione civile. In tal caso l’1.8% sarebbe una sovrastima. Potremmo addirittura pensare che l’incidente del 1957 rappresenti davvero l’età della pietra del nucleare e debba essere escluso dal campione che utilizziamo per stimare la probabilità di incidenti nel 2011. Se seguiamo questa via, qual'è dunque la probabilità stimata di incidente nel 2011? Zero. Ma allora qual è la stima migliore, 1.8% o 0%?
Il problema qui è chiaro, anche se insolubile. Visto che gli incidenti sono rari, per cercare di stimarne la probabilità usando la frequenza storica dobbiamo utilizzare un campione temporale molto lungo. Ma nei tempi lunghi la tecnologia cambia, portandoci a sovrastimare la reale probabilità dell’incidente nucleare. Un trade-off difficile da gestire. Un ragionamento simile potrebbe essere fatto per gli incidenti idroelettrici nei paesi OCSE. Qui, al posto di Windscale, abbiamo la tragedia del Vajont. Dobbiamo pensare che la tragedia del Vajont sia ripetibile, cioé che anch'essa abbia una probabilità pari a 1/55=1.8% di ripetersi nel 2011? Come pesiamo il cambiamento tecnologico nella costruzione di dighe dal 1965 ad oggi? Non lo so. Qui, a differenza del nucleare, verrebbe da dire che la tragedia del Vajont ha poco a che fare con questioni tecnologiche (in realtà la diga non è crollata) ed ha molto a che fare con la cattiva governance. Ma, leggo sia sui giornali che in rete, la grande maggioranza di coloro che sono preoccupati per il nucleare in Italia adduce esattamente motivi di cattiva amministrazione, truffa, incuria, eccetera. La cattiva amministrazione e pessima governance del 1965 sono ripetibili oggi? In Italia? Altrove?
però solo qualche anno fa, (i primi anni di questo secolo non distano di una era geologica) nessuno, in presenza del grafico che hai postato, aveva previsto quest'aumento dei prezzi dei pannelli. il mantra era sempre lo stesso: le economie di scala vedrete che consentiranno eccecc, e si invocavano appunto i sussidi. ora, anche in presenza di una prima, chiara smentita, come si fa a prendere ancora per buone delle estrapolazioni a lungo termine così ottimistiche? a ripetere lo stesso mantra?
copri il grafico alla ascissa corrente, togliendo cioè il futuro: io ci vedo una tecnologia già matura. mi sa che anche questi graficisti siano degli analisti tecnici, con le loro trend-line, gli swing, i pull back...con la differenza che questi ultimi ci mettono soldi sopra.