Come i nostri lettori ben sanno, il Collettivo noiseFromAmerika ha pubblicato un libro molto duro con Tremonti (la seconda edizione è del 2011 e si trova ormai credo solo in versione kindle). Lo abbiamo fatto quando Tremonti era all'apice della sua carriera politica e soprattutto quando la stampa di destra e di sinistra lo idolatrava come un sofisticato intellettuale. Il punto forse più importante del nostro libro era proprio questo - che se fosse in qualche modo possibile argomentare che Giulio Tremonti avesse rappresentato un ministro competente (noi argomentiamo credo molto solidamente il contrario, specie nella seconda edizione, ma si tratta appunto di argomentazioni su cui si può essere in disaccordo), non è assolutamente concepibile pensare di Tremonti come ad un intellettuale. I suoi libri sono così allucinantemente vuoti quando non incoerenti che nessuna persona ragionevole può prenderli sul serio, a meno di avere come unico obiettivo l'incondizionata adulazione, cui si dice Giulio Tremonti non sia affatto insensibile.
Ora non è più così, Tremonti è più o meno scomparso dalla scena pubblica. Il nuovo libro che ha annunciato l'altro ieri a Il Foglio forse ne prepara il ritorno. Forse è per questo che, nonostante l'introduzione appaia assolutamente in linea coi libri precedenti, c'è ancora chi continua a stracciarsi le vesti in ossequio al grande intellettuale - Lodovico Festa ne Il Foglio de l'altro ieri:
L’autore rappresenta un caso raro di vero intellettuale diventato (quasi fino in fondo) vero politico. Ha il dono di non dire sciocchezze [...]. Nei suoi libri si riscontra il lavoro di una mente fresca che guarda senza scemenze reverenziali [...] sa leggere in modo non ideologico le trasformazioni economiche e inquadra la riflessione sul nostro paese in tali contesti.
A me invece un poco spiace picchiare sul pappagallo ferito, ma tant'è. Ecco il testo del mio intervento su Il Foglio di ieri.
Non si giudica un libro dalla copertina, e nemmeno dall’introduzione. Avendo io solo la disponibilità di quest’ultima, ci proverò, ma i miei commenti vanno presi con tutte le cautele del caso. L’introduzione del libro dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, anticipata ieri dal Foglio, fa presagire un “saggio postmoderno”, in questo non molto dissimile dai precedenti di Tremonti. Il saggio postmoderno, molto comune nei paesi anglosassoni soprattutto tra le discipline umanistiche, si caratterizza per l’uso copioso di citazioni, riferimenti storici, aggettivazione leziosa, frasi dal significato multiforme quando non misterioso… il tutto per coprire una sostanziale debolezza argomentativa e la carenza di dati a suo supporto, con la presunzione di grande profondità intellettuale.
Il punto di domanda dopo il titolo (provvisorio), “Populismo?”, manifesta bene tutto questo: una misteriosa ambiguità formale a coprire la sostanza. Se mi posso permettere, visto che il titolo è provvisorio, suggerirei “Populismi?”, ancora più ambiguo. A evidenza di queste mie affermazioni, noto che nelle poche pagine dell’Introduzione sono citati Goethe, l’Inno di Mameli, Benedetto Croce, Metternich, il gesuita Naphta nella “Montagna Incantata”, Tolomeo e Copernico, l’Internazionale e Bandiera rossa, Huxley di “Brave New World”, Malthus e Heine. I riferimenti storici, appena accennati, sono al ricorso agli eserciti stranieri nell’Italia del ’500, allo Statuto Albertino del 1848, alla Commedia dell’Arte del ’600, alla Repubblica di Weimar, alla Bolla della Louisiana dopo la scoperta delle Americhe, alla Grecia classica, alla Roma imperiale, a varie rivoluzioni industriali (elettricità, ferrovie, “delle macchine”), alla Rivoluzione francese, alla Destra storica del dopo unità in Italia, ai Guelfi e Ghibellini, e a Babilonia e Gerusalemme. E poi il latinorum, che non manca mai in un saggio postmoderno in Italia, il dictum illuminato, il governo sequitur, la democrazia in experimentum… Per non parlare dell’inglese: la “duration del governo” è il mio preferito, che fa molto Adriano Celentano.
Molto difficile quindi, in questa foresta, identificare delle idee o argomentazioni che possano essere discusse, su cui si possa argomentare contro o a favore. Che dire di frasi come “nel dopoguerra non c’erano i soldi, ma c’era la vita”; o, “una volta si falliva per i debiti, oggi si fallisce per i crediti”? Che dire di un saggio di economia e politica in cui l’autore, per altro tributarista di fama, finge di non rendersi conto che a ogni credito corrisponde un debito e viceversa? Di un acuto politico che dichiara “serve dunque, oltre ad una legge elettorale, anche qualcosa di più di una legge elettorale: servono gli elettori!”, con tanto di punto esclamativo.
Ma ci voglio provare ugualmente a farmi strada tra la forma del saggio per trovare la sostanza. E la sostanza mi pare questa: I) una difesa del proprio operato fino al 2011 e una critica di quello della sinistra prima e dei governi tecnici e di alleanza nazionale dopo; II) una critica della globalizzazione, soprattutto della finanza, ma anche della tecnologia digitale; III) un riavvicinamento a politiche liberiste per il nostro paese.
