Il controllo da parte dello Stato dell'offerta di beni prodotti dai privati per "conseguire l'equilibrio di mercato" svela una mentalità da piano quinquennale, una intollerabile limitazione al principio della liberta di impresa sancito dall'art. 41 della Costituzione. Tutto questo, e anche di più, lo trovate nell'art.14 del dlgs 61/2010 sulle Denominazioni di Origine (DO):
10. Le regioni possono ridurre la resa massima di vino classificabile come DO ed eventualmente la resa massima di uva e/o di vino per ettaro per conseguire l'equilibrio di mercato, su proposta dei consorzi di tutela e sentite le organizzazioni professionali di categoria e stabilire la destinazione del prodotto oggetto di riduzione. Le regioni possono altresì consentire ai produttori di ottemperare alla riduzione di resa massima classificabile anche con quantitativi di vino della medesima denominazione/tipologia giacente in azienda, prodotti nelle tre annate precedenti.
11. Le regioni, in ogni caso, al fine di migliorare o stabilizzare il funzionamento del mercato dei vini, comprese le uve, i mosti da cui sono ottenuti, e per superare squilibri congiunturali, su proposta ed in attuazione delle decisioni adottate dai consorzi di tutela e sentite le organizzazioni professionali di categoria, potranno stabilire altri sistemi di regolamentazione della raccolta e dello stoccaggio dei vini ottenuti in modo da permettere la gestione dei volumi di prodotto disponibili.
In pratica, si decide di abbassare le rese produttive previste dal disciplinare di produzione dei vini, per controllare l'offerta. Cioè per esempio, invece dei 90 Qli ad ettaro previsti, li si riduce a 60 Qli per quella particolare vendemmia. Lo stesso, come avvenuto in Chianti Classico 2009, avviene con il blocage, ovvero il divieto a commercializzare entro un certo periodo di tempo (es. 24 mesi) una certa quanità della produzione (es. il 20%), bloccandola in cantina.
Un altra misura molto popolare riguarda il blocco degli impianti di vigneto, o meglio, l'impossibilità di nuove iscrizioni all'albo di una certa DO a tempo indefinito, sempre per non meglio definiti motivi di stabilizzazione dei mercati. Citiamo dall' art.12 del dlgs 61/2010
4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, suproposta dei consorzi di tutela e sentite le organizzazioni professionali di categoria, possono disciplinare l'iscrizione dei vigneti allo schedario ai fini dell'idoneità alla rivendicazione delle relative DO o IG per conseguire l'equilibrio di mercato.
In sostanza, nel primo caso se qualcuno ha dei problemi commerciali, ed ha la maggioranza dei voti nei consorzi di tutela (che non sono organi democratici, ma sono organizzazioni volontarie dove chi più è grande più comanda, come del resto prevede la legge), chiede che vengano ridotte le produzioni di tutti i produttori, anche quelli che non sono membri del Consorzio, se quest'ultimo è abbastanza grosso da poter rivendicare la rappresentanza erga omnes (anche per i produttori che non sono membri). Quindi anche di chi, guarda caso, potrebbe invece non aver problemi commerciali, o addirittura avere la colpa di vendere troppo bene i suoi vini.
Nel secondo caso invece si tratta del classico dentro-fuori: chi è dentro il ciclo produttivo, con vigneti iscritti agli albi della DO, decide sempre su proposta dei consorzi, che chi ne è fuori deve restare fuori. In sostanza significa che sullo stesso territorio geograficamente delimitato della DO, esistono vigneti esattamente comparabili, che seguono le stesse indicazioni prescritte per essere DO, ma non lo sono semplicemente perchè il club ha chiuso i battenti. Chi è dentro teme di vedere abbassare i prezzi a causa di un aumento dell'offerta che risulterebbe dalla concorrenza di chi adesso è fuori.
Non è dato di sapere quali siano esattamente i criteri che, in palese violazione dell'art. 41 della Costituzione italiana che definisce la libertà di impresa, fanno che un gruppo di produttori possa escludere, od ostacolare l'ingresso nel ciclo produttivo da parte di altri. È la maggioranza che decide, e la maggioranza non può sbagliare, vero?
Si parla di stabilizzare i mercati, anche in situazioni dove con tutta evidenza i prezzi delle materie prime (uve e vini sfusi) sono in costante aumento da anni, segno che la crisi per questi vini non c'è. Come sempre, occore guardare a chi fa comodo questa situazione.
Fa comodo a chi ha già un potenziale produttivo consolidato nel tempo, oppure al produttore che poca voglia ha ad impegnarsi a fare qualità visto che il suo prodotto, accuratamente protetto dallo Stato, si vende lo stesso a buon prezzo che sia di buona qualità o meno. Fanno comodo anche ad aziende grandi e strutturate, che possono assorbire margini in assottigliamento dovuti ai rialzi dei prezzi all'origine, per far fuori concorrenti scomodi che non hanno la stessa possibilità o forza.
Insomma, in Italia è sempre comodo trovare il modo di non doversi confrontare con il mercato, con il consumatore, con i concorrenti. È una scelta che paga, molto di più che investire denaro, lavorare seriamente e con successo, andare in giro per il mondo con la valigetta del rappresentante per portare a casa qualche ordine.
Il danno prodotto da queste leggi e da questi comportamenti non è solo economico, ma è sopratutto morale. È un disincentivo a lavorare bene, stimolati dalla concorrenza, è una lezione che da noi non è l'impegno, ma è il chi conosci e con chi ti allei che paga. È un deterrente per chi dall'estero vorrebbe e potrebbe investire nel settore. È una lezione per i giovani produttori: è meglio stare dentro al club. Investite tutto lì, il resto lasciatelo ai quei creduloni che sognano un paese serio, liberale e dove il diritto è una certezza, non una scelta, specie se dei tuoi concorrenti.
...in un mercato come questo, dove la stabilità del prezzo e della qualità sono tutto, siamo sicuri che sia una cosa così negativa?
Non fraintendetemi, vedere articoli che permettono di tenere per le palle l'offerta fa venire i brividi anche a me, ma dall'altro, pensando all'Ente Risi, mi viene da pensare che, se ben eseguito, potrebbe essere un ottimo servizio ai produttori.
Bella domanda ma rilancio. Nel vino a cosa dobbiamo la stabilità della qualità? Non me ne intendo direttamente (non sono un produttore) ma ho esperienza indiretta perché conosco un piccolo produttore e vedo come anno dopo anno cambia la qualità. Assaggi le bottiglie ed apprezzi differenze a volte piccole a volte notevoli. Il che è anche il bello del vino. Dipende da tanti fattori legati al meteo cosi' come anche la quantità. Tanto che possiamo avere tutte le combinazioni tra raccolto abbondante e scarso incrociato con "di qualità" e "appena sufficente". Chiaro che a tutti piacerebbe avere sempre raccolti abbondanti e di qualità ma pochi possono farcela (e devono investire parecchio per tentarci). Quindi la stabilità della qualità è cosa difficile in natura (agricoltura) e si scivola verso produzioni industriali, standardizzate, ben lontane dall'artigianato dei piccoli. Va da se' che anche il prezzo (lungi dall'essere una variabile indipendente) dovrebbe variare a seconda della qualità e della quantità. Cosa significa allora quella declamata stabilità? Che pagherai la bottiglia frutto di un'annata scadente e abbondante come per quella ottima e sarsa? La reputi una cosa positiva o negativa? Certo che la combinazione peggiore è l'annata scarsa e scadente ma nel medio periodo apparirà l'annata abbondante e di qualità che ripagherà dell'investimento. Ma a ben vedere esiste un mercato in cui chi vende non reputi importante la stabilità del prezzo e della qualità? Nel secondario e terziario questo è possibile ma nel primario c'è di mezzo la variabilità della natura (meteo, parassiti, insolazione, piovsità, zuccheri) e l'invocata stabilità secondo me non ha senso che venga ottenuta con metodi "politici". In certe coltivazioni (granaglie e ortofrutta) stabilità e qualità costante sono stati ottenuti nel mondo con metodi biologici (ibridi F1, clonazioni e OGM).
Non mi meraviglia che molti politici considerino migliori i loro interventi rispetto a quanto propone l'innovazione tecnologica.
Mi spieghi la differenza e le peculiarità di questo mercato rispetto ad altri settori dell'agroalimentare, ma anche dei ricambi auto, dei semi, delle borse in pelle o dei deodoranti da auto?
Io non capisco come un fantomatico consorzio sia in grado più di un produttore di stabilire le misure per mantenere la qualità del prodotto costante. Me lo spieghi?
la stabilità del prezzo, la qualità, sono tutte cose importanti. Ma anche il packaging, il marketing, ecc., però non li facciamo decidere a terzi, li decidiamo noi produttori/imprenditori, con la consapevolezza di dover fare le scelte giuste, e nel caso pagare gli errori.
Il punto è: se io rischio in proprio, e questo è importante, seguo le regole decise dalla maggioranza dei produttori riguardo la composizione dei vini, il tipo di vigneti, la loro localizzazione, e tutto quanto riportato nei disciplinari di produzione (le "leggi" del vino), per quale motivo mi deve essere imposto un controllo del prezzo, o dell'offerta, con motivazioni generiche dell'equilibrio di mercato? Perchè allora non applicare lo stesso criterio alle, che so, fabbriche di bottoni o guarnizioni dei carburatori?