A metà settimana, come suggerito sul sito dell'Ulivo, mi sono
registrato quale elettore. Venerdì ho ricevuto il mio PIN (Personal
Identification Number), non sul cellulare come un primo tempo ci era
stato detto, ma per e-mail. Domenica ho votato. A dir la verità me ne
ero dimenticato. Erano le 7:30 di mattina, ed ero uno dei due clienti
in un coffee shop di Oakland, un quartiere (non certo tra i più ameni)
di Pittsburgh. Stavo finalizzando le slides che avrei utilizzato da lì
a poche ore, ma non riuscivo a svegliarmi. Il mega pseudo-cappuccino
che mi ero comprato faceva un po' schifo, ed ero proprio di cattivo
umore. Vista la bassa produttività, sono andato sul sito di Repubblica,
la cui homepage mi ha ricordato del voto.
Ho votato per Rosy
Bindi. Avrei voluto votare per Adinolfi, ma purtroppo non si era
presentato nella circoscrizione delle Americhe. Pur non essendo
estraneo ai giochi di potere che si celebrano nella capitale, mi pareva
fosse l'unico che avesse un cervello funzionante. Cioè non imputridito
dai quotidiani esercizi di petulante retorica cui si dedicano i
politicanti del bel paese. Un paio di settimane fa, Repubblica chiese
ai candidati cosa ne pensassero di un'eventuale diminuzione delle
tasse. Adinolfi fu l'unico a dire che il problema era nelle
uscite, e che l'esigenza primaria, nonché condizione necessaria per
diminuire le aliquote, era di tagliare la spesa pubblica. Gli altri?
Una lunga serie di asserzioni che si sarebbero potute interpretare in
modi opposti. E, soprattutto, non una proposta concreta. Mi ricordo che
Adinolfi si permise anche una battuta populista, suggerendo che si
potessero abolire le province, ma ero ben contento di perdonarlo.
Dunque, non essendosi presentato Adinolfi, mi sono chiesto per chi
votare, per evitare di avallare l'elezione der Principino Veltroni.
Walter Veltroni interpreta al meglio la sensibilità e le valenze della
palude romana. (Mi sembra di scrivere come Bossi...) È famoso per 1)
non avere mai avuto un posto di lavoro, 2) aver speso fior di soldi
pubblici per organizzare l'ennesimo Festival del Cinema (lui e i suoi
assessori si fecero pure un viaggetto di piacere a New York, per
celebrare il gemellaggio con il Tribeca Film Festival - courtesy del
contribuente), 3) non aver costruito un solo centimetro di
metropolitana, e, soprattutto, 4) per non aver mai preso una posizione
netta in vita sua. È passata alla storia la sua dichiarazione a
proposito del referendum sulla legge elettorale: "Sostengo il referendum sulla legge elettorale, ma non firmo." Poi aggiunse, (quote dal sito di RaiNews ):
Il problema non è tanto se firmo io. Sono candidato alla
guida di un partito che è parte di una maggioranza in cui ci sono idee diverse e
non possono non tener conto di queste. Potrei fare giri di parole ma rispondo sinceramente. Questo non mi impedisce
di esprimere il sostegno che ho espresso e che è più importante della mia firma
individuale.
In
altre parole: punto all'ennesima poltrona della mia invidiabile
carriera. Non vorrai mica che scontenti qualcuno dei miei Grandi
Elettori? Già lo vedo, il Presidente del Consiglio Walter Veltroni, nel
2016 (le prossime elezioni le perdiamo di sicuro), presentarsi al
consesso delle Nazioni Unite, parlare a lungo contro la risoluzione
anti-Iraz presentata dal Presidente Usa Johnny Rush, e quindi votare a
favore. Lo vedo anche mentre invoca la formazione di un'elefantiaca
quanto inutile commissione parlamentare per lo studio della questione
meridionale. Mi vengono i brividi.
Enrico Letta è quello che, nella bassa Romagna, definiamo un burdel vec'
(pronunciato con la c dolce). Letteralmente: un bambino vecchio. Cioè
uno che, sin da giovanissimo, si è vestito, pettinato, espresso e
comportato come i suoi mentori di trent'anni più anziani. Nonostante i
suoi "soli" quarant'anni , anche Letta ha sciacquato e risciacquato i
panni in quella fogna che si chiama Tevere. Come può porsi come
portatore del nuovo?
Per esclusione, sono giunto alla Rosy.
Almeno un paio di pregi, alla Rosy, credo dobbiamo riconoscerglieli: ha
ideali saldi, che li si condivida o meno, e non ha paura di dire
quello che pensa. In occasione degli ormai defunti PACS, aveva fatto un
lavoro decente, predisponendo una scatola che, seppur vuota, si sarebbe
potuta riempire (di diritti) con gradualità. Un'idea che, credevo, non
avrebbe spaventato i bigottoni che ancora a milioni abitano il Bel
Paese. Ovviamente, mi sbagliavo.
Solamente in serata, sull'aereo
che mi riportava a casa, ho riconosciuto a me stesso che la ragione che
mi aveva portato a votare era ben altra. Veltroni non c'entrava. Quello
che ho espresso è un voto di sostegno alla componente progressista
della coalizione che supporta il governo. Si badi: non un voto di
fiducia, perché in questa gente io non ho alcuna fiducia. Ma di
sostegno, sì. E perché? Ancora una volta, per eliminazione. A quali
eventi saremmo potuti andare incontro, se noi 3,4 milioni di donne e
uomini di buona volontà, non avessimo espresso questo voto di
sostegno? Beh, il pericolo più immediato sarebbe stato un aumento
ulteriore della baldanza dei sovietici che popolano la selva
all'estrema sinistra della politica italiana. Un altro pericolo,
secondo me ancora più inquietante, sarebbe stato il ricorso ad
elezioni, con l'inevitabile ritorno di Berluscazzoni e i suoi
Lanzichenecchi, che passeranno agli annali per aver governato con la
maggioranza più vasta della storica repubblicana, e non essere riusciti
a farne una buona (intendo per noi - le loro tasche ne hanno
sicuramente giovato).
Finisco con un accento volutamente
polemico. Coloro che, pur non sopportando né i sovietici di Diliberto
né le orde berlusconiane, se ne sono stati a casa o se ne sono andati
al mare, come suggerì Craxi una quindicina di anni fa, non hanno
certamente fatto un favore al loro beneamato Paese. Sbaglio?
Sono d'accordo che si tratti di pagliacciata. In ogni collegio, erano necessarie 100 firme per avanzare una candidatura. Si tratta semplicemente di una barriera all'entrata. Per esempio: a New York l'Ulivo e' organizzato, e per Veltroni e' stato un giochetto candidarsi nella circoscrizione delle Americhe. Per uno come Adinolfi, invece, era molto difficile. Troppo, evidentemente.
Se non si fossero posti dei paletti, si sarebbe corso il rischio di incorrere in scenari paradossali, con esponenti del centrodestra che si candidano e i loro elettori che li votano. Pero' sono d'accordo che in questo tipo di situazioni sia difficile adottare criteri obiettivi di selezione.