Se la mia lettura è corretta, sui tre punti che ho identificato si può cominciare a discutere. Riguardo all’analisi dell’operato dei governi della Seconda Repubblica, gli argomenti addotti nell’introduzione sono a mio parere solidi nella critica all’operato dei governi di sinistra dopo il ’94 (ad esempio per quanto riguarda la riforma del Titolo V della Costituzione). Sono molto deboli invece quelli utilizzati per l’autodifesa. La manovra economica di Tremonti, nell’estate del 2011, che caricava 2 miliardi al 2011 e 40 al futuro, un 2012 e un 2013 in cui si pensava avrebbe governato la sinistra, è stata una operazione incompetente, arrogante e irresponsabile che ha affossato quel poco di credibilità che era rimasta al nostro paese. Nascondere questo significa affidarsi a un complottismo, questo sì populista, che Tremonti cavalca ampiamente nell’introduzione al libro.
La critica alla finanza, poi, è un vecchio cavallo di battaglia di Giulio Tremonti. Una analisi critica approfondita del ruolo della finanza e della politica nella crisi (del 2008 negli Stati Uniti e del 2011 in Europa) sarebbe auspicabile. Un’opinione ben articolata di Tremonti a questo proposito sarebbe molto interessante. Purtroppo però nell’introduzione al libro troviamo solo riferimenti alla “repubblica internazionale del denaro” e ad altre non ben definite “repubbliche” (Google, Amazon, Yahoo… forse?) che “tracciano le loro strade, sono mosse dai loro motori, già battono la loro prima moneta, costruiscono le loro comunità sociali”, conditi con affermazioni tipo “nella meccanica del divenire sono le funzioni che fanno gli organi”.
Infine, il ritorno di Tremonti al liberismo in economia, per quanto un po’ in contraddizione con la critica alla globalizzazione, è godibilissimo: dal Colbertismo e priorità della politica alla Curva di Laffer, libera impresa in libero stato, patrimoniale stupida e suicida, e via discorrendo. Attendo il resto del libro per meglio comprendere dove si ferma il riposizionamento politico di Tremonti.
Vale forse la pena di fare una precisazione. Scrivo che " La manovra economica di Tremonti, nell’estate del 2011 [...] è stata una operazione incompetente, arrogante e irresponsabile che ha affossato quel poco di credibilità che era rimasta al nostro paese." Noto che questo non è giudizio da senno di poi. Io e Sandro Brusco ne scrivemmo qui su nFA allora. Dico questo non per accreditare a me e Sandro doti divinatorie tipo Roubini, che certamente non abbiamo in alcun modo, ma perché la durezza del mio giudizio sulla manovra è giustificata proprio dal fatto che la sua pericolosità fosse evidente immediatamente, addirittura a me e Sandro.
Ho fatto una notevole fatica a leggere la prefazione di Tremonti. Eppure dovevo farlo, per meglio apprezzare il commento di Alberto. Devo dire che a differenza del citato libro su Tremonti, che ho letto con sommo piacere e massimo profitto culturale (confermato dagli amici e parenti a cui l'ho consigliato) la lettura del contorto pensiero tremontiano è una pena indicibile. Dopo poche righe l'occhio scorre verso il basso e tende a saltare le righe, la palpebra cala per difndersi da fumo e per evidente sonnolenza, l'attenzione pure. Questo perché la mente dice chiaramente: salta pure perché tanto non perdi nulla. Poi viene il dubbio che magari cosi' facendo perdi qualche particolare importante che Bisin ti rinfaccerà e allora torni indietro con lo sguardo appesantito per controllare se per caso dietro il fumo ci sono concetti che vale la pena approfondire. Nulla. Alla fine ammetto che non ci sono riuscito e dopo 2/3 di lettura abbastanza costante, sono passato a quella random qua e là, cercando parole significative che potessero solleticre l'attenzione. Ed è cosi' che in qualche modo mi devo essere perso il "ritorno al liberismo".
Ve beh, un ritorno presuppone che da li' fosse partito, cosa che pero' dubito. Una cosa che ho notato è che nella prefazione la storia sembra iniziare dal 1994. Prima le cose sono confuse e vaghe. Altra cosa è che non esiste destra o sinistra oppure centrodestra e centrosinistra. No, per Tremonti esiste solo centrodestra e sinistra. Forse le due cose sono collegate. Probabilmente ha rimosso che lui prima era nel PSI e che fu eletto nel parlamento nel centrosinistra, per poi fare il salto della quaglia verso Berlusconi.
O forse non lo ha affatto rimosso ma cerca di fare in modo che a dimenticarlo siano gli altri.
C'e' un punto dell'introduzione in cui fa riferimento a pre-94 e all'accumulazione del debito. Ho pensato di notare a questo proposito i suoi trascorsi Craxiani....ma poi ho deciso che avevo picchiato a sufficienza.
in toto le tue impressioni di lettura, che inizialmente ritenevo un po' esagerate.
qua, tassando le metafore si sana il bilancio pubblico. e con l' aliquota maggiorata per le strizzate d'occhio e le ruffianerie, tutti in pensione a 50 anni.
in questi giorni è invece molto indicato, specie per gli smemorati, rileggere la manovrina del Nostro, l'ultima dell' estate 2011. quella è la vera cifra del suo pensiero politico e anche il suo epitaffio.
Non c'è nulla di anomalo, se ci pensi. Berlusconi finanziava il PSI e in cambio ha avuto il monopolio privato sulla trasmissione delle sue televisioni per un decennio (e oltre dopo Tangentopoli, anche grazie alla sinistra).
Per Tremonti dunque è stato un passaggio naturale, ed inoltre sappiamo bene che in Italia sia a destra e a sinistra il pensiero economico è lo stesso, purché se magna.