Il caso di Enel Green Power ha scoperchiato di nuovo la cloaca delle marchette giornalistiche pagate con inserzioni pubblicitarie: piccati per una critica piuttosto blanda che Il Fatto Quotidiano aveva osato fare sulla quotazione in borsa della divisione di energie rinnovabili (che va molto di moda e che quindi i gonzi si fiondano a comprare), l'Enel ha risposto tagliando la pubblicità ai reprobi del giornale di Padellaro, che non suonavano con il dovuto entusiasmo il piffero per il popolo bue. Il titolo Enel Green Power il primo giorno di quotazione ha perso circa il 3,6%. [Caveat: per chi non lo sapesse, scrivo un blog sul FQ e occasionalmente qualche articolo anche sulla versione cartacea, ma non prendo alcun compenso].
La faccenda è stata descritta da Travaglio sul blog di Beppe Grillo (si veda qui [pdf] alle pagine 5 e 6). Per chi non ha voglia di leggere tutto ne propongo un estratto, che offre uno spaccato davvero interessante:
L’ufficio stampa dell’Enel aveva mandato una strana comunicazione alla nostra concessionaria pubblicitaria e alla nostra amministrazione, in cui si diceva: visto che avete criticato il collocamento in borsa delle azioni dell’Enel Green Power -- è un’operazione da 3 miliardi di Euro che ovviamente vengono chiesti ai risparmiatori -- visto che Il Fatto ha criticato questa operazione, dicendo che non era proprio esente da critiche, mica abbiamo detto che è una truffa o cosa… abbiamo detto semplicemente che bisognava stare attenti visti certi precedenti, l’Enel farà in modo di non fare più pubblicità su Il Fatto Quotidiano, questa è stata la comunicazione.
E poi c’è l’informazione economica in Rai. Il TG1 economia va in onda alle due di pomeriggio circa, in quella twilight zone tra il caffè e la lavata di piatti. La prima settimana di novembre Minzolini ha affidato "il Punto" nel TG1 economia a Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale.
Ma il simpatico Porro attraversa un momento difficile dopo le minacce ... pardon, gli scherzi telefonici fatti attraverso il capo ufficio stampa alla Presidente di Confindustria, rea di aver criticato il governo. Volete che a uno del giro si possa negare un’opera misericordiosa di riabilitazione, soprattutto con i piccoli imprenditori e i funzionari delle Camere di Commercio che presumibilmente costituiscono lo zoccolo duro dell’audience? E quindi il TG1 Economia ci ha regalato delle memorabili analisi firmate da una new entry nell'olimpo dove sono da tempo assisi Tremonti e Brunetta. Vi propongo qualche spigolatura in corsivo, accompagnata da osservazioni a latere, in parentesi quadre.
I Tea Parties: I Tea Parties sono un movimento politico non attribuibile né ai Repubblicani né ai Democratici [infatti Obama ha perso in malo modo perché hanno votato contro di lui i marziani inferociti]. E’ il fenomeno del 2010. Un fenomeno appena nato, ma che ha posto al centro del dibattito le imposte [mentre prima nel dibattito politico ci si preoccupava principalmente dello stato di salute di Pippo, Pluto e Paperino].
La Fed e QE2: Si dice che la banca centrale americana voglia acquistare titoli di Stato americani [la decisione era stata già ampiamente annunciata da settimane e infatti nei mercati se ne dibatteva intensamente, solo che Porro non se ne era accorto, impegnato com'era tra Montecarlo e Antigua]. Vorrebbe dire che in America non sono convinti che l’economia stia andando per il verso giusto [con la disoccupazione vicina al 10% da mesi e un fisco fuori controllo, effettivamente un piccolo dubbio la Fed e l'Amministrazione Obama, che ha sostituito buona parte del team economico, dovrebbero proprio nutrirlo. Voi che dite?].
I Distretti [e i Dislarghi]:In Italia ci sono più di 100 distretti che hanno registrato un +15% nelle esportazioni. Quindi c’è un’Italia non assistita che produce. [Non è chiaro come si fa a calcolare l’export dei "distretti", ma lasciamo perdere. Non lo sfiora nemmeno l’idea che possono esistere "distretti" di imprese assistite. Infatti una concentrazione di industrie in una particolare area potrebbe benissimo significare che in loco si possono ottenere dei benefici e sussidi non disponibili altrove. Il nome Pomezia ad esempio vi dice niente? E comunque il volume o il valore delle esportazioni non significa molto. I distretti ritenuti così virtuosi potrebbero benissimo vendere in perdita nel tentativo di mantenere le quote di mercato. Sono i profitti, non le esportazioni il metro di misura da prendere in considerazione].
E vai col Tango e la Lambada!!! Ma il 5 novembre il telespettatore che ha appena appreso dello straordinario successo del settore orafo partenopeo (e campano) in virtù dei forti ordinativi dagli Emirati Arabi (finalmente qualcuno che non parla male di Dubai) e dell’Asia orientale, apprende dal Porro qualcosa di fenomenale che va riportato per intero:
C’è un grande dibattito in corso sugli investimenti che le grandi imprese italiane dovrebbero fare proprio da noi, in Italia. Ovviamente il dibattito nasce dalle dichiarazioni di Marchionne. Ma il tema fondamentale è che l’Italia e l’Europa crescono insieme molto poco, a cifre ridicole [la Germania a dire il vero nel secondo semestre è cresciuta del 2,3% sul trimestre precedente, un dato eccezionale], rispetto a quello che avviene nel resto del mondo, si pensi alla Cina, ma non solo. [Cosa c'entri questa premessa con il seguito mi sfugge, ma forse lo pagano a cottimo, un tanto a parola, come Salgari quando scriveva il Corsaro Nero].
In effetti le grandi imprese italiane puntano su un altro territorio di elezione, l’America Latina! E fanno bene, perche lì guadagnano moltissimi soldi [vi giuro, è una trascrizione sillaba per sillaba, non sto scherzando]. Gli ultimi casi sono eclatanti: la Pirelli ha investito molto sia in Argentina sia in Brasile e addirittura in quell’area del paese [quale area? boh!] riesce a fare un terzo del suo fatturato. Ma non è l’unica. La Telecom in prospettiva farà un quarto dei suoi margini [...] proprio in America Latina! [visto che in Italia sono prossimi allo zero ci vuole poco].
L’ultima delle grandi imprese italiane, cioè la Fiat, riesce a fare in America Latina dieci miliardi di euro di fatturato e un miliardo e mezzo circa di utile operativo. Insomma per noi la vera Cina è da quella parte lì del mondo! [Sublime]!
Ma essendo TG1 anche l'informazione economica (absit iniuria verbis) non può che rispecchiare la levatura qualitativa del resto del TG.