Un elemento importante è stato la classica accoppiata di esosità e incompetenza che caratterizza lo stato italiano. Pare che un investitore anche non residente in Italia quando compra azioni di una ditta italiana, anche su una borsa non italiana, debba pagare al fisco del Belpaese il 12.5% di imposta (o più, se ha una quota azionaria superiore al 2%) su dividendi e plusvalenze: non si sa bene in cambio di quali servizi a lui resi dallo stato italiano.
Questo senza che sia affatto chiaro come ciò possa essere fatto: apparentemente, nessuno si è premurato di spiegare ai potenziali investitori a chi, quando e come la tassa vada pagata. Ciò ha considerevolmente raffreddato l'iniziale entusiasmo degli investitori, soprattutto quelli al dettaglio che hanno sottoscritto solo una frazione della quota ad essi riservata.
Nemmeno si può dire che non si siano dati da fare: secondo l'Hong Kong Economic Times (vedi qui una Google-traduzione in inglese, più accurata di quella in italiano) alcuni giornalisti, mettendosi nei panni di investitori rispettosi della legge, hanno prima provato a ottenere informazioni dal Consolato italiano ad Hong Kong (senza successo), poi hanno telefonato al Dipartimento delle Finanze in Italia senza trovare nessuno che parlasse inglese, e quando hanno provato a mandare e-mail queste sono rimbalzate indietro per casella postale piena...
Per cercare di rimediare, Prada ha preso l'iniziativa e ha promesso una guida fiscale in inglese. Nel frattempo, gli investitori scrupolosi che provano a parlare con il personale del Consolato (disponibili solo mezza giornata e solo tra lunedì e venerdì) si sentono rispondere che esso non è legalmente autorizzato a parlare per conto del fisco italiano, e al più ottengono copie di moduli IRPEF (in italiano). Oh, e comunque per prima cosa gli investitori devono far richiesta di codice fiscale italiano...
In tutto ciò, l'unica cosa che non capisco è perché Prada non abbia ancora trasferito la sua sede legale in Hong Kong, con tanti saluti al fisco italiano.
Nemmeno io. Nemmeno perchè hanno scelto questa bizzarra soluzione, visto che Prada S.p.a. è detenuta al 100% da una holding lussemburghese (il link poi deve essere indirizzato su company info). Comunque poi puoi usufruire della richiesta di esenzione della doppia imposizione, che va indirizzata al fisco italiano, che ti risponderà, grazie alla riforma Brunetta, nel 2021.
Se avessero chiesto a me, dietro congruo compenso, avrei saputo fare meglio, magari chiedevano a me e te e dividevamo.
Ma sai, probabilmente molto e' legato alla necessita' di mantenere la mistica del "made in Italy" per una clientela che include parecchi nouveau riches della Mainland China. Gia' questa mistica e' stata intaccata dall'ammissione, contenuta nella documentazione per l'IPO, che gran parte della produzione di Prada e' effettuata su contratto da fabbricanti non italiani: uno dei quali, definito "fabbricante di calzature di qualita' quotato sulla borsa di Hong Kong, che disegna, sviluppa e produce calzature per svariate altre marche di alto livello", e' probabilmente Stella International Holdings Ltd. Per i dettagli, vedi questo articolo nell' inserto in lingua inglese dell'Hong Kong Economic Journal; la registrazione gratuita e' valida per 7 giorni, e se hai paura che ti spammino puoi usare un indirizzo temporaneo da http://10minutemail.com/ .
Del resto, che Prada intendesse produrre in Cina era gia' stato pubblicamente ammesso da Patrizio Bertelli ben sei anni fa, come all'epoca riportato dal Financial Times:
Probabilmente, all'epoca Bertelli pensava a "consumers" in Occidente; oggi che l'Asia e' l'area dove le vendite stanno crescendo maggiormente, non pare aver piu' tanta premura di discutere la faccenda :-)
A proposito: no, la doppia imposizione (in Hong Kong e altrove) non puo' essere recuperata perche' non esistono trattati fiscali tra Hong Kong e l'Italia o il Lussemburgo (e quasi con nessun altro paese, a parte la Cina). D'altra parte, questo e' irrilevante perche' in Hong Kong dividendi e plusvalenze non sono tassati per niente e quindi non c'e' doppia tassazione. La cosa oltraggiosa e' che lo stato italiano pretenda tasse da investitori non residenti, soprattutto sulle plusvalenze che sono realizzate su titoli quotati e trattati fuori dall'Italia. Passi per i dividendi, che derivano da utili almeno in parte realizzati in Italia (peraltro gia' tassati a livello societario!), ma in questo caso sarebbe piu' sensato imporre a Prada di trattenere una ritenuta prima di distribuirli a investitori non residenti in Italia